L'altra faccia del Doom, potremmo dire, è quella che si propone di capirci qualcosa di più se si rallenta. Potremmo anche dire che all'origine del doom, negli anni della “psichedelia”, forse era proprio questa l'idea, cioè una musica che riflettesse quella dimensione sospesa e d'approfondimento indotta dalle droghe che “aprivano la mente” (i mind expander). La aprivano e non la richiudevano spesso, lasciando poi dietro di sé le cosiddette “teste acide”, cioè gente che andava in trip spontaneo, senza più bisogno di droghe.
Il doom è quindi poi divenuto “stoned”, ovvero qualcosa che visto da fuori sembrava più rallentato in maniera futile e ridondante, che non aperto e caleidoscopico come visto dal dentro. Un capirci di meno, quindi - con tutto il mistero e il fascino che il capirci di meno e l'esser lenti e duri può avere.
Eppure, dicevamo, in origine il doom poteva avere invece un'accezione aperta, cioè rallentare per captare frequenze impensate. La verità viaggia su frequenze ultrasonore o infrasonore? Per esempio secondo Lovecraft, il “risuonatore” che metteva in comunicazione i viventi con i mondi nascosti era una specie di sincronizzatore che rallentava la realtà per allinearla con la dimensione parallela. L'ipnosi propone di aprire le porte a contenuti nascosti tramite un rallentamento guidato delle funzioni mentali. E si allinea a questa teoria anche Bruno Lauzi, con “La bella tartaruga”, canzoncina per bambini che nasconde però un significato esistenziale. Si immagina che la tartaruga fosse in origine un animale corridore, che poi ad un certo punto si fermo per stanchezza, e si rese conto che, camminando lentamente, riusciva a vedere moltissime cose che gli erano prima sfuggite.
Altro elemento per avere una prospettiva solitamente trascurata sul mondo, è l'altezza. Chiunque ambisce a vedere le cose dall'alto, come se la verità stesse sui tetti. E invece chi è basso vede meglio le prove lasciate in terra, negli interstizi, dove chi è alto non arriva, o non vede proprio. Bruno Lauzi decanta infatti l'abilità del Bassotto Poliziotto (Johnny il Bassotto). Il taglio buffo e fiabesco appare certo lontano dal doom, eppure i concetti sono uguali. La verità sta in terra, persa per la strada, oppure è già scappata, per cui non rimane che tornare indietro e ripercorrere a passo lento tutto ciò che poteva avere un significato, e invece ormai non lo avrà più.
La figura de “il poeta” che viveva di un ricordo; un ricordo che, mentre il mondo invece va in altre direzioni, gli cresce dentro e se lo inghiotte in un suicidio. Il tema di “Ritornerai”, in cui l'amore è solamente un ritorno, chiaramente improbabile, perché purtroppo si può solo andare avanti nella realtà. "Ritornerai" è un ossimoro, di un'amarezza definitiva, sottile, sarcastica: la donna tornerà indietro sui suoi passi, forse, un giorno; ma è già tardi perchè questo possa cancellare il danno. Insomma il destino (doom) è immutabile. Tanto vale arrivare tardi, rimanere indietro, perdere la corriera: alla fine della strada c'è comunque sempre la decadenza e la disillusione.
Perché però allora volerne essere consapevoli? In questa nuova ottica La Tartaruga lauziana e Johnny Bassotto diventano tristi testimoni del destino cinico e baro. Ne vedono i tasselli, le articolazioni, perché vanno piano, e guardano in basso con una lente di ingrandimento...e allora non sarebbe meglio andar veloci e ignorare tutto ciò? C'è sempre l'isola felice, il “locus amoenus”, cioè quello spicchio di mondo in cui rifugiarsi a sognare che un'emozione duri per sempre, che una scoperta non si esaurisca mai, che un piacere si rinnovi sempre. Ma per il resto chi ama il doom sceglie la consapevolezza lenta, invece della velocità ignara.
Un brano su tutti riassume la poetica della fuga dalla realtà del doom, del mondo inospitale che può essere ignorato almeno fino all'appuntamento prefissato col dolore: “Onda su Onda”. Di cosa parla "Onda su Onda"? Di un innamorato che lascia la donna nella sala da ballo di una nave da crociera, e mentre lei troieggia a sua insaputa, lui è sbalzato e cade in mare. Lei danza spensierata mentre lui si fa piccolo piccolo nel mare di notte, in mezzo alle onde minacciose. L'incubo finirà su un'isola deserta, un piccolo paradiso terrestre nel quale, almeno, i dolori rimangono distanti e irreali. I Saint Vitus che cercano un'oasi nel deserto americano sfrecciando sulle moto per fuggire al fronte del destino, sono forse così diversi? No, hanno solo dei maglioni meno terrificanti di quelli a righe di Lauzi.
L'altra grande “statura” del doom, il compianto Peter Steele, coi suoi due metri poteva guardare il mondo dall'alto. E invece, auto-distopicamente, pare preferisse passare gran parte del suo tempo nella sua dimora, scelta in un seminterrato di New York. Forse lì trovava la sua isoletta di pace, o di consolazione, mentre fuori “onda su onda” la vita lo sballottava.
In questo gioco metaforico sulle altezze, si può dire che è tanto doom il nanetto Lauzi sulla cima di un palco, quanto i due metri di Steele nell'abisso di un seminterrato.
A cura del Dottore