Ed eccoci all'ultima parte della nostra Retrospettiva sui Queen.
Di seguito, la seconda tranche del nostro Greatest Heavy Hits. il secondo gruppo di 10 canzoni della nostra compilation, "toccando", come detto tutti i full lenght dei Nostri.
Eravamo rimasti al 1975 con "A Night at the Opera". Proseguiamo quindi con il 1976 e apriamo con...
GREATEST HEAVY HITS II
11. “White Man” (da “A Day at the Races”, 1976)
Dell’album gemello di ANatO,
contenente una certa “Somebody to love”, ci piace inserire nel nostro GHH dei Queen, la sensazionale “White Man”, sorta di antesignana di “Run to
the hills” degli Iron. Eh si, perché i nativi americani, e le ingiustizie e
violenze subite, sono al centro del testo scritto da May, atto d’accusa,
descritto dal punto di vista indigeno, verso l’Uomo Bianco (On the Bible you
swore / Fought your battle with lies). Musicalmente siamo di nuovo di fronte a
un ficcante mid-tempo con un sound chitarristico dai connotati etnici ma che
non lesina riff doomici e più propriamente metal. Senza dubbio, il brano più
violento del disco (assieme all’opener “Tie your mother down”, contenuta nella
compilation “Queen Rocks” e quindi non riproposta nel nostro GHH)
12. “Fight
From the Inside” (da “News of the world”, 1977)
Le canzoni composte da Taylor
sono generalmente quelle più heavy nel canzoniere queeniano. In NotW, ve ne
sono due: l'ottima “Sheer Heart Attack”
(contenuta sempre in “Queen Rocks”) e “Fight from the inside” che ruota intorno a un ficcante giro di basso ed a uno di chitarra
(peraltro Taylor suona tutti gli strumenti) quasi dai rimandi southern metal. E
non a caso un certo Slash definirà questo riff come uno dei suoi preferiti…però
picchia giù duro e merita il posto che le assegnamo.
13. “Dead
on Time” (da “Jazz”, 1978)
Ricordato per lo più per la presenza di “Fat
bottomed girls” e “Bycicle race”, “Jazz” presenta in realtà diverse songs dal
tiro davvero heavy (“If you can’t beat them”, “Let me entertain you”, “Fun
it”). A noi piace inserire nel nostro GHH una delle canzoni più veloci e aggressive dei Queen, “Dead on
Time”: 3’ e mezzo di speed rock (ai
livelli della mitica “Stone cold crazy”) guidato dal drumming tellurico di
Taylor e con Freddy che si districa su un testo altrettanto rapido, un vero e
proprio scioglilingua. Altra piccola gemma, spesso nascosta, della discografia
dei Nostri.
14. “More of That Jazz” (da “Jazz”, 1978)
Ancora una song interamente cantata,
e suonata, da Roger Taylor. Merita di star dentro la nostra Retrospettiva sia per il
bellissimo riff portante, a metà tra heavy e doom, e per il fatto che la voce
di Roger raggiunge vette pazzesche (a chi non lo sapesse, ricordiamo che
l’estensione della voce del drummer del Norfolk era superiore a quella di
Freddy…). Il rifferrama conclusivo è tra le migliori cose partorite dal
quartetto in tutto “Jazz”.
15. “Dragon
Attack” (da “The Game”, 1980)
L’inizio dell’era sintetizzatori
nel sound dei Queen (non propriamente una “good new”) si apre nel 1980 con “The
Game”, per chi scrive il full lenght meno riuscito dei Nostri (ovviamente, dopo
il seguente “Hot space”). “Dragon Attack” (b-side della celeberrima “Another
one bites the dust”), canzone amata da John Deacon e coverizzata anche dai Testament,
si caratterizza per un groove ritmico ficcante (col basso dello stesso Deacon
in primissima evidenza) e per distorsioni di stampo heavy blues di May, che la
compose. Tra le meno peggio del platter…
16. “The Hero” (da “Flash Gordon”, 1980)
Dino de Laurentiis (papà di
Aurelio) commissiona e i Queen realizzano: la colonna sonora di “Flash Gordon”
non passerà certo alla storia (come il film, del resto…), caratterizzata dal
forte uso dei sintetizzatori e da molti (troppe?) parti parlate e tratte dalle
scene del film. Ma, a 40 anni di distanza, le due vere e proprie canzoni
inserite, la title track, opener del platter, e la conclusiva “The Hero”, con
la sua aggressività e la parte centrale arrangiata dall’orchestra guidata da
Howard Blake, rimangono due canzoni trascinanti, dal “tiro” notevole con assoli
e ritmiche di stampo metal.
16. “Staying
Power” (da “Hot Space”, 1982)
E’ una forzatura, lo premetto.
Nel mezzo disastro di ”Hot Space” (che comunque, ricordiamo, ha dato i natali all’immortale
“Under Pressure”) l’opener “Staying Power”, riproposta con vera batteria e due
chitarre nel tour di supporto al disco (al posto dei sintetizzatori e della
drum machine dello studio), ha un più che discreto groove che fa muovere gambe
e chiappe all’ascoltatore nascondendo un’intrinseca potenzialità heavy (i
vocalizzi finali di Freddy potrebbero essere inseriti in una song dell’epoca
dei Judas Priest, tanto per intenderci).
In realtà il disco nasconde una
piccola perla hard rock, “Put Out the Fire” che, non a caso, è stata inserita
per rappresentare "Hot Space" in “Queen Rocks”.
17. “Machines
(or ‘Back to humans’)” (da “The Works”, 1984)
Dopo il passo falso artistico di "Hot Space", i Queen tornano in splendida forma con l’ottimo “The Works”, dando di nuovo
corpo e fiato alla loro vena hard/rock. Non a caso in esso troviamo due delle
canzoni più vicine al metal di tutta la produzione ottantiana: “Tear it up” e “Hammer to Fall”, due top song entrambe inserite nella solita “Queen Rocks”. A noi, nella tracklist guidata dall’opener “Radio Ga Ga”, rimane da omaggiare
quest’altra canzone di Taylor, “Machines”, sorta
di denuncia pre-FearFactory della disumanizzazione dell’uomo contemporaneo.
La song è pesante, condita da azzeccatissimi ed estranianti effetti industrial e un testo che tratta di RAM, disk drive,
bytes, software&hardware e altre componenti informatiche, con tanto di voce
filtrata robotizzata. Una sperimentazione ben riuscita.
18. “Gimme the Prize (Kurgan’s theme)” (da “A Kind of Magic”, 1986)
La ritrovata ispirazione di "The Works",
viene ribadita due anni dopo dall’altrettanto ottimo AKoM, platter direttamente
derivante dalla colonna sonora del cult-movie “Highlander”, uscito nelle sale proprio in quel 1986. L’highlight
heavy dell’album è, senza ombra di dubbio, la meravigliosa “Princes of the Universe” (che fa bella
mostra di sé in “Greatest Hits III”). A noi rimane da sottolineare la presenza
della mayana “Gimme the Prize”, incomprensibilmente odiata da Mercury e Deacon.
Introdotta da un isterico assolo di May, la song esplode con l’ugola di Freddy
in un epico ”Here I am, I’m the master of your destiny!”. E’ sicuramente una
delle canzoni più pesanti dei Queen, trainata da un bel riffone e da un Mercury
ispirato, tagliente e aggressivo nelle sue linee vocali. Per essa si può
parlare a pieno titolo di heavy metal. Unica nota stonata: nella parte centrale
troviamo la registrazione di parti del film (risatine e frasi del Kurgan del
titolo, l’antagonista principale di Christopher Lambert), miste a suoni di
duelli all’arma bianca: inserto alquanto inutile. Ma la resa complessiva è più che
valida.
19. “Was
It All Worth It” (da “The Miracle”, 1989)
Oscurata dalle popolarissime “I
want it all”, “The invisible man”, “Breakthru” e dalla title track, in realtà
il vero capolavoro di "The Miracle" è la conclusiva “Was It All Worth It”, sorta di
bilancio che Freddy fa della sua vita ultra-esposta all’interno del mondo dello
spettacolo. Brian May è protagonista con la sua Red Special doppiata dalle tastiere
in un epico tema portante, fino al tostissimo assolo. L’ultimo
minuto, nel camaleontismo tipico della prima era dei Queen, vira su una sezione
sinfonico-orchestrale, per poi tornare al tema principale.
Ne è valsa la pena, si chiede
Freddy? Giving all my heart
and soul / Staying up all night […] / Living breathing rock n'roll this never
ending fight…Si, Freddy, ne è valsa la pena ma la tua battaglia non
sarebbe, ahinoi, durata a lungo…
20. “The Hitman” (da “Innuendo”, 1991)
A pochi mesi dalla morte di
Freddy e dalla loro fine, i Queen piazzano un colpo di coda notevolissimo.
“Innuendo” è un album vario, ispirato, ricco di piccole perle non di immediata
assimilazione ma straordinarie se (ri)scoperte nel tempo (“I can’t live with
you”, “Ride the wild wind”, “All god’s people”). Se la title track che apre
l’album e “The show must go on” che lo chiude, hanno da sempre catalizzato
l’attenzione di pubblico e media, a noi piace soffermarci sulla parte heavy del
disco: “Headlong” (contenuta in “Queen Rocks”) e “The hitman” sono due ottimi
esempi della cazzutaggine e della grinta di una band mai doma, due brani che
non avrebbero sfigurato neppure nel coevo Black Album dei Metallica…
E così siamo arrivati al termine
del nostro Greatest Heavy Hits. L’intento era quello non solo di sottolineare il lato heavy dei Queen (spesso bistrattati e snobbati tra i fan metallici) ma anche di far
riscoprire alcune delle più belle songs della Regina che non hanno mai avuto il
rilievo massmediatico che avrebbero meritato.
Ma al di là di questo mi piace
chiudere, ancora, con una citazione del collega Mementomori che oltre 3 anni fa scrisse queste correttissime parole, degna chiusura della nostra “Guida pratica per metallari”:
[…] è innegabile che per molti che sono entrati e dimorano oggi
nel Reame del Metallo, spesso il primo passo è stato proprio ascoltare una
canzone dei Queen. Quanti di noi, in giovane età, hanno iniziato ad apprezzare
e seguire la musica in modo più attento e consapevole attirati
dai videoclip della Regina? Sedotti dall'ugola straordinaria di
Mercury? Elettrizzati dal chitarrismo ispirato di Brian May, che
di bei riff ce ne ha regalati a palate? Quanti di noi si sono ripetutamente
esaltati sulle note oramai leggendarie di "We are the Champions"
(bellissima canzone, purtroppo rovinata da una eccessiva sovraesposizione
mediatica)? E chi non ha scosso la testa almeno una vola innanzi alle
energiche schitarrate di "One Vision" e di "I Want It
All", o ai ritmi travolgenti di "Stone Cold Crazy"? Chi di noi
non si è emozionato innanzi allo scoppio dell'epico ritornello
dell'evocativa ballad "Who Wants to Live Forever"? Chi non
si è strabiliato innanzi alle imprevedibili evoluzioni di una suite tortuosa
come "Innuendo"? E chi, infine, non si è commosso con "The Show
Must Go On", testamento spirituale di un Mercury già malato e consapevole
di quello che gli avrebbe riservato di lì a poco il Destino?
A cura di Morningrise