Darussalam, Dimora della Pace.
Così viene anche chiamato il Sultanato
del Brunei. Un luogo talmente pacifico che, a breve, il Sultano e Monarca
assoluto Hassanah Bolkiah (che
governa democraticamente e pacificamente da soli 51 anni…) farà entrare in
vigore la sharia, con tanto di taglio di mani e piedi per i ladri e lapidazione
per adulteri e omosessuali. Insomma, roba da IS. O da Arabia Saudita.
Ma, così come tolleriamo l’inosservanza
dei diritti civili in Arabia perché alleato occidentale nel Vicino Oriente e
fornitore petrolifero privilegiato, così sorvoliamo sulle nefandezze del
Brunei, dove il nostro Hassanah, tetragono più che mai a qualsivoglia pressione
interna e/o esterna, accentra in sé tutti i poteri
(legislativo-esecutivo-giudiziario-religioso). E ci facciamo una ragione anche del
fatto che i partiti politici siano banditi, le libertà religiose ristrette (i
pochi cristiani non possono neppure festeggiare il Natale) e la struttura
amministrativa sia di stampo feudale, a regime familistico. E questo perchè,
come le Isole Cook o Panama, anche il Brunei, oltre che grande produttore di
petrolio da quasi un secolo, è un utile paradiso fiscale (e neppure tra quelli
inseriti nelle black list internazionali…).
E pazienza se i proventi del
greggio, anziché essere usati per asfaltare le strade delle zone interne del paese o
costruire qualche ospedale in più (ma c’è da dire che istruzione e sanità sono completamente gratuiti per i bruneiani) vadano per finalità ben più importanti, come ad
esempio mantenere il parco macchine di Bolkiah (migliaia e migliaia di
supercars) e la sua reggia di 200.000 m² con 257 bagni (del resto, su un’area così
vasta, se ti scappa la grossa è sempre bene avere un cesso a portata di mano). Il
denaro compra tutto. Nella forma mentis del Sultano evidentemente anche le
persone, tanto che, dopo le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, offrì al nostro
medagliato Ennio Falco 2 mln di dollari per cambiare nazionalità e diventare
bruneiano (l’idea era quella di far vincere la prima medaglia olimpica al paese…).
Per onor di cronaca, Ennio, umilmente, rifiutò.
E non è forse un caso se la scena
metal bruneiana non si è sviluppata principalmente, come ci si aspetterebbe, nella capitale Bandar Seri Begawan,
dove vivono i 2/3 dell’intera popolazione. Ma c’è più vitalità metallica in
periferia, come a Muara (estremo est del paese), Tutong (centro) e soprattutto
a Kuala Belait, estremo ovest al confine con la Malesia. Da qui infatti
provengono diverse band dedite al metallo estremo, come i Deamon, probabilmente la prima metal band bruneiana, attiva da
inizio anni novanta e, forse, ancora attiva. Dico “forse” perché le sue tracce
si perdono nel 1992, anno del loro ultimo EP “Hellstorm”. Come si suol dire, se
ci siete battete un colpo (regime di Bolkiah permettendo).
Da un decennio non lo battono, il
colpo, neppure i Grotesque (da non
confondere con la mitica band death svedese), che nel 2009 si erano resi
fautori di un ottimo singolo “Let me fall”, un death metal oscuro e alquanto
primigenio ma ben suonato e con un cantante, tal K-Rol, degno (cosa non
scontata in Asia).
Qualcosa di più recente la
ritroviamo invece in uno split a 4 (sic!) del 2018, “Invoking the nusanthropian
supremity” (della serie: l’unione fa la forza). Vediamo un po': a far da
apripista sono i Luk Tujuh, one man
band creata dal polistrumentista Adukasaria Sang e che si esprime, con una
produzione raffazzonata ma calda, in un power melodico strumentale che, se non
fa di certo gridare al miracolo, è comunque de core. Meglio prodotto parrebbe
un loro upcoming EP, dove a emergere in modo preponderante è invece la vena
folk della band. Era il 2012 e dell’upcoming ep non vi sono tracce…
Se dei Masyghul non riusciamo a reperire alcun brano, qualcosa si riesce
ad ascoltare di altri protagonisti dello split. Ad esempio dei Noiratasya (traducibile come Fantasia
Nera). E ci si riesce perché i giovani si son fatti mettere sotto contratto in
Thailandia quando nel 2007 han dato alle stampe un discreto full lenght di black
metal a tratti primordiale e in altri avantgarde, ma nel complesso atmosferico
e ben architettato. Al di là della solita voce inascoltabile (un grugnito
cavernicolo disarticolato, alternato a rantolii gargarismatici) il duo ci mette
cuore e passione, risultando credibile. Del resto il black rimane il veicolo
privilegiato anche del metal bruneiano, tanto che tra le formazioni disciolte
possiamo trovare gli ottimi Azmael
che già nel 1994, quando in Europa eravamo nel piano dell’ondata BM norvegese,
anche qui si davano alle stampe demo malvagi tanto quanto. Ascoltatevi l’ottimo “The legend of the eastern
land” per credere…
L’infaticabile Adukasaria lo
troviamo anche dietro al progetto Shadowmirth,
band melo-death che però non è ancora riuscita ad esprimersi sulla lunga
distanza (un EP e un paio di split per loro), gravati da carenze strumentistiche
che affossano i brani, i quali, tra le nebbie di suoni da cantina, non
sembrerebbero essere neppure malvagi. Il melo-death (lontano però dagli stilemi
scandinavi) ci regala anche un po' di gnocca con i Senjakala, che
presentano la graziosa Sam Siren come frontwoman (non particolarmente dotata
per la verità). Trascurabili.
Molto meglio invece, rimanendo nel genere, i Draconaeon che già dal 2003 si erano affermati nell’underground locale con l’ottimo singolo “Rivers of blood, rivers of sorrow”. La band si è sciolta nel 2015 ma, inspiegabilmente, nel 2017 li ritroviamo in uno split con i Suicidal di Singapore: 3 brani per loro ma…già editi in una loro demo del 2007 (ma che cazzo di senso ha?!). Ad ogni modo mi sembrano tra le migliori cose del Brunei, sia per tecnica che per capacità compositive. Bravi bravi.
Molto meglio invece, rimanendo nel genere, i Draconaeon che già dal 2003 si erano affermati nell’underground locale con l’ottimo singolo “Rivers of blood, rivers of sorrow”. La band si è sciolta nel 2015 ma, inspiegabilmente, nel 2017 li ritroviamo in uno split con i Suicidal di Singapore: 3 brani per loro ma…già editi in una loro demo del 2007 (ma che cazzo di senso ha?!). Ad ogni modo mi sembrano tra le migliori cose del Brunei, sia per tecnica che per capacità compositive. Bravi bravi.
Non mancano neppure in questo piccolo sultanato band di groove/metalcore, generi che non ci esaltano granchè (da segnalare
comunque i Beyond Fiction, autori
anche di un paio di video reperibili on-line) e cerchiamo di rintracciare un
po' di metal classico, ma, anche in Brunei, non se ne trovano molti. Citiamo
giusto i buonissimi Wartillery
autori di un paio di EP debitori del primo thrash anni ottanta (i Metallica di
“Kill’em all” sono un riferimento). Spassosissimo il loro video di “Dying to
live” girato con amici che pogano in modo sfrenato all’interno di una stanzetta
di 15 m²
ingombra di scatoloni e sacchetti dell’immondizia. Il video termina con la consegna
a domicilio di pizze da asporto, una bella mangiata collettiva e tutti i membri
della band col muso sporco di pomodoro…
Più professionali e seriosi gli Hebiimetaru (traslitterazione dal giapponese che sta per heavy metal) che mescolano heavy classico a groove metal e qualche arrangiamento di tastiera in sottofondo.
Più professionali e seriosi gli Hebiimetaru (traslitterazione dal giapponese che sta per heavy metal) che mescolano heavy classico a groove metal e qualche arrangiamento di tastiera in sottofondo.
Insomma, il viaggio in Brunei ci ha soddisfatto, più che altrove; va detto che, rispetto a
molti altri paesi asiatici, qui troviamo produzioni più raw, meno
professionali, ma con idee nondimeno valide. E sempre incentrate su generi
estremi con atmosfere sul gelido andante. Quasi fosse un modo, da un lato, di
combattere il caldo umido tropical-equatoriale, e dall’altro di esprimere un disagio e una libertà artistica "estrema" nonostante il
clima repressivo del regime sultanino.
Confidando che Bolkiah sia più distratto
dall’incrementare il suo parco macchine piuttosto che occuparsi di qualche giovane
musicista anti-sistema…
A cura di Morningrise