Poco tempo fa leggevo un articolo su Franco Fortini, poeta e intellettuale italiano del Novecento che trovo spesso sottovalutato, ma più che guidarvi nel suo mondo vorrei soffermare l’attenzione su un commento di un critico: “Se c’è un luogo dove non vorrei entrare neppure per tutto l’oro del mondo, questo è la mente di Franco Fortini”.
Sono menti affollate di problemi e dubbi; di spazio libero non ne vedo molto. Menti dove non c’è posto.
Per alcuni poeti le idee sono come fantasmi, mentre per Fortini non c’era testo scritto che esprimesse il suo messaggio senza riferimento a una situazione politica precisa.
Una mente piena di grovigli, come quella di Ihsahn che dona sempre un’interpretazione rigorosa ma varia alla sua musica. Fino al 2001 è stato il leader degli Emperor ma, pur dissociando la sua opera solista dalla band madre, non ci può essere un’analisi dei lavori senza riferirsi al contesto storico del Black metal.
Prendiamo ad esempio “Poesia ed errore” (1959) un libro che raccoglie una buona parte dei componimenti di Fortini dove errore indica un mix tra desideri svaniti e fallimenti. Così anche Ihsahn costella i suoi album di passaggi Black repressi da cantato pulito, ma senza dimenticare le proprie radici, a metà tra una ripresa consapevole e un allontanamento deciso dalle sonorità estreme. Le virate progressive sono come salti nel vuoto istintivi senza una vera ispirazione e mi appaiono perciò come le poesie di Fortini.
Così come il poeta si dedicò ripetutamente al commento di Kafka, ma scelse come guida il comunismo di Brecht, e volle ignorare Orwell, Silone e Camus. Allo stesso modo Ihsahn decide di sentire estranei i vecchi compagni di viaggio come Satyr o Bjørnson e percorrere una strada che lo porta ad un isolamento vicino a quello di Fortini.
Il poeta ammette infatti in un suo scritto: “C'è in me qualcosa che allontana la gente e mi impedisce l'amicizia. La cosa si ripete negli anni con tanta regolarità che non posso imputare gli altri.”
Anche Ihsahn è solo, circondato da turnisti senza faccia e poco noti al pubblico. Resta fieramente con la sua mente affollata di idee a fronteggiare l’addio al Black metal, ma come il poeta non può mai dissociare le opere dal contesto storico.
Sono due personaggi che mi piace osservare, a distanza, ma li seguo con interesse avvicinandomi dubbioso al loro mondo per scoprire oggi che forse il miglior modo per descrivere la musica del norvegese sono queste parole del poeta italiano:
Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore
Una rabbia strappata uno stelo sbranato
Un urlo altissimo
Ma anche una minuscola erba
Qualcosa comunque che non possiamo perdere
Anche se ogni altra cosa è perduta
E che perpetuamente celebreremo
Perché ogni cosa nasce da quella soltanto”