Capitolo 7: "ALIVE III" (1993)
“You wanted the best and you got the best! The
hottest band in the world…KISS!”
E’ con queste parole che i quattro rockers mascarati erano soliti aprire le danze ai propri concerti nel periodo
di loro massimo fulgore. Cioè la seconda metà degli anni settanta.
Trattare i Kiss è un terreno
fottutamente sdrucciolevole, così come ogni volta che si provi a dire qualcosa
di originale e sensato su quelle che sono delle vere e proprie icone, delle
leggende del Rock. Cosa che oggettivamente i Kiss sono. E questo a prescindere dalla valutazione di
merito artistico collegato alla loro musica. Del resto quando vendi oltre 130
mln di copie di dischi in 45 anni di carriera vuol dire che…hanno avuto ragione
loro!
Amati da masse multigenerazionali
di rocker e non, e odiati dalla maggior parte dei metalhead (anche in redazione
questa dicotomia è presente…), per tanti critici i Kiss sono poco più che delle
facce pitturate su magliette, bandane e mutande. Macchine da soldi, sfruttatori
di una trovata commerciale capace di "bucare", dopo la strada spianata dallo shock rock di Alice Cooper, anche tra i giovani borghesi della East Coast, vogliosi di anticonformismo e imbevuti di ribellismo di facciata. Un fenomeno che, di concreta qualità musicale, non ha
nulla.
Ma andiamo al sodo e al fulcro di
questo post. Non mi vergogno a dirlo: per me i Kiss esistono solo in quanto
entità live. Non mi sono mai troppo interessato ai loro dischi in studio. Li ho
ascoltati, certo, e la cinquina di album successivi al debut omonimo (da
“Hotter than hell” a “Love gun”, cinque dischi in meno di 4 anni) rappresentano il
meglio della band newyorkese; album che, per la quantità di pezzi memorabili
ivi presenti, possono essere considerati quasi sorte di Greatest Hits, piuttosto
che album in studio (in particolare i grandissimi “Destroyer” e “Love gun”).
Ma è inutile girarci attorno: per
un gruppo che ha fatto della spettacolarità, del colore, della provocazione e
dell’immagine la sua fortuna e la sua sostanza, la dimensione live è la
situazione in cui tutta la loro ragion d’essere si sublima. “Alive!” (1975),
“Alive II” (1977) e “Alive III” (1993) sono tre tomi (i primi due doppi nonostante fossero sotto i 75’ di
durata) imperdibili per avere un’idea
della caratura dei Nostri. E questo perché le versioni dei brani, in tutti
e tre i casi, sono decisamente più potenti, heavy e trascinanti delle versioni
in studio, grondanti come sono di sudore e bestiale carnalità, e nelle quali i
musicisti danno sfogo di grandi capacità
interpretative (supportate dal delirio del pubblico) e doti tecniche importanti.
Se “Alive!” diede fama
internazionale alla band, consacrandoli ad appena due anni dal debut album tra
i Big del Rock (peraltro con un repertorio ancora striminzito in scaletta); ed
“Alive II”, pubblicato ad appena due anni dal suo gemello, cercò di replicarne
senza riuscirci il successo (nonostante potesse contare su carichi da 90 come
“Detroit rock city”, “Calling Dr. Love”, “Christine sixteen”, “Hard luck woman”
e “Beth”, per citarne solo alcuni…), nella nostra Classifica inseriamo
formalmente “Alive III”, che di fatto è il live più heavy della band, quello
che un metallaro potrebbe maggiormente apprezzare e con una scaletta meravigliosa,
che non va mai a vuoto. Dallo scoppio elettrico iniziale di “Creatures of the
night”, passando per i momenti più riflessivi ed emozionali (“I still love
you”, “Forever”) fino alla conclusiva “God gave rock and roll to you II”. Una
band che, grazie anche all’apporto di un grandissimo Bruce Kulick (che alle sei
corde non fa di certo rimpiangere il fuoriuscito Ace Frehley), fa vedere di che pasta è fatta
sulle assi di un palcoscenico.
Ma non solo: "Alive III”, oltre ad essere una
sorta di summa definitiva di tutta la saga Alive dei Kiss, a differenza dei
suoi due vecchi predecessori, è quello con caratteristiche diverse: fu il primo
album dal vivo senza la formazione originale (Bruce Kulick ed Eric Singer
avevano sostituito Frehley e Criss rispettivamente alla chitarra e alla
batteria) e quello nel quale i componenti della band (con la notevole presenze
del guest Derek Sherinian alle tastiere!) non si presentarono mascherati. Via il face painting quindi, via i personaggi costruiti a tavolino. Solo musica&sudore,
quasi a rivendicare talento e capacità compositive, al di là, appunto, dell’immagine.
Un live unmasked a 20 anni esatti dalla loro nascita. E nel quale venne
inserita nel booklet anche un albero genealogico delle diverse line up che si erano succedute fino a quel 1993, quasi
come a dire: questi siamo noi adesso ma siamo anche il prodotto di quello che è
stato in queste due decadi.
E per chi ancora pensa ai Kiss
come ad una bolla di sapone, a musicisti insipienti passati alla Storia del
Rock più per il numero di donne avuto, agli eccessi di droga e alcool ed ai
soldi guadagnati, piuttosto che per la loro caratura artistica, beh…i tre Alive, e soprattutto questo ”Alive III”, è una smentita chiara e forte, bissata
appena tre anni dopo da quel capolavoro immane che sarà il loro “MTV
Unplugged” (per chi scrive uno dei live più belli di sempre), dove componenti vecchi e nuovi si uniranno per dare vita ad uno
show da lacrime, colmo di pathos (ascoltatevi “Beth” con Criss alla voce e poi
ditemi) con una tracklist da far rimanere di stucco.
Ma soprattutto la saga Alive dei Kiss, oltre ad essere un compendio di una carriera unica e irripetibile, è idealtipica di tutto un movimento storico, quel genere definito in mille modi (hair/glam/AOR/pop/hard n' heavy) che trovò artisticamente la sua più importante ragion d’essere nei grandi spazi dal vivo. Nelle arene.
E del quale, volenti o nolenti, i Kiss rimarranno i più
grandi. Per sempre…
A cura di Morningrise