Chissà che cosa facevate il 25 agosto del 1988. Probabilmente molti di voi non erano ancora nati; quanto a me, quasi sicuramente sarò stato al mare. Quello che però posso dirvi con certezza è che in quel giorno usciva “...And Justice for All”.
Comprai la musicassetta del quarto full-lenght dei Metallica circa due anni dopo (nel giugno del 1990 per festeggiare la promozione in seconda media) e quello fu per il sottoscritto un evento davvero emblematico, in quanto per la prima volta nella mia vita acquistavo un album metal.
Venivo dalla classica gavetta del metallaro alle prime armi: stimolato dai “soliti noti” del rock (Pink Floyd, Queen ecc.) approdai velocemente agli "altrettanto noti" dell’hard-rock e dell’heavy metal classico (Deep Purple, Scorpions, Iron Maiden ecc.). Nella sostanza ero ancora un neofita innanzi al mondo del metal, il quale mi intrigava non poco con le sue copertine truculente esposte negli scaffali dei negozi. Dopo un anno passato a spulciare dischi senza comprarli, solo per il gusto di ammirare le copertine, scrutare attentamente le foto, scorrere i titoli, provare a tradurre i testi, analizzare la durata dei brani nel tentativo di intuirne i contenuti, alla fine di cotanta preparazione “atletica ed intellettuale” (c’è da ricordare che all’epoca - strano ma vero - non esisteva internet!) mi decisi di acquistare l'allora ultimo album dei Metallica, nella convinzione puerile che un ultimo album fosse necessariamente meglio di quelli precedenti (ingenuità giovanili…).
Non avevo ancora conosciuto della vera "musica dura", per questo l’ascolto di "...And Justice for All" fu per me una mazzata tremenda. Fortunatamente tenni duro e quindi, invece di mollare il metal per sempre, eccomi ancora qua a parlarne. Ci volle però più o meno un anno per apprezzare questo lavoro così ostico. L’introduzione di “Blackened” mi dette subito le pelle d’oca e a quella singola emozione dovetti aggrapparmi per procedere in quel groviglio di riff e ritmiche battenti davvero estenuante per timpani non allenati. Possedendo poche cassette, e per giunta quasi nessuna originale, mi sentivo in dovere di perseverare negli ascolti, almeno per dare un senso alla spesa che avevo sostenuto. Mi imbattevo di tanto in tanto in qualcosa che attirava la mia attenzione, ma, abituato all’eclettismo di Queen e Pink Floyd, ai ritornelli di facile presa dei Deep Purple o degli Iron Maiden, ancora perdevo il filo, soprattutto nel secondo lato, per me non altro che una matassa informe di ingranaggi che giravano senza che ne potessi intuire la direzione. Non aiutavano i lunghissimi testi per lo più a sfondo politico/sociale, impenetrabili per il mio livello d’inglese dell’epoca.
La svolta ci sarebbe stata l’estate successiva grazie all’acquisto della cassetta di “Master of Puppets”, che invece mi piacque fin da subito. E così, in poco tempo, con la vorace riscoperta del resto della discografia della band, i Metallica divennero il mio gruppo preferito, e quando dico preferito intendo dire che per me non poteva esistere incarnazione “più bella e perfetta” in musica. A rafforzare la mia convinzione vi era il fatto che nessuno criticava i Metallica. Sembrerà incredibile oggi, ma una volta i Metallica erano considerabili infallibili, erano letteralmente intoccabili, e mi ricordo che nessuna rivista dell’epoca osava criticarli (questo ovviamente prima dell’uscita del Black Album). Grazie a questo insieme di cose, rivalutai così anche quel cugino “oscuro e violento” che era “...And Justice for All”, il quale divenne per me uno dei quattro capolavori dei Metallica.
Esso infatti costituiva indubbiamente un passo in avanti dal punto di vista stilistico. L'opera non era solo la reazione ad un momento difficile per la band (la morte di Cliff Burton), ma rappresentava un tentativo coraggioso di superare, pur rispettandola, la formula vincente inaugurata con “Ride the Lightning” e poi perfezionata con “Master of Puppets”: un consolidato copione che prevedeva il breve intro e la partenza col botto, la lunga title-track in seconda postazione, la power-ballad in quarta, la lunghissima strumentale nel secondo lato ecc. Venivano dunque confermate delle certezze, ma lungo questo canovaccio i Nostri cercarono di proseguire, esasperando l’aspetto tecnico e, se mi passate il termine, adottando un approccio progressivo.
All'epoca l'album fu salutato con gioia, in quanto possedeva, nel bene o nel male, due qualità tenute in alta considerazione dal metallaro, quasi come se fossero dei valori assoluti: il suono si era indurito (ossia i Metallica non si erano commercializzati) e le composizioni si erano fatte più complesse (ossia i Metallica continuavano a crescere, impegnandosi al 100%). Con gli occhi di oggi possiamo affermare che con questo album i Metallica si scrollavano di dosso gli umori eighties, avviandosi verso la decade successiva da veri leader. Si approdava ad una delle prime forme di technical thrash metal dove i rimandi al metal classico scomparivano quasi del tutto: la spigolosità dei riff in rapporto ai molteplici cambi di tempo e il diffuso clima di malcontento anticipavano il groove metal, prossimo ad esplodere, e, in un certo senso, il fenomeno nu-metal, che avrebbe caratterizzato la decade novantiana.
Con la dipartita del fondamentale Cliff Burton il team perdeva tuttavia in compattezza: il processo creativo, di conseguenza, si sarebbe configurato infatti lungo l’asse Hetfield-Urlich, con un Hammett sacrificato (la melodia, gli assoli passavano in secondo piano) e un Newsted addirittura inesistente, praticamente ignorato dalla produzione.
La produzione rimane indubbiamente una criticità per “...And Justice for All”, che vede una batteria secca in evidenza e suoni nel complesso sbilanciati. L’altro grande problema è un calo d’ispirazione che probabilmente risentiva dell’assenza pesantissima, in sede di scrittura, dello stesso Burton. Carenze che si traducevano in composizioni assai prolisse e dallo svolgimento farraginoso con ritornelli poco incisivi che giungevano alla fine di sfiancanti sequenze di strofe: che fatica pensare a coloro che, avendo acquistato il vinile, erano costretti ad interrompere l’ascolto ogni due/tre canzoni per girare prima un disco, poi l’altro, sulla piastra. Mentre non faccio affatto fatica a pensare che, dopo questo album, i Four Horsemen avrebbero virato verso una scrittura più snella.
Per festeggiare questo trentennale, ho riascoltato l’album (che in seguito avrei riacquistato in formato CD), ma più che coglierne la grandezza, ne ho riconosciuto i limiti. “Blackened” e la title-track sono lunghe, tortuose ed alla fine risultano faticose da digerire. Ad ogni modo ci possiamo ancora stare: siamo pur sempre all'inizio dell'album, pieni di energie. Con “The Eye of Beholder” mi trovo dopo così tanti anni rappacificato, ma rimane un brano modesto nel prodigioso canzoniere dei Metallica degli anni ottanta. “One” è "One", ci mancherebbe altro, ma l’ho ritrovata meno emozionante delle colleghe “Fade to Black” e “Welcome Home (Sanitarium)”, meglio orchestrate e più fluide ed armoniche nel loro incedere. Il secondo lato parte all'insegna dell'esaurimento nervoso con un trittico di brani decisamente impegnativo: la singhiozzante “The Shortest Straw” (mai piaciuta), "Harvester of Sorrow” (un po' freddina, a guardar bene vera anticipatrice del Black Album) e “The Frayed Ends of Sanity” (collocata a due terzi della scaletta si rivela sistematicamente una autentica mattonata sui coglioni). A mio parere l'opera si riprenderà nel finale con la commovente “To Live is to Die” (unico brano che ancora ospita il contributo di Cliff Burton, ma comunque inferiore a "The Call of Ktulu" ed "Orion") e la fulminante “Dyers Eve” (gioia per le mie orecchie in questa analisi targata 2018).
In definitiva "...And Justice for All" è un album che, pur arrivando ai giorni nostri con lo status di classico (in quanto partorito nel periodo più virtuoso della band), si rivela anticipatore di molti difetti dei Metallica post “Load”/“Reload”, come se i Nostri, nei momenti di scarsa ispirazione, divenissero logorroici, incapaci di selezionare le idee e di cestinare passaggi francamente trascurabili. Oggi come ieri, "...And Justice for All" rimane un ascolto faticoso: lascio dunque a voi la facoltà di salvarlo o tirarlo giù dalla torre a seconda che vogliate vederlo come un'opera complessa che merita di essere approfondita, o semplicemente come un lavoro prolisso.
Per motivi auto-biografici io lo tengo con me sulla torre: averlo riascoltato mi ha comunque immerso in una atmosfera positiva. Il pensiero, tuttavia, che questo album compia oggi trent’anni mi porta inevitabilmente ad una tragica conclusione: quanto cazzo sono vecchio!