10 sono pochi ma 100 sono troppi…eh si, quanta ragione ha il nostro Lost in Moments!
Premesso che l’insindacabile classifica del nostro fondatore non si tocca, dobbiamo ammettere che, mai come
in questo 2023, in Redazione sono fioccate idee e proposte per inserirvi dischi
che avevano colpito cuore&mente di tutti noi. E, in taluni casi, siamo
addirittura arrivati alle (ben poco) velate minacce nell’eventualità di esclusione
di alcuni titoli cui tenevamo particolarmente...
La suddetta classifica, comunque, è riuscita mirabilmente non solo a identificare i dischi più significativi del 2023, ma anche ad abbracciare un amplissimo spettro sonoro, esemplificativo di come il metal attuale riesca ormai a spaziare senza confini: dal melting pot culturale ed etnico degli Zulu al depressive black dei Winter Willow; dal revival thrash di Hellripper e Cruel Force al raffinato prog rock dei Subsignal; dal post black degli Svalbard, passando per l’unicità dei Thy Catafalque, al death ultratecnico di Tomb Mold e Cattle Decapitation. Per arrivare all’unico album dell’anno appena trascorso cui, personalmente, attribuirei il termine ‘capolavoro’: “Black Medium Current” dei DHG, con il loro extreme prog metal, capace di guardare dentro l’infinità dell’Uomo. E, al contempo, a quella delle Stelle…
Però, c’è un però.
Un po’ per i nostri atavici
‘sensi di colpa’, un po’ per rendere omaggio a un anno come detto
davvero ricco di uscite valide e interessanti, eccoci qui ad ammorbarvi con una
rapida (!) carrellata degli album che abbiamo ritenuto più interessanti,
risultato di un brainstorming di redazione in cui tutti i generi del Mare
Magnum metallico saranno coinvolti, con nomi storici e/o più mainstream ed altri emergenti e/o più underground.
E, si badi bene, che essa non è e
non vuol essere una (altra) classifica. Tanto che il criterio ordinistico
adottato è, banalmente, quello della data di pubblicazione (e tutti i 12 mesi saranno rappresentati)
10 sono pochi e 100 sono troppi, si diceva…e altri 30? Basteranno
per essere esaurienti sul tema?
Mah…intanto partiamo con i primi
dieci. Da gennaio. Un mese già foriero di gioie…
30_AHAB – “The Coral Tombs”
(13/01). È impressionante come questi signori tedeschi stiano portando
avanti, con un rigore tutto teutonico, la loro visione artistica incentrata sugli
oceani e relativi abissi. E su come
l’uomo si relazioni con questa entità. Dal capolavoro assoluto “The Call of the
Wrethced Sea” (2006) ad oggi, appena 5 album ma tutti mastodontici. Per durata,
per concezione, per sound. Il loro funeral doom è affossante ma capace anche di
elevarti al di sopra delle miserie umane con inserti di un’eleganza unica che
pescano dal prog e dalla psichedelia. Questa volta è il turno di rivisitare un
gigante della letteratura come J. Verne e il suo “20.000 leghe sotto
i mari”. Risultati eccellenti, con una nota di merito per “The Sea as a
Desert”, roba che compongono pochi eletti…
29_OBITUARY – “The Dying of Everything”
(13/01). La partenza a bombazza di “Buried Alive” ci
comunica che Tardy&co. ci sono venuti a trovare a casa dopo ben 6 anni di
assenza; e noi, comodamente seduti sul nostro sofà, ci facciamo raccontare le
ultime…e le ultime sono davvero good news, con il loro tipico sound che
viene qui rinverdito da una produzione pressocchè perfetta, riff&assoli
ispirati e la voce sofferente di John che non molla di un centimetro. Nell’anno
del death (come in tanti definiscono questo 2023), uno dei migliori dischi
death dell’anno…
28_RIVERSIDE – “ID.Entity” (20/01). Prosegue il cammino
di ricerca e di evoluzione della premiata coppia Duda&Łapai,
sempre per la Inside Out Music. La
band garantisce raffinatezza e qualità di arrangiamenti, realizzando alcune
delle song più belle della loro carriera (“Friend or Foe?”, “Post Truth”, “The
Place Where I Belong” e la conclusiva “Self-aware”). Le loro multiple
influenze, che vanno dall’elettronica all’A.O.R., dal prog metal all’hard-pop passando
per il verbo wilsoniano, sono qui declinate in modo mirabile e personale,
risultando perfettamente al passo coi tempi. Un disco che cresce con gli
ascolti e che, provando a fare l’esegesi del titolo, potrebbe significare un
nuovo inizio per i polacchi. Un inizio con un’id.entità chiara e
definita…
27_…AND OCEANS – “As in
Gardens, So in Tombs” (27/01). I finlandesi tornano sulle scene con
il loro inconfondibile symphonic black, ancora sotto egida Season of Mist che dimostra di credere nella premiata ditta di
axemen Kontio/Saari. I quali, da par
loro, imbroccano ispirati rifferrama di stampo symphonic, supportati, come
filone vuole, dalle tastiere di Antti
Simonen. Sul tutto cavalca la personale voce di Matthias Lillmåns,
vocalist dei Finntroll. “The Collector and His construct”, l’evocativa “Likt Törnen
Genom Kött”
o la toccante “The Earth Canvas” sono solo alcuni titoli di un disco che scorre
via con fluidità e coinvolgimento confermando gli …and Oceans tra le principali
band del genere.
26_SLUMBERING SUN – “The Ever-Living Fire” (24/02). Produzioni indipendenti,
commercializzazione su bandcamp e formato digitale: è il mercato moderno, bellezza! Con questi presupposti il quintetto texano esordisce
con 45’ di doom arioso e ‘aperto’, per quanto sofferente, come genere pretende (melodic doom, lo chiamano).
L’opener “Morgenröte” è un ottimo biglietto da visita che ondeggia tra un intro
arpeggiato di raffinata bellezza, riff granitici e aperture toccanti; mentre la
coda di “Love in a Fallen World” ci ricorda che il doom ha una mano che, sì
‘poesse fero’ ma ‘poesse (anche) piuma’. Assieme ai Géuvadan (per il
sottoscritto, album doom dell’anno), gli Slumbering Sun rappresentano la più
bella scoperta doomica di questo 2023…
25_ENSLAVED – “Heimdal” (03/03).
Quello che, giustamente, il nostro Lost in Moments aveva definito “il decennio
infallibile degli Enslaved” (2008-2017), non pare essersi concluso, vista la
qualità di “Utgard” prima (2020) e di questo “Heimdal” adesso. Campioni
dell’ormai codificato progressive black
metal (che altro non è che un fusion metal che ibrida diverse
istanze), i Nostri costruiscono un altro mattone della loro muraglia
discografica che non conosce crepe. Disco sfaccettato stilisticamente ma
attraversato da una costante: l’atmosfera. Un’atmosfera (ognuno declini
a proprio gusto e a proprie sensazioni questo sostantivo) che permea sia le
sezioni più dirette e potenti (l’opener “Behind the Mirror”) che quelle più
rilassate e ‘aperte’ (“Forest Dweller”, “Caravan to the Outer Worlds”) per
sintetizzare il tutto nella conclusiva, straordinaria, title track. Avercene…
24_HAKEN – “Fauna” (03/03).
Una foresta pluviale di suoni. Così
gli Haken hanno definito questo loro 7° album. Un disco colorato, ricchissimo
di elementi diversi, caldo ed emozionale. Se, ad oggi, questa sorta di neo-prog ‘bulimico’ che va per la maggiore ha dei campioni,
questi sono sicuramente gli Haken. Che arrivano, dopo i capolavori del passato
(“Affinity” e “The Mountain” su tutti), da un lato a ergersi come i migliori
eredi del prog metal degli anni ’90 e ’00, e dall’altro a trovare la
consacrazione di (una tra le) band leader
del panorama metallico mondiale. In “Fauna” troviamo parecchie canzoni (“The
Alphabet of Me”, “Sempiternal Beings”, “Elephants Never Forget”, “Eyes of
Ebony”) che sono tra le migliori del loro repertorio. Un quasi-capolavoro, meritatamente omaggiato da critica e fan.
23_LITURGY – “93696”
(24/03). Trascendental black metal. È questa l’ambiziosa definizione che
la mastermind dei Liturgy, Haela R. Hunt-Hendrix, attiva anche nel campo
della scultura e delle installazioni, dà alla musica della band. Gli altri tre
suoi compagni di ventura l’assecondano in quest’ora e mezza di straniante black
metal che, di black in senso stretto, ha ben poco. Giusto le urla disarticolate
della Hunt-Hendrix che pare un cane scuoiato che-manco-Burzum…la proposta è un viaggio destrutturante,
una sorta di jam session in cui cori chiesastici (“Daily Bread”, “Angel of
Sovereignty”, “Angel of Individuation”) si giustappongono a brani blackjazz urticanti e di impatto. Per
ottenere l’effetto voluto non ci si risparmia: tromba, trombone, flauto,
glockenspiel, marxophone (che minchia è il marxophone?!?) ocarina (sic!) e vibrafono vengono
impiegati in un coacervo di sonorità che, alla fine della fiera, non sai se è
frutto di genio o vacua pretenziosità. Certo, i quarti d’ora della title track
o della conclusiva “Antigone II” non lasciano indifferenti. Roba tosta ma,
tanto per rimanere in tema, sempre meglio, per chi scrive, di un disco degli
Imperial Triumphant…
22_METALLICA – “72 Seasons” (14/04). Fare finta di nulla anche no, che poi sembriamo spocchiosi e/o ingrati. E devo dirvi che i primi quattro brani di "72 Seasons" mi avevano fatto, non dico ben sperare, ma almeno essere fiducioso sul fatto che la palpebra non mi calasse brutalmente prima della fine di questi 72’ (toh..) di durata del platter. Ma la palpebra, ahimè, è calata. Inesorabilmente. Da “You Must Burn!” in poi troviamo tutte le pecche di una band senza identità e ispirazione, tra filler belli e buoni (“Too Far Gone?”, “Room of Mirrors”) e tonfi immondi (“Crowned of Barbed Wire”, “If Darkness Had a Son”). Per il resto i soliti ‘Tallica degli ultimi 20 anni tondi tondi: prolissi, con riff elementari e assoli hard-blues di Kirk uno-uguale-all’altro-uno-più-insulso-dell’altro. Và detto, per onestà intellettuale, che a differenza degli osceni “St. Anger”, “Death Magnetic” e "Hardwire...", qui i Four Horsemen svestono i panni dei thrashers fuori tempo massimo e sembrano crederci. In ciò che hanno composto e come lo suonano. Li sento più caldi, più convinti delle note che escono dai loro strumenti. Persino Lars, pur lontano dagli standard necessari ad un metal drummer contemporaneo, fa il suo funzionalmente al sound complessivo. Probabilmente non è un caso che si sia ritornati, stilisticamente parlando, a quello che James ama suonare di più e che aveva prodotto i tanto vituperati “Load” e “Reload”: un hard-rock dai chiari risvolti southern, leggermente ricoperto da qualcosa di più heavy. Certo però che la finezza e la classe di una “Bleeding Me” o di una “The Outlaw Torn” sono lontane anni luce. Una lux, ahiloro, che pare æterna…
A cura di Morningrise