Tutti sanno dell’impressionismo
(meno dell’espressionismo, che è meno famoso) in pittura. Lo stesso concetto è
applicabile alla musica.
Intanto, una cosa non chiara a tutti. L’impressionismo come corrente consisteva nel fissare la prima immagine, quella più vicina alla prima costruzione sensoriale, e aveva quindi al centro lo studio della luce. La definizione delle immagini in base alla divisione della luce e delle forme in “quanti” è la caratteristica più nota della tecnica impressionistica. In pratica si riteneva che l’immagine fosse già una elaborazione complessa, e che alcuni elementi si vedessero meglio nella percezione più grezza.
Intanto, una cosa non chiara a tutti. L’impressionismo come corrente consisteva nel fissare la prima immagine, quella più vicina alla prima costruzione sensoriale, e aveva quindi al centro lo studio della luce. La definizione delle immagini in base alla divisione della luce e delle forme in “quanti” è la caratteristica più nota della tecnica impressionistica. In pratica si riteneva che l’immagine fosse già una elaborazione complessa, e che alcuni elementi si vedessero meglio nella percezione più grezza.
L’espressionismo è invece la
deformazione dell’immagine nella sua forma nota attraverso il filtro interiore,
che la restituisce deformata anche se riconoscibile.
Mentre l’impressione è quindi
quel che c’è “in entrata” e muove le emozioni, l’espressione è ciò che il
cervello restituisce, anche sulla base delle emozioni.
Non c’entra nulla invece quel che
il pittore voleva comunicare dipingendo un tramonto, cioè l’impressione del
tramonto non è “quel che il poeta sentiva al tramonto”. Se mai è l’emozione
oggettiva del tramonto.
Esiste una emozione oggettiva? Esiste un significato comune di un’immagine, di un colore, che è “prima” di tutto il resto, e può essere recuperato appunto risalendo alla fonte, al primo ingresso dell’immagine nel cervello? Anatomicamente si diceva che esiste un’emozione “retinica”, cioè subito alla prima stazione visiva, sulla retina del globo oculare, che era la più essenziale e oggettiva, vicina all’inconscio collettivo. In realtà nella retina non si forma quel che si intende con immagine mentale, l’immagine è analizzata e non ricostruita, ma insomma il senso era fondamentalmente quello.
Esiste una emozione oggettiva? Esiste un significato comune di un’immagine, di un colore, che è “prima” di tutto il resto, e può essere recuperato appunto risalendo alla fonte, al primo ingresso dell’immagine nel cervello? Anatomicamente si diceva che esiste un’emozione “retinica”, cioè subito alla prima stazione visiva, sulla retina del globo oculare, che era la più essenziale e oggettiva, vicina all’inconscio collettivo. In realtà nella retina non si forma quel che si intende con immagine mentale, l’immagine è analizzata e non ricostruita, ma insomma il senso era fondamentalmente quello.
L’espressionismo invece se mai
porta alla deformazione oggettiva delle cose, cioè all’aspetto che le cose
assumono (ma è già più personale) in determinate condizioni preesistenti, d’ambiente,
d’animo, di alterazione da droghe etc.
In musica esistono alcuni generi
che tentano di recuperare l’emozione essenziale, poiché interessati dal fatto
che queste emozioni possono essere ormai sconosciute, dimenticate e
indefinibili. Le categorie della gioia, tristezza, rabbia sono già definizioni
condivise troppo mediate, complesse. Le loro radici sono magari comuni, senza
nome, senza ancora un orientamento preciso. Uno stato eccitato, uno stato di
vuoto interiore, uno stato di paralisi, un’estasi, sono cose molto meno
definite e molto più basiche. Il black metal ad esempio nella sua ricerca tendeva
a questo.
Le sue forme più elaborate
stilisticamente sono ritenute anche dei barocchismi, dei manierismi su elementi
che in questo modo sono persi, snaturati, colorati fuori misura in maniera da
esser resi più accessibili ma anche meno significativi. Questo il senso del
minimalismo o del radicalismo del black metal, in cui l’accordo è ossessivo e
unico, la ritmica è ripetuta in maniera uguale come un moto perpetuo per tempi
lunghi, la velocità è estremizzata al punto da perdere il suo significato
comune (ballabilità), e il suono è minimizzato attraverso la compressione o la
cacofonia.
La voce è l’elemento più interferente con l’esigenza di rendere impersonale il suono, ed è infatti ridotta ad uno stile vocale, “strumentalizzata” in tutti i sensi. Non comunica testi, che comunque ci sono “dietro”, ma porta avanti una linea sonora. Se mai la voce guida come fosse la volontà orchestrale, ma non è “accompagnata” dall’orchestra, semplicemente la capeggia come una polena. Ne risulta un tappeto sonoro “sfigurato”, iconoclasta, che mette al centro un’emozione fondamentale. Le tematiche del buio, dell’assenza, del silenzio o del rumore assoluto sono tutte “polarizzazioni” che somigliano a quando, nel modificare una fotografia, si spingono al massimo i chiari o gli scuri, una tonalità di colore contro tutte le altre. Si riduce il tutto a una cifra fondamentale, si “stira” un’immagina in maniera da capire dove stiano le sue stigmate fondamentali, gli elementi che la rendono riconoscibile, fuori dal tutto già pronto e fatto.
Il black metal distilla e ripete ciò che basta per fondare le cose, dopo di che si disinteressa abbastanza del resto, anzi lo evita o lo distrugge per ottenere il primo risultato. E’ romantico nella teoria, nichilista nel mezzo. Anziché amplificare l’impatto, come nell’enfatismo, o personalizzarlo, come nel romanticismo, lo riduce alla ricerca di una biologia oggettiva delle emozioni. Emozioni negative, ma questo è un elemento ulteriore proprio del black, e cioè ritenere che le emozioni negative siamo quelle fondamentali, e su di esse si costruiscano quelle positive.
La voce è l’elemento più interferente con l’esigenza di rendere impersonale il suono, ed è infatti ridotta ad uno stile vocale, “strumentalizzata” in tutti i sensi. Non comunica testi, che comunque ci sono “dietro”, ma porta avanti una linea sonora. Se mai la voce guida come fosse la volontà orchestrale, ma non è “accompagnata” dall’orchestra, semplicemente la capeggia come una polena. Ne risulta un tappeto sonoro “sfigurato”, iconoclasta, che mette al centro un’emozione fondamentale. Le tematiche del buio, dell’assenza, del silenzio o del rumore assoluto sono tutte “polarizzazioni” che somigliano a quando, nel modificare una fotografia, si spingono al massimo i chiari o gli scuri, una tonalità di colore contro tutte le altre. Si riduce il tutto a una cifra fondamentale, si “stira” un’immagina in maniera da capire dove stiano le sue stigmate fondamentali, gli elementi che la rendono riconoscibile, fuori dal tutto già pronto e fatto.
Il black metal distilla e ripete ciò che basta per fondare le cose, dopo di che si disinteressa abbastanza del resto, anzi lo evita o lo distrugge per ottenere il primo risultato. E’ romantico nella teoria, nichilista nel mezzo. Anziché amplificare l’impatto, come nell’enfatismo, o personalizzarlo, come nel romanticismo, lo riduce alla ricerca di una biologia oggettiva delle emozioni. Emozioni negative, ma questo è un elemento ulteriore proprio del black, e cioè ritenere che le emozioni negative siamo quelle fondamentali, e su di esse si costruiscano quelle positive.
Esiste anche un movimento, in
verità poco sviluppato ad oggi, che ha cercato di descrivere anche l’emozione
positiva essenziale. Parliamo del black metal trascendentale (contrapposto a
quello classico, “nichilista”) che farebbe capo ai Liturgy. Tecnicamente parlando,
la differenza sta nella velocità ascendente o discendente, ovvero nel calore
anziché il gelo. Insomma, in teoria esiste una musica, probabilmente qualcosa a
che vedere con il maggiore e il minore, che velocizzata rende l’idea di un’emozione
progressivamente riempitiva anziché di svuotamento.
Se dovessi indicare altri
sottogeneri che possono avere avuto un approccio espressionistico direi il
doom. La lentezza infatti non è naturale. I tempi biologici sono velocissimi,
impercettibili, e quindi la velocità ci si avvicina, mentre la lentezza
ulteriore crea uno spazio “ex vacuo” da riempire con “post-produzioni” mentali,
cioè prodotti secondari filtrati dai momenti dell’esperienza, gli stati d’animo
del momento, le suggestioni analogiche interne.
I campi di grano di Van Gogh sono
quindi iperveloci, mentre l’urlo di Munch è doom, straniante, emotivamente
sfilacciato e sfuggente. L’emozione dell’espressionismo è quella che si
definisce “ansia da frammentazione”. I significati non si riducono e si
semplificano, perdendo il nome ma guadagnando in chiarezza: anzi, si ampliano,
come in un caleidoscopio subiscono delle rifrazioni. Si ha tempo per vedere la
realtà da sopra e da sotto, da dentro e da fuori. La decadenza è talmente lenta
che non è più morte, è la vita stessa, trasfigurata. Il doom è la realtà
digerita e dispersa. Talmente rallentata che anche il passato non è più lontano
del futuro. Come per il black, anche nel doom
l’emozione è più spesso negativa. Non mancano esempi di doom positivo, tentato
ad esempio dai Tiamat ai tempi di “Wildhoney”.
In questa danza tra impressione
ed espressione, tra emozione di partenza, inevitabile, ed espressione d’arrivo,
di decomposizione, sta l’evoluzione di ogni genere, dai suoi primordi alla sua
fase postuma. Chi si nutre di musica underground coglie bene questa evoluzione,
mentre chi “assimila” ciò che emerge in superficie prende la parte meno
significativa, meno specifica, in cui meno si riconoscono radici e direttrici
dello stile.
A cura del Dottore