"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

28 feb 2017

12 MESI DI METAL - ULVER / FEBRUARY MMX




Febbraio: il mese più corto dell'anno. C'è poi il Carnevale. Infine, in molti non se ne ricordano, ma fa fottutamente freddo.

Dopo aver celebrato gennaio con il brano "January Tunes" dei connazionali Novembre, continua in Norvegia, con gli Ulver e la loro "February MMX", la rassegna dedicata ai dodici mesi dell'anno raccontati attraverso il "canzoniere metal".

Metal per modo di dire, visto che apporre questa etichetta sulla musica degli Ulver di oggi è una gran bella forzatura. Ma anche parlare di febbraio attraverso questo brano lo è: ci ho provato, ho rivoltato il testo, ripensato alla musica sotto questa luce, ma in niente ho trovato collegamenti con il secondo mese dell'anno, salvo che nel titolo.

Partiamo dunque dal lato lirico, partiamo da Garm, ops Kristoffer Rygg. I suoi testi, nella sua oramai consolidata incarnazione di "cantautore avanguarde", sono spesso ermetici, non-sense, ma non perché egli è un poeta, bensì perché non consce l'inglese. Non lo sa scrivere e non lo sa pronunciare, non lo sa in definitiva pensare e i suoi versi, come la sua pronuncia, palesano una conoscenza appena sufficiente della lingua.

Quando gli Ulver esordirono, un loro punto di forza distintiva fu senz’altro il forte legame con il folclore norvegese, cosa che si rifletteva anche nell'adozione della lingua norvegese a scapito di quella inglese che, come si sa, da sempre, nel metal, va per la maggiore fra le band non anglosassoni. L'approdo alla lingua inglese per i Lupi avvenne in pompa magna niente meno che con i versi di William Blake, sui quali si basava il doppio album "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell", opera di transizione già sospesa fra metal ed elettronica. Quanto a Garm, che mutava il suo pseudonimo in Trickster G. ed indossava per l'occasione giacca e cravatta, recitava estratti dal poema, cosa che gli risparmiava perlomeno la scrittura dei testi. Quanto alla pronuncia, la musica era così bella e il canto così carismatico, che qualche difetto passò in secondo piano, complice anche il fatto che la voce veniva spesso effettata a scapito della comprensione dei testi stessi.

Successivamente, ossia da quando la band decise di cambiare definitivamente pelle ed uscire dal Reamedel Metallo, i Nostri, fra album ufficiali, EP e colonne sonore, sembrarono propendere, almeno per un certo periodo, per il paradigma strumentale: fra i vari silenzi, il canto di Rygg si smaterializzava in vocalizzi fluttuanti ed impalpabili, schegge di avanguardia in cui la stessa voce fungeva più da strumento musicale che da veicolo di messaggi. Egli preferì dunque dismettere le vesti di vocalist e front-man per approfondire le sue basi di elettronica e dedicarsi alla parte concettuale della sua musica: un vero peccato, visto che Rygg, nonostante le imperfezioni, era stato uno dei cantanti più geniali dell'universo metal. E la parallela carriera con gli Arcturus lo aveva ampiamente confermato.

I suoi testi però non li ho mai capiti fino in fondo e a tratti mi è persino venuto il sospetto che egli fosse un paroliere poco ispirato, cosa che si riscontra anche andando a leggere via via le note scritte di suo pugno nei booklet dei CD. Non è questione di contenuti o di punti di vista divergenti, ma di modalità: l'impressione è quella che una persona in origine brillante, una volta calata nelle vie ristrette di una lingua non sua, si limiti a fare battute fulminee e volutamente criptiche per celare le falle della sua scarsa padronanza della lingua stessa e dunque l'incapacità di sviluppare discorsi più articolati ed esprimere concetti più complessi. In questi "flash lirici" egli disseminava e dissemina ancora errori, non tanto a livello grammaticale quanto a livello di costruzione della frase, come se continuasse a tradurre dal norvegese e non riuscisse a penetrare nello spirito autentico della lingua inglese.

Non so come e quando esattamente un cantante non-madrelingua inizi veramente a scrivere testi decenti, forse quando si fa aiutare da qualcuno. Rygg, da parte sua, sembra continuare a muoversi con la goffaggine dell'autodidatta. Del resto non mi pare che egli abbia mai dato particolarmente importanza al lato testuale, e il fatto che capiti di frequente che i Lupi pubblichino album quasi strumentali ne è la riprova. E non è detto che le due cose siano collegate e che addirittura i limiti nelle capacità espressive si traducano in una forma artistica più ermetica, secondo la regola del "far di vizio virtù".

In realtà gli Ulver alterneranno album semi-strumentali a lavori "stra-cantati" in cui Rygg sembra abbandonarsi ad una sorta di improvvisa "bulimia vocale": il caso più eclatante è "Blood Inside", un album a mio parere rovinato dall'eccessiva quantità di stratificazioni sonore e sovra-incisioni vocali: una complessità non sempre sapientemente domata.

Proprio con questo approccio viene realizzata "February MMX", episodio decisamente anomalo e in controtendenza con i toni dimessi e crepuscolari che aleggiano nell’album in cui è contenuta: quel "Wars of the Roses" che era stato figlio legittimo del capolavoro "Shadows of the Sun".

Sebbene non si possa affermare che esistano due album uguali degli Ulver, vi è una continuità fra le due opere, soltanto che "Shadows..." è un miracolo di equilibrio, mentre "Wars..." appare meno rigoroso, ma soprattutto si mostra assai sbilanciato: con le sue tracce che si muovono nei consueti territori dell'elettronica ambientale, di ballata in ballata, fra umori dark e qualche guizzo progressivo, finirà con lo stemperarsi nei sacrali ultimi quindici minuti di "Stone Angels" (che porteranno dritti alle liturgie di "Messe I.X-VI.X"). Eppure l'album era partito a tutta birra con un brano di apertura movimentatissimo, la presente "February MMX": un episodio avulso dal resto del lavoro e che sembra invece richiamare la scrittura esagitata e compulsiva di "Blood Inside".

Lo dico subito: il brano è un capolavoro di arte ulveriana. Ed io, che seguo la band con passione da sempre, posso permettermi di evidenziarne i difetti. "February MMX" è una confusionaria cavalcata pseudo-pop che in appena quattro minuti confonde le classiche ricercatezze sonore della band con uno strano piglio rock che suona quasi inedito per i norvegesi: un batterista in carne ed ossa incalza i tempi facendosi spazio fra rintocchi di piano sospesi fra essenzialità new-wave e retrogusto jazzy, mentre la marea montante dei synth e lo scricchiolio dei pattern elettronici non rinnegano le ambizioni colte della band, tanto che potremmo parlare di progressive, ma di quello "sintetico" in salsa ottanta che porterà al pop sofisticato di David Bowie, Peter Gabriel e David Sylvian.

Insomma: un brano irresistibile innanzi al quale per me ogni volta è letteralmente impossibile stare fermo. Ricordo con piacere una serie di sabati mattina che, ancora frastornato dalla sbornia della sera prima, amavo spararmi il pezzo a tutto volume mentre compivo i riti del mattino fra bagno, camera e cucina, ballando, sculettando, agitandomi in modo ambiguo per le stanza e bissando, con il catarro in gola e la raucedine dell'alcool, la voce obliqua di Rygg.

Per ogni fan del cantante è una gioia poter assistere a tale tripudio di vocalità, situazione sempre più rara in casa Ulver. Cosa ancora più rara, il brano dispone di un ritornello, che si va ad insinuare platealmente nelle corsie tortuose di questo circuito in cui le note sfrecciano come bolidi. La voce di Rygg, oscura, beffarda ed epica al tempo stesso, è parte attiva nel dinamismo del brano: un fiume di parole che il cantante sciorina, fra una sbavatura ed una forzatura di metrica, con passo da giocoliere, proprio come piace a noi.

Parole: chiudiamo dunque il cerchio con il testo. Un titolo come "February MMX" è il classico titolo generato da una mente non molto interessata ai titoli: "Febbraio 2010" è infatti probabilmente il periodo in cui è stata scritta la canzone, visto che l'album usciva nel 2011, una di quelle trovate escogitate all’ultimo minuto e scelte in fretta e furia in mancanza di idee migliori, ad album oramai registrato e davanti al pc con il grafico impaziente.

E sebbene Rygg vorrebbe ergersi ad artista profetico che penetra a fondo nel senso della realtà e che con poche ed efficaci immagini tratteggia il carattere di un'epoca intera (la nostra...), alla fine la via da lui scelta, quella dell'ermetismo surreale che nasconde l'assenza di reali contenuti, è una scelta di comodo dettata dalla scarsa conoscenza dell'inglese. Prendete il ritornello, sentite come suona male "the vertical lights of death in codes of red and blue", ma sopratutto spiegatemi cosa diavolo dovrebbero essere "le luci verticali della morte in codici rosso e blu".

Più invecchio e più maturo l'idea che l'arte, anche la più astratta e pungente, rimanga, in estrema sintesi, un insieme equilibrato di forme e colori: se penso agli Ulver, penso a tanti dettagli vincenti che non si relazionano sempre bene. Inutile dunque soffermarsi oltremodo sul testo del brano: la musica degli Ulver rimane unica ed inimitabile con tutti i suoi difetti, e come per magia ne rimango sempre stregato qualunque forma essa assuma, black metal, folk, industrial, elettronica, ambient, avanguardia, pop, dark, rock, prog o il diavolo che volete.

E "February MMX" non fa eccezione: ascoltatela e ballatela come se foste nella primavera del vostro amore, anche se fuori fa un freddo bastardo...