Il censimento del metal in Tibet è un piccolo mistero. Il Tibet è ufficialmente Cina, ma per questa via non si individua nessun gruppo. Del resto, l'identità del Tibet è stata minata dall'operazione di diluizione etnica attuata dalla Repubblica Cinese, che ha introdotto forzatamente nella regione cinesi non nativi, facendo più o meno a pari con i nativi. Difficile quindi stabilire al volo cosa in effetti possa essere tibetano e cosa no.
Alla fine di questa affannosa e vana ricerca sono però arrivato almeno ad una conclusione: i tibetani, ossia i veri tibetani che auspicano il ritorno all'indipendenza del Tibet, vivono nell'insana illusione che esista del metal tibetano in Tibet.
Un video ci mostra l'esibizione di una band che ripete ossessivamente una frase con modalità che sembrano più ragamuffin che metal, salvo due o tre “sdreeeng” di chitarra in un passaggio, prontamente risucchiati nel nulla. Spulciamo nella playlist associata a questo video intitolata “Mix Tibetan Heavy Metal in Tibet”, per scoprire che il secondo brano è di tale Tenzin Seungyi, “rapper tibetano” (…).
Si ritorna in territori melodic rock con i Melong, quindi lontani dal metal come non mai, i quali inneggiano all'unità delle genti tibetane sotto le bandiere tibetane proibite dal governo cinese. Chiediamo lumi al documentario “Viaggio nel sogno: il primo documentario tibetano su heavy metal e buddismo”, di un'ora e venti minuti di durata. Chissà quanto materiale, quante chicche sul metal tibetano altrove irreperibili! E invece... dobbiamo assistere al ritorno di un tizio tibetano-canadese, che scende da un trenino a vapore per (credo) guidare le masse di nativi verso la vittoria, sotto il vessillo del Tibet libero e con il patrocinio e sotto l'egida del buddismo.
A parte la difficoltà (per noi caproni) di comprendere esattamente la “tibetanità” solo tramite la chiave del buddismo (che non è solo tibetano), la rivoluzione metal-buddista per un Tibet libero è appunto una fantasia del protagonista, tale Shenpenn Khymsar. Ciò che poco mi convince della sua visione del metal è la presunta funzione strumentale del metal alla pacificazione, poiché quando si parla di vittoria, in mezzo ci deve essere anche una guerra... a meno che non si intenda che i cinesi, stremati dal melodic rock dei Melong, gettino la spugna e restituiscano al Tibet la sovranità.
La carta “cantilena totale” è forse un'arma bellica non da sottovalutare. Ad ogni modo, così come il metal non è sinonimo di guerra, odio e distruzione (con buona pace di gente tipo i Nargaroth), così neanche lo è di pace, serenità e amore universale. Ci sono numerosi artisti tibetani esuli, o semplicemente emigrati, e nessuno apparentemente di stanza in Tibet, forse davvero perché fare musica in Tibet significa quasi automaticamente chiamare in causa il folk tibetano, che per la Cina è sinonimo di insurrezione (e quindi perseguibile).
Il protagonista del video in questione, il già citato Shenpenn Khymsar, suona in una death metal band, gli Avatara, di cui si trovano scarse tracce in rete: una band multietnica, sostanzialmente canadese, accomunata dalla fede buddista. Cos'è il metal per loro? Per i membri di origine tibetana appunto può essere un richiamo alle origini e alla lotta per l'indipendenza della loro terra natìa. E per i canadesi? Mah, il batterista Jon Morrison ci dice che il metal serve per appagarsi, per sfogare l'aggressività: cose non trascendentali, ma condivisibili. Kyle Roche ribadisce che il metal serve per sopportare tutta la merda che ti capita e per dar sfogo alla rabbia. Ma ecco che a salvare la tesi del documentario arriva Peter Sacco, cantante-chitarrista che vuole smarronare, sostenendo che il metal servirebbe “perché aiuta a essere migliori come buddisti e migliori come esseri umani”.
La storia ci insegna a diffidare di chi pontifica circa il diventare un essere umano migliore, peggio ancora se ci si aggancia a moduli religiosi o ideologici, con personaggi illuminati che “squittiscono ad ogni loro nuovo Vero” (per citare Guccini). Sacco sostiene: “Se non avessi suonato metal a quest'ora starei in cima ad una torre a giudicare dall'alto tutti quelli che passano, magari perché uno ha le scarpe rotte ecc.”. Beh, allora verrebbe da pensare che suonando metal già ha deciso di essere migliore di altri, e questo è un po' la stessa cosa.
Se la cordata internazionale pro-Tibet utilizzerà il metal come principio coagulante, e se questo servirà realmente alla causa, non saprei. Ma che questo avvenga in salsa buddista e in nome di migliorie da apportare all'umanità, non mi entusiasma. Al contrario di realtà come quella iraniana, dove il metal esiste anche se inviso alle autorità (e dove è motivo di punizioni corporali, carcerazione e anche peggio), in Tibet semplicemente una scena non c'è.
Per suonare metal sulle vette innevate, come ci hanno dimostrato gli Immortal in "All Shall Fall", serve forse un odio che muove tutte le cose, mentre con l'amore universale si patisce solo il freddo…
A cura del Dottore
(Vedi le altre puntate)
A cura del Dottore
(Vedi le altre puntate)