La natura del metal è sempre stata caratterizzata da uno "spirito di gruppo" e da una segregazione rispetto ad un “resto del mondo” non meglio identificato.
Trovare qualcuno che ascoltasse metal era un fatto non comune ma non si limitava ad un'intesa tra due persone sul valore artistico di un certo numero di dischi. Anzi, direi proprio che prescindeva anche dall'intesa personale con l'altro appassionato. Personalmente, le mie simpatie non sono mai state molto condizionate, nei fatti, dal metal come interesse comune. Eppure la notizia di qualcun altro che fosse anche lui addentro al genere faceva sentire in qualche modo alleati, dalla stessa parte della barricata, in una guerra che poi non esisteva.
All'epoca è vero che esistevano dei “filoni” di moda e di musica abbastanza associati tra loro, al punto che il comico Enzo Braschi vi dedicò tutta un'edizione del Drive In (il paninaro che ascoltava musica pop d'avanguardia, il punk, il metallaro, il dark, il new romantic che ascoltava gruppi tipo Spandau Ballet, il rockabilly...); e che talvolta tra i vari gruppi si creavano frizioni, ma nessuno di questi gruppi ha mai rappresentato una sottocultura che si poteva contrapporre, a 360 gradi, all'assetto della società. Il ribellismo era comune a tutti: si sentiva un ribelle il paninaro dell'epoca fissato con i vestiti firmati che i genitori gli compravano nei migliori negozi del centro, così come il metallaro che avanzava ostentando un passo pesante e legnoso, giubbotto con toppe e spillette che nessuno si filava, e che richiamavano però una divisa con i gradi e le decorazioni.
L'idea di base del film "I Guerrieri della Notte" di Walter Hill (Warriors, 1979) è un'idea visionaria, che rimane tale, facendo sì che il film possa rimanere un efficace film d'azione e non del tipo fantastico-favolistico. Il capo della gang di strada più influente di New York, i Riffs del Bronx, convoca ad una riunione le principali bande della città, rappresentate ciascuna da nove delegati, per presentargli il suo progetto: unire le proprie forze superando le rivalità territoriali, e attaccare il potere costituito (la polizia, identificata come il comune esercito nemico) e conquistare la città. Le gang contro il resto del mondo.
Questa metafora della propria esistenza si ritrova nel metal fin dall'inizio. Vi è una ricorrente rappresentazione del movimento metal come una sorta di alleanza, di esercito, di coalizione, con necessità di generare degli inni, esattamente secondo la tipologia degli inni militari che accompagnano gli eserciti: i canti di vittoria, di marcia, di esortazione al combattimento, di commemorazione. Il metal aveva necessità di autocelebrarsi, e questa necessità espressiva corrispondeva ad un'emozione di schieramento. Non si trattava solo di avvicinarsi ad un genere, di ascoltarlo con piacere, ma di prendere posizione. Il mercato metal si fondava infatti poi su questo: un incredibile numero di gruppi per una pubblico minoritario, che però seguiva decine di artisti, perché comunque afferenti al genere, e si orientava con riviste dedicate.
I primi gruppi metal avevano dei logo e dei simboli molto simili a quelli che caratterizzano la casacca delle gang dei Guerrieri della Notte. I gruppi storici degli anni '80 erano soliti proporre una sorta di personaggio fisso, di mascotte, che ricorreva nelle varie copertine e articoli per fans: gli Iron avevano lo zombie Eddie, con le sue varie metamorfosi; i Megadeth Rattlehead, il teschio con occhi e orecchi tappati e bocca bloccata in un sorriso ebete, i Motorhead Snaggletooth, la polena di motocicletta a forma di muso animale con emetto militare, anello al naso e quant'altro. Gli Slayer nei primi dischi avevano il pentagramma formato da spade infilate in una ghiera, con una estratta e insanguinata, e se ne potrebbero elencare altri. Va detto che invece, a differenza delle gang, i membri dei gruppi non avevano uniformi, ciascuno vestiva come credeva.
I primi fan clubs dei gruppi più famosi, che avevano anche un ruolo nell'organizzazione di concerti e nella prenotazione magari di materiale raro o in anteprima, avevano non di rado nomi di “corpo” militare, come la Metal Militia dei Metallica, e la Slaytanic Wermacht degli Slayer. La Legione dei Testament, e naturalmente l'Army of Immortals dei Manowar. Qualcuno potrebbe obiettare che questa terminologia è quasi automatica per fan club di fedelissimi, con varia declinazione, da quella più goliardica a quella più militare. Ma se si considera per esempio il fan club di Ligabue, beh, si chiama “Bar Mario”, un luogo che solo in pochi possono portare nel cuore ma che in fondo è pubblico. E la famosa “combriccola del Blasco” di Vasco Rossi era sì un'accolita di trasgressivi o presunti tali, malvista dai benpensanti del paesotto, ma, come dice il testo, era un gruppo che si auto-isolava e cercava se possibile di evitare lo scontro. Il “Siamo solo noi” che connotava la gioventù caricata dal consumismo e poi buttata in pasto allo sconvolgimento della droga, non indicava un gruppo di fuoco, una militanza ideale, o una posizione di contrapposizione, se mai soltanto una disillusione amara e sarcastica, priva di prospettive reali.
Il metal era un po' l'inverso. Viveva di prospettive immaginarie, senza peraltro che fosse in atto alcunché di concreto e che questa spinta sottendesse un'ideologia precisa. Una fuga verso il sogno, si sarebbe rivelata poi, probabilmente figlia di un certo benessere e di un mondo in cui i destini sembravano ormai scontati e spartiti a tavolino, tra ricchi e poveri, burattini e burattinai, protagonisti e comparse. Il metal era sì figlio della classe operaia britannica, forse, come almeno è plausibile nella genesi della New Wave inglese dei primi '80, ma non era la lotta di classe operaia, bensì la gioventù operaia che alla politica preferiva una dimensione anarchica e visionaria. E alle tute sostituiva buffe divise borchiate, pelle come elemento naturale e acciaio come segno della modernità.
Il metal come “gang di strada”, come banda nata senza scopo ma per una necessità di dare militanza ad una spinta reazionaria verso il sogno fine a se stesso. Una gang che non esiste, esiste soltanto il suo slancio ideale. Il metal è pessimistico e reazionario, salvo eccezioni: trova il suo ideale in figure passate, o nella contrapposizione assoluta di figure presenti, predica l'avvento di un futuro di cavalieri medievali. Se qualcuno si ricorda lo slogan-ritornello degli Inti-Illimani, “il popolo unito non potrà mai essere battuto”, ecco...il metal potrebbe dire “se ci mettessimo insieme, saremmo sicuramente sconfitti”, ma poi ci sono i sogni, ed è per quelli che rimaniamo, vanamente ma poeticamente, in armi". Una sintesi di questo prototipo può essere la Sentinella dei Judas Priest, che tiene le consegne contro il mondo, in attesa di uno scontro ideale.
Se guardiamo alla parte pittoresca, la continuità dello stile delle gang con loghi e divise fantasiose, impostate su uno stile grafico e un simbolo, sopravvive nelle odierne gang motociclistiche, ideologicamente accomunate dal concetto di “one-percenter”: l'1% dei motociclisti che fa del motociclismo uno stile di vita, ritenendolo allegoria della vita libera e dell'autonomia, in cui la macchina non è più un mezzo di sottomissione e omologazione ma è funzionale alla conquista degli spazi e delle distanze. Lasciando perdere la deriva criminale di questo tipo di spunto, però esso si va ad allineare con la visione pessimistica della libertà: libero perché non rimane altro, “nato per perdere, vivo per vincere”, come nel famoso slogan anche motorheadiano.
Questo un-per-cento corrisponde poi anche ad altre differenze, come ad esempio l'illegalità o la bellicosità. C'è una sostanziale differenza però tra realtà di questo tipo e le gang di strada del film, ovvero la sostanziale vocazione al guadagno e all'imposizione di regole sul territorio con la forza della violenza. Nella “visione” non realistica delle gang del film non si parla praticamente mai di attività criminali, e la vocazione delle gang sembra essere quella del controllo e difesa del proprio territorio per orgoglio campanilistico e fame di identità, in una New York in cui alla fine queste persone raramente si spostano dal proprio quartiere. Non è quindi un problema di vivere un territorio di pochi chilometri quadrati, o di macinare centinaia di chilometri su autostrade sospese nel nulla: la comune distopia è essere proiettati altrove. Il futuro è il sogno, mentre la terra promessa a cui tornare è uno scheletro di cemento, sacra ma sterile; oppure una terra di nessuno, attraverso cui si passa e basta, per non rischiare di morirci dentro.
E' curioso che in tutte le realizzazioni cinematografiche che descrivono le avventure di bande più o meno immaginarie con membri vestiti da metallari, il metal non sia la colonna sonora. Nemmeno a livello immaginario il metal corrisponde ad una vera banda costituita. E' più descrivibile come un insieme di guerrieri comandati da uno stesso generale, che però comunica con ogni guerriero individualmente, e non collettivamente. La migliore immagine di questo esercito impossibile è quella di un film chiamato “Endgame”, in cui ad un certo punto c'è un plotone di combattenti ciechi, armati di spada, guidati dalla mente di un mutante dotato di poteri telepatici, che agisce come una sorta di radar e li guida nei movimenti. Quando la mente guida è colpita, questi guerrieri vagano con la loro sciabola in mano come dei mentecatti. Così siamo un po' anche noi metallari, uniti da effigi, idoli e simboli, tutti colonnelli di un generale, in un esercito senza soldati. O come dicevano gli Helloween, più che un esercito, una classe di maghi che combattono con i loro incantesimi, ognuno per i cazzi suoi.
A sviluppare la mitologia di questa guerra che non c'è mai stata provvedono i Manowar. Nei loro proclami, c'è un mondo di fedelissimi del metal che si oppone, da una parte, agli eserciti del mondo, dall'altra ad un nemico interno, indicato come “False Metal”, ovvero metal edulcorato e commerciale. I Manowar dedicano a quest'idea brani veri e propri, in cui si dice per l'appunto come la fede del metallaro abbia “dato vita” a loro stessi (il brano "Army of Immortals"). Questo passaggio è importante, perché fa coincidere artista e fan, come se il primo fosse il prodotto del secondo, e non viceversa come è logico pensare. La necessità di un credo musicale genera il metal, ed è quindi un “metal in potenza” che può esistere solo in una dimensione quale quella dell'adesione quasi religiosa ad una fede, che poi consiste nel celebrarlo e nel custodirlo: Gli inni di battaglia hanno dato il richiamo, tu sei venuto al nostro fianco, hai sentito il vero metal, tua sia la gloria! Ti sei schierato con noi, i falsi dall'altra parte hanno ringhiato, ma tu sai bene cosa scegliere, tu ci hai dato la vita!; per finire ripetendo il metal ci rende forti, insieme abbiamo senso. L'atteggiamento dei Manowar, si è prestato a critiche e ridicolizzazioni, ma va ricordato che questa concettualizzazione del metal rimane unica e gratuita. Una specie di culto in cui ciò che si celebra è la stessa liturgia.
A cura del Dottore