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12 ago 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: MANES





Quarta puntata: Manes - Demos (1993 - 1995)

Insieme ai Forgotten Woods, i Manes hanno rappresentato una entità anomala per la Norvegia della prima metà degli anni novanta. Siamo a Tromsø, lontani dai riflettori che proiettavano la loro luce accecante su Oslo e Bergen, le città-natale dei due maggiori esponenti del famigerato Inner Circle: il guru Euronymous e il suo alter-ego (o antitesi) Count Grishnackh (alias Varg Vikernes). 

Contrariamente ai Forgotten Woods, tuttavia, i Manes non hanno un "As the Wolves Gather" (1994) o un "The Curse of Mankind" (1996) da esibire con orgoglio: nel loro caso ci dobbiamo fidare sulla parola ed accettare come atto di fede che le loro tre storiche demo ("Maanens Natt", "Ned i Stillheten" e "Til Kongens Grav de Døde Vandrer"), uscite fra il '93 e il '95, siano effettivamente circolate e, soprattutto, siano state significative per qualcuno... 

Fortunatamente per noi il contenuto di queste tre registrazioni seminali (almeno così si dice) ha trovato degna collocazione nell'album di debutto della band "Under ein Blodraud Maane", uscito nel 1999. Partiamo proprio da quello, il cui ascolto è caldamente consigliato anche a prescindere dal fatto che a noi, in questa sede, interessa di più il contenuto delle demo (che questo album, appunto, va a recuperare ma in una versione ri-arrangiata e ri-registrata). 

Sebbene si trattasse di un'opera prima, "Under ein Blodraud Maane" costituiva per la band un punto di arrivo: il compendio di un discorso iniziato anni prima e che andava a mettere il sigillo finale su una concezione del black metal che la band era in procinto di lasciarsi alle spalle. "Under ein Blodraud Maane" è stato un unicum nella carriera dei Manes, che si scioglieranno successivamente alla sua uscita per poi riformarsi qualche anno dopo sotto auspici del tutto diversi ed abbracciando in toto il paradigma della sperimentazione (si guardi alla svolta avant-metal dell'opera seconda "Vilosophe" del 2003 che avvicinava i Nostri a nomi come Dødheimsgard, Arcturus ed Ulver). Per questo vogliamo considerare "Under ein Blodraud Maane" una testimonianza di quelli che erano stati i primi passi della band. E per questo lo trattiamo oggi in seno alla nostra rassegna sul depressive black metal

Quella prima incarnazione della band era composta dal polistrumentista Cernussus e dal cantante Sargatanas. Encomiabile è il lavoro del primo, autore di un sound sinfonico, deviato e psicotico che non trova eguali nel panorama dell'epoca: su una base di batteria elettronica ben programmata si intrecciano in modo efficace ruvide chitarre e tastiere misticheggianti: un'alchimia che proietta nella mente dell'ascoltatore un senso di straniamento portandolo quasi ad uno stato di trance. Il battito dei timpani scandisce i tempi del rituale conferendo al tutto un perverso flavour esoterico: sensazione alimentata dalle vocalità corrosive di Sargatanas, dispensatore anche di un suggestivo recitato. Pur non potendo parlare di black metal sinfonico in senso stretto (le tastiere, sebbene onnipresenti, fungono principalmente da accompagnamento al lavoro delle sei corde e non si ergono mai a vere protagoniste), non è fuori luogo tirare in ballo il paragone con i connazionali Limbonic Art

Ma per apprezzare il reale potenziale di rottura di quei brani è consigliabile andarsi ad ascoltare le demo originali (presenti in rete) dove la componente sperimentale è praticamente assente e ad emergere è il lato rancido della musica della band, il cui operato è reso ancora più misterioso ed oscuro grazie a suoni da cantina che fanno accapponare la pelle. E' interessante notare come la registrazione artigianale, lungi dal costituire un limite, conferisca al tutto un fascino perverso. Certo, vi è un miglioramento della resa sonora nell'arco dei tre tomi, realizzati a scadenza annuale, ma il profilo stilistico rimane il medesimo, a dimostrazione della consapevolezza che i Nostri avevano nel portare avanti le loro idee e la loro missione artistica: suoni mal equalizzati vanno ad impastare in un insieme indistinto arpeggi marcissimi, riff spettrali, gelidi tappeti di tastiere ed urla demoniache mentre una batteria lontanissima procede per lo più lungo i binari di tempi medi e lineari, ma senza disdegnare estemporanee accelerazioni. Qui si respira l'autentico spirito della prima ondata del black norvegese, e questi indubbiamente sono i Manes che hanno avuto voce in capitolo nella definizione del DBM.

Sentori di queste grevi sensazioni sopravvivono in certi frangenti dei 37 minuti di "Under ein Blodraud Maane", come nel minuto a base di rantoli e voci agonizzanti con cui si apre l'album (parlo dell'incipit dell'opener "Min Trone Står til Evig Tid") o nel passo funereo di una "Maanens Natt", evocatrice sia dei Mayhem più oscuri (chi ha detto "Freezing Moon"?) che del Burzum più tronfio e solenne. E poi come non citare un brano extraordinarie come "De Mørke Makters Dyp", il più lungo del lotto (sette minuti e mezzo), con i suoi riff tanto ipnotici quanto desolanti?  

Siamo ahimé nel 1999 e il materiale inciso perde inevitabilmente la sua valenza anticipatrice proprio per la pubblicazione postuma rispetto al concepimento dei brani originali. Vale per i Manes il medesimo discorso che potremmo fare per i Carpathian Forest, altra realtà fondamentale del black metal norvegese che ha debuttato discograficamente sulla lunga distanza ("Black Shining Leather" avrebbe visto la luce nel 1998) dopo che la band si era creata una solida fama underground attraverso demo ed EP di altissimo valore (persino di livello superiore - a parere di chi scrive - rispetto alla produzione discografica ufficiale). 

Peraltro il 1999 rappresentò un periodo di crisi per il black metal norvegese, che dopo il periodo aureo iniziò a perdere la propria spinta creativa. In quel frangente molti grandi e celebrati nomi si trovarono costretti a reinventarsi e a cambiare direzione artistica: per questo motivo, al fine di apprezzare adeguatamente i Manes, dobbiamo calarci nella prima metà degli anni novanta ed immedesimarci negli ascoltatori dell'epoca - ma ci saranno mai stati? 

Dubbi a parte, in una rassegna che, come la nostra, punta ad un certo livello di esaustività, i Manes non sono certamente il nome principale a cui riferirsi se si vogliono capire le origini del DBM, ma è innegabile che il loro black metal atmosferico, visionario e deviato abbia contribuito a tracciare la via per coloro che, del black metal, avrebbero voluto esplorare le periferie più degradate...

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