Questa
classifica nasce di getto ed è da considerare un'appendice al
nostro recente scritto dedicato a Ronnie James Dio: nella nostra
solitudine Ronnie James Dio ci è stato di grande compagnia durante queste
festività natalizie, periodo in cui ci siamo riscaldati il cuore rimettendo
sulla piastra gli immortali dischi di Rainbow, Black Sabbath e Dio
stesso.
E
quindi queste nostre ridondanti parole non sono altro che l'ennesima occasione
per tessere le lodi di questo piccolo-grande uomo che ha fatto la Storia
del Metal. E ci perdoni chi noterà, fra questi solchi, l'imperdonabile
assenza di "Rainbow in the Dark", classico per eccellenza di
Dio, al quale però abbiamo preferito altri brani, in certi casi anche meno
noti…
10) "The Bible Black" (Heaven & Hell, “The Devil You
Know” – 2009)
Partiamo
dalla fine. Nell’anno 2009, appena un anno prima della morte del
cantante, viene dato alle stampe "The Devil You Know", primo
ed ultimo parto discografico degli Heaven & Hell: non altro che i Black
Sabbath della formazione con Dio. L'album non aggiunge molto a quanto i
Nostri hanno rilasciato in passato, ma vogliamo premiare la straordinaria
longevità di questi “vecchietti”, in particolare quella di Dio che, con circa
cinquanta anni di rock e metal sulle spalle, sfoggia una forma canora
impeccabile. Il brano ricalca lo stile di mirabili episodi quali "Turn
Off on the Edge of the World" (da “Mob Rules”): inizio
evocativo a base di chitarra arpeggiata e canto solenne, poi sua maestà Iommi
sale in cattedra con un riff micidiale e il brano diventa cruento,
pregno di una aggressività che viene efficacemente valorizzata da una
produzione potente ed al passo con i tempi. Chitarre affilate come lame, riff
circolari ed un Dio più rabbioso che mai che gioca più sull'interpretazione che
sull'edificazione di ritornelli memorabili. Forse un brano prevedibile nel suo
svolgimento, ma dannatamente efficace!
9) "Egypt (The Chains are on)" (Dio, “The Last in Line” – 1984)
Molte
sono le "hit" che ha saputo inanellare il Dio solista, ma decidiamo
di optare per un brano spesso non adeguatamente considerato, che a nostro
parere invece rappresenta al meglio la poetica e la vena irriducibilmente epica
del cantante. Il brano in questione, chiamato a chiudere il leggendario secondo
album dei Dio "The Last in Line" (1984), è un poderoso mid-tempo
animato da fraseggi di chitarra che potremmo definire maideniani e
cavalcato eroicamente dall'ugola al vetriolo del cantante, che offre come
sempre una prestazione calda e grintosa. Da pelle d'oca il ritornello ed in
particolare quando esso si ripete con enfasi nel finale: un finale vigoroso e
struggente al tempo stesso che solo Dio poteva rendere a quella maniera. Unico.
8) "The Sign of the Southern
Cross" (Black
Sabbath, “Mob Rules” – 1981).
L'estro
di Tony Iommi è fondamentale nella riuscita di questa perfetta semi-ballad,
eppure i contatti con i vecchi Sabbath, quelli con Ozzy, sono veramente pochi:
a dimostrazione di come l’ingresso di Dio abbia cambiato le carte in tavola.
Nel 1981, anno di uscita di "Mob Rules", i Nostri hanno
infatti assunto un nuovo profilo che è tutta farina del sacco del nuovo
cantante, il quale dona alla musica del Sabba Nero sfumature che derivano
dalla militanza in seno ai magnifici Rainbow. La tradizione delle evocative e fiabesche
ballate dell'era prog, l'energia viscerale dell'hard-rock, la potenza
sanguinaria dell'heavy metal: tutto questo convive nella sentita e struggente prova
vocale di Dio. E i Sabbath gli vanno dietro che è una bellezza...
7) "Catch the Rainbow" (Ritchie Blackmore’s Rainbow, “S/T”
– 1975)
Facciamo
un salto in dietro e torniamo nel 1975, anno del debutto discografico
dei sensazionali Ritchie Blackmore's Rainbow. Il progetto era ovviamente
sotto il controllo assoluto dell'ex Deep Purple, ma Dio, che non era certo
un novellino (già vantava molti anni di esperienza), ci mise senz’altro del suo
per rendere l'esperienza Rainbow come una delle più brillanti del rock duro degli
anni settanta. Questa ballata crepuscolare si fregia dei solismi del prodigioso
chitarrista che per fluidità e dolcezza si avvicina all'estro di David Gilmour,
supportato da celestiali ed avvolgenti tastiere che a loro volta evocano i Pink
Floyd più liquidi. Dio, protagonista di una magistrale interpretazione,
calza perfettamente le vesti del menestrello visionario: poetico, dolce, ma
anche forte e vigoroso come al suo solito, le sue parole generano nella mente
dell'ascoltatore vividi e suggestivi paesaggi d'incanto che diventeranno una
costante della visione artistica di Dio, diviso a livello tematico fra fantasy,
misticismo e schietta filosofia rock.
6) "Holy Diver" (Dio, “Holy Diver” – 1983)
Chiudiamo
questa prima cinquina di pezzi con uno dei brani più importanti del Dio
solista. "Holy Diver" è anche il nome del primo album dei Dio,
esperienza avviata nel 1983, subito dopo la fuoriuscita del cantante dai
Black Sabbath. E si sente: solo un po' più leggera e laccata perché non c'è
Iommi alla chitarra, la title-track sembra una rivisitazione della
mitica "Heaven and Hell", con il suo andamento cadenzato ed un
Dio sugli scudi, autore di un ritornello grondante epicità. Ma l'evocazione del
classico dei Black Sabbath è solo un effetto ottico, perché in realtà è il
talento di Dio che emerge in tutta la sua potenza: uno stile che, più che frutto
di una influenza esterna, è semmai quel potenziale finalmente espresso senza
limitazioni che aveva permeato/rivitalizzato la musica dei colleghi di
Birmingham. Non rimpiangeremo eccessivamente Iommi e soci, visto che il Nostro,
nella sua avventura solista, si farà accompagnare da gente con le palle come Vivian
Campbell alle sei corde e Vinny Appice alle pelli. Da segnalare,
infine, l'ampio uso di tastiere, altra caratteristica fondante del Dio-sound
(e guarda caso di quello dei Sabbath dopo di lui...).
5) "Tarot Woman" (Rainbow, “Rising” – 1976)
Entrati
nella top-five, il gioco si inizia a fare davvero duro. Con questo gran
pezzo partiva "Rising", il capolavoro dei Rainbow: note lunghe
di synth e poi una cavalcata travolgente dettata dalla chitarra indomita
di Blackmore e dalla batteria galoppante di Cozy Powell. Sopra: la voce
titanica di Dio, il quale, oltre alla proverbiale grinta, ci butta anche uno di
quei ritornelli che faranno epoca. Si potrebbe dire che in un sol colpo, in
quel ritornello, vengono inventati gli Iron Maiden (Bruce Dickinson ringrazia...)
e gran parte del power metal che verrà. E il merito di questa “forza
anticipatrice” sta tutto in Dio, perché la controparte musicale, per quanto
eccellente, richiama comprensibilmente il rock rovente dei Purple più duri,
mentre il canto enfatico e per niente "bluesy"di Dio lo consegnerà,
insieme al collega Rob Halford, fra i padri dei cantanti heavy metal.
4) "Neon Knights" (Black Sabbath, “Heaven and Hell” –
1980)
"Heaven and Hell" (lo
abbiamo già detto?) è uno dei massimi capolavori del metal ed esso si apriva
con le note travolgenti di questo brano. Iommi/Butler/Ward sono tutt'uno
e marciano all'unisono tessendo una nuova veste ai redivivi Black Sabbath:
partenza a mille, riffing imponente, basso corposo e flavour
epico a rinnegare i movimenti pachidermici professati fino al giorno prima con Ozzy.
Ma la vera sorpresa è il ringhio rabbioso ed adrenalinico di Dio, il quale
getta linfa vitale al suono potente dei Sabbath, conferendogli nuova energia
(il suo "again and again and again" del pre-chorus va di
diritto nella "teca" dei momenti più leggendari del nostro genere
preferito). Ma è tutto il brano a colpire, rasentando la perfezione quanto a
classe ed ispirazione.
3) "Children of the Sea" (Black Sabbath, “Heaven and Hell” –
1980)
Rimaniamo
dalle parti di “Heaven and Hell”: non ci siamo ancora ripresi dalla forza
d'urto dell'incredibile opener, che la dolcezza di un arpeggio e la voce
efebica di Dio (quasi fiabesca, come sapevano esserlo i gruppi prog degli anni
settanta) ci porta in altri mondi alla scoperta di umori relegati alla sfera
del Mito. E’ la fenomenale “Children of the Sea”. Nella prima parte
basterà chiudere gli occhi e ricreare nella mente le vivide immagini tessute da
Dio (da pelle d’oca l’incipit “In the misty morning…”), nella seconda invece è
la chitarra trascinante di Iommi a dettare legge e Dio, come sempre, “regge la
botta”, incarnando il ruolo di alfiere primo di questa nuova vocazione musicale
che i Sabbath abbracceranno avidamente e non abbandoneranno praticamente più,
fino al ritorno del "figliol prodigo" Ozzy, con il quale si tornerà,
per intenti meramente auto-celebrativi, alle sonorità dei primi gloriosissimi anni
settanta.
2)
"Heaven and Hell" (Black Sabbath, “Heaven and Hell” – 1980)
Ancora
“Heaven and Hell”. Del resto non poteva di certo mancare in questa classifica
lei: la title-track di questo album tanto importante per i Black Sabbath
quanto per lo stesso Dio, e, diciamolo tranquillamente, per il metal in generale.
La storia del metal passa infatti da queste note: dal mitico riff di
chitarra iniziale, dal basso pulsante di Butler, dall'intensa accelerazione nel
finale che ricorda decisamente quella altrettanto celebre di “Overkill”
dei Motorhead. Ma l'interpretazione di Dio è il vero cuore pompante di
questo pezzo a dire poco anthemico, che ci parla della sempiterna
lotta fra il Bene e il Male: dalle mitiche strofe all'ancor più mitico
ritornello (fra i più imitati del metal che verrà), passando dai suggestivi
cori polifonici posti verso nella fase centrale, tutto è memorabile e degno
dell’eternità in questo brano imprevedibile che potremmo definire una mini-suite.
Ogni riferimento al prog non è fuori luogo visto che la tradizione progressiva,
mischiata all'epicità ed alla grinta del minuto cantante, diverrà un elemento
fondante del metal preso come genere a sé stante.
1)
"Stargazer" (Rainbow, “Rising” – 1976)
Non
si offenderà Iommi se alla fine, in questo primo posto, gli anteponiamo
Blackmore. Del resto è davvero difficile fare meglio di "Stargazer",
che si merita di stare accanto a veri monumenti del rock come "Child in
Time" e "Kashmir", a cui fra l’altro essa è sempre
stata associata per il suo incedere maestoso ed orientaleggiante. "Stargazer"
è poesia rock allo stato puro: impossibile non innamorarsi seduta stante di
questo brano che nel corso dei suoi otto minuti e mezzo è in grado di
ipnotizzare l'ascoltatore, avvinghiato negli arabeschi chitarristici di
Blackmore (autore di uno dei suoi momenti solistici) e nelle incalzanti
orchestrazioni di Tony Carey. Dio, autore fra l'altro di un testo bellissimo ed
avvincente, è il perfetto cantore delle vicende narrate nel brano, sorta di concept
fantascientifico in salsa mistica che troverà seguito nel brano successivo
"A Light in the Black", altro imperdibile brano-capolavoro
contenuto in "Rising". Dio qui si affida al pathos di una
recitazione a “denti stretti” che poggia tutto il suo fascino su una narrazione
che si cala perfettamente nelle magniloquenti movenze del brano, il quale, più
che puntare sul dinamismo, sa incantare per l'incedere ipnotico degli strumenti
perfettamente integrati fra loro. La voce ad animare il tutto è ancora una
volta quella del Dio più drammatico ed apocalittico, anticipatore di tutti i
più grandi cantastorie del metal…