12.000 fan da 68 paesi diversi (sic!)
per 4 serate di sold-out. Arjen ci deve aver preso gusto. Ai live. E i fan con
lui. Dal nulla assoluto (se si esclude la buonissima esperienza di “Live on
Earth” del 2003 targata Star One) siamo passati a 3 uscite dal vivo in 4 anni targate
Ayreon, per altrettanti CD/DVD.
Dopo le riuscite clamorose di
“The Theatre Equation” (2016) e l’opera omnia/definitiva di “Ayreon Universe”
(2018), Lucassen decide (guidato dalle sapienti mani manageriali della sua
consorte Lori Linstruth) di celebrare una dei suoi tanti capolavori, “Into the Electric Castle” attraverso la sua riproposizione musical-e, una vera e propria
rappresentazione in rock-opera style.
Location che vince non si cambia, e così, a due anni di distanza tondi tondi, lo scorso settembre si torna sulle
assi del “013 Poppodium” di Tilburg. E la magia ricomincia…
Stavolta Arjen si concentra sulle
risorse che ha in casa, vale a dire in Olanda, e (ad eccezione dell’ex-Threshold, ormai
“naturalizzato” orange, Damian Wilson) le uniche guest star straniere presenti
sono la voce narrante, l’attore americano John
de Lancie, e nientepopodimenoche sua maestà Dereck W. Dick, in arte...Fish.
Lo storico singer dei Marillion (aaahh che grandi i Marillion!) torna a
ricoprire il ruolo che aveva svolto nel disco originale 21 anni fa e, anche se la sua ugola non riesce a risplendere come in passato, la sua statuaria presenza riempie la scena con un'aura carismatica di grande impatto.
Il resto, musicisti (ben 10),
coristi (3) e cantanti (un’altra decina), sono tutti born-in-Netherlands (da
sottolineare la gradita presenza di Simone
Simons degli Epica e della rivelazione Edwin
Balogh, corpulento singer semi-sconosciuto con un’ugola d’oro) e seguono
fedelmente, e come sempre in modo partecipato, sentito e divertito, le
direttive del folletto di Hilversum. E
le direttive di colui il quale, con talento e dedizione, si è ancora una volta
fatto carico di tutti gli arrangiamenti, il talentuoso tastierista ex-After Forever, Joost van den Broek (37 anni ma con l’esperienza e la personalità
di un veterano), ad oggi il più capace e fedele interprete della musica
ayreoniana cui, non a caso, Arjen si affida ciecamente.
Che dire? Basterebbero i primi 21
minuti dell’accoppiata “Isis and Osiris” (11’ di perfezione assoluta che la
maggior parte delle band si sognano in un’intera carriera) + “Amazing flight”
per decretare, rispetto alla “massa”, la superiorità compositiva di questo
“hippie” sessantenne, un bambinone troppo cresciuto di 203 cm, che sul volto ha
ancora dipinta quella gioia di vivere, quella freschezza, quell’innocenza che
traspare da ogni suo singolo gesto o parola.
I 146’ di musica vanno via che è
una bellezza, recuperando nella sua interezza un disco importantissimo per ogni
amante del nostro genere preferito (e non è
neppure il migliore della sua discografia). Interessante anche la volontà di
recuperare tutti i side-projects (e sono tanti!) che Arjen ha creato in
passato, dando spazio, nella seconda parte dello show (quella dedicata agli
“Other tales”) a canzoni di album riuscitissimi, come quelli di The Gentle Storm e Stream of Passion, e di altri un po' meno riusciti (Ambeon e Guilt
Machine) ritagliando un gustoso strapuntino anche a quella “Kayleigh” cantata da
Fish e tratta da uno dei capolavori dei Marillion, “Misplaced childhood” (1985).
Il sipario lo si lascia calare
alla meravigliosa “Songs of the ocean”, highlight dell’ottimo “Space metal” a
targa Star One, dove tutti, ma proprio tutti i protagonisti del progetto
“Electric castle” si ritrovano (talmente tanti da non riuscire a disporsi su
una sola fila…). Con un
pubblico in estasi totale si canta tutti assieme il mitico chorus:
We shape
life, we travel space / but we don’t know the words to the songs of the ocean /
we survived the human race / but we don’t know the words to the songs of the
ocean.
Da vecchio seguace della band,
devo dire che ho come l’impressione che questa dimensione live abbia davvero
riportato a nuova vita il Nostro, gli abbia dato una brillantezza e uno slancio
che negli ultimi due dischi in studio (“The Theory of Everything” e “The Source” che, per carità, erano super validi ma non “continui” come ci aveva
abituato in passato) avevano subito una fisiologica e comprensibile caduta di
tono.
Per chi scrive, beh…questo DVD
non risulta imprescindibile (dopo aver visto “Ayreon Universe” non desideravo
altro) ma chi sono io per dire cosa Lucassen debba o non debba fare? E come
negare la goduta infinita che ho comunque provato durante la sua visione? O
l’ennesima pelle d’oca, che si ricrea ad ogni occasione, all’entrata in scena
della Divina Anneke (prova come sempre perfetta della Dea che, nonostante si
avvicini alla 50ina, non perde un briciolo di dolcezza e sensualità).
Insomma, se 3 indizi fanno una
prova, chissà che nel 2022 non ci si ritrovi in mano un altro DVD “teatrale”
degli Ayreon.
Noi saremo ancora lì, primi
acquirenti, per supportare giustamente un artista unico…
A cura di Morningrise