“Ispirazione ai minimi storici”,
“composizioni frettolose e non curate”, il disco “meno sorprendente e meno
riuscito della loro carriera”, “mezzo passo falso”, “una marionetta che non sta in piedi”, ecc.
E poi i voti: quando non sotto il
“6”, poco sopra la sufficienza (e quindi comunque insufficienti per quello che ci si aspetta da un gruppo di questa levatura).
Stiamo parlando di quello che
consideravo l’evento discografico più atteso in ambito metal di questa prima
metà del 2017 (assieme all’uscita di “The Source” degli Ayreon), cioè “Emperor of Sand”
dei Mastodon (che bel titolo! E che bella copertina!).
E invece…è uscito da tre mesi (31 marzo) e non me lo sono filato. Perché? mi chiedo.
Per quei commenti poco
stimolanti? Per quei voti loffi? No, non credo. Non mi sono mai fatto
influenzare dalle recensioni, e soprattutto dai voti, dei siti specializzati. E
poi io adoro i Mastodon! E soprattutto ho un’infatuazione artistica per Brann
Dailor (recentemente inserito, con una perfetta scheda esplicativa, dal nostro
Mementomori nella lista dei migliori dieci batteristi del metal estremo).
Forse allora è colpa
dell’amata/odiata rete. Ormai su Youtube puoi sentire tutto un disco prima
ancora che esca, o quando è appena uscito. Sono passati anche per me i tempi in
cui si andava in negozio, con in tasca le sudatissime 30.000 lire mensili
da investire in un unico benedetto CD. E si stressava il negoziante per farci
ascoltare i primi due minuti degli album presenti nella nostra lista degli
acquisti, per vedere quale fosse quello migliore su cui investire…quello che ci ispirava
di più.
Adesso è tutto più immediatamente
fruibile. E anch’io non ho resistito alla tentazione di ascoltarmi EOS sul
Tubo. Ed effettivamente non mi ha emozionato.
Ma "alla prima" quando mai mi ha
subito colpito un disco dei georgiani?
Allora, devo ammettere a me
stesso: non me lo sono filato perché evidentemente sono uno stronzo. Un
ingrato. Non solo: mi guardo indietro e mi
accorgo che non mi ero filato neppure “One
more ‘round the sun” (2014) ed ero arrivato "solo" a “The Hunter” (2011). E
ancora una volta non posso fare a meno di domandarmi perché.
TH non mi era piaciuto? Mi aveva
deluso? Forse ai primi ascolti, ma poi no, assolutamente. Me lo vado a riascoltare.
A riascoltare bene, “The Hunter”. Si, lo ammetto, forse gli preferivo “Leviathan”,
“Blood mountain” e “Crack the Skye”, ma parliamo di sottilissime differenze, di scarti minimi
dettati da gusti squisitamente soggettivi. Non solo: in TH il brutto Tallone d’Achille
della band, cioè l’inadeguatezza delle parti vocali, sembrava essere stata
mitigata. E la cosa cominciava a darmi meno fastidio. Ricordo che, ad esempio
ascoltando “Blood mountain”, mi dicevo: ma perché dei grandissimi musicisti come
loro non si prendono un cazzo di cantante come si deve, si concentrano sui loro
strumenti e per la voce non si affidano ad un professionista? Perché Brent Hinds invece di
ragliare nel microfono non suona la chitarra e
basta, già che lo fa divinamente!?!
Ma, nonostante questo “fastidio”
dovevo alla fine convenire che le voci di Sanders, Hinds e Dailor non
inficiavano il risultato finale. Era talmente alto il livello del songwriting,
talmente belle le canzoni, talmente frequenti i passaggi geniali, così mirabile
la capacità di sintesi di stilemi diversi, che le voci, oggettivamente non
all’altezza, passavano in secondo piano (un po’ lo stesso discorso dei
compianti Isis).
E allora, riascoltando “The
Hunter”, faccio i conti con la mia ingratitudine. Immotivata e pretenziosa. Non
mi bastava il serratissimo riff di “Black tongue”? O l’arpeggio elettrificato da
pelle d’oca di “Stargasm”? O l’inquietante dolcezza della title-track o della
conclusiva “The sparrow” (e potrei aggiungere altri titoli della track list) per continuare a seguirli nelle successive uscite discografiche? La verità è che
ero abituato troppo bene fino a “Crack the skye” e anche un leggerissimo,
esiziale passo indietro (o meglio, quello che per me era un passo indietro) mi
ha fatto tralasciare quella che è stata una tra le più importanti metal band
degli ultimi 12 anni.
E’ un tema questo che sul nostro
Blog avevamo già affrontato. E attiene al fatto che, soprattutto quando si
ascolta metal da 25 anni, si è alla ricerca sempre di qualcosa di nuovo. Nuove
sonorità, nuovi standard. Cose che colpiscano mente e cuore. Il rischio è quello di “abbandonare”
grandi gruppi, pensando o che non riusciranno ad eguagliare i fasti del passato
o pensando che non abbiano nuove cose da dire. Col rischio di lasciarsi alle
spalle album quantomeno molto piacevoli.
Il punto probabilmente è quello
di cambiare prospettiva: non carichiamo di spasmodiche attese e pretese un
gruppo di musicisti che ci ha donato già così tanto. Sono al settimo album.
Cosa devono fare? Trovare, ad ogni uscita, ad ogni costo una nuova via per il
metal del futuro? (altro argomento abbondantemente affrontato sul nostro Blog, ma
sempre attuale).
Rimetto nel lettore ancora una
volta “The Hunter”. E sapete cosa vi dico? Che è un ottimo disco. Bello bello.
E poi non fosse che per ascoltare i pattern di Brann (ma quanto cazzo è bravo!!??), il tempo impiegato per
ascoltarlo è già di per sé ben speso...
Allora, faccio penitenza, ammetto le mie colpe e la mia superficialità di giudizio e prometto: Mastodon, non vi abbandonerò!
A cura di Morningrise