Chissà
se al mondo c'è qualcuno che ha settantacinque sterline da spendere per un set di bicchieri dei Satyricon.
Quello
che mi turba però non è il dilemma "esiste?/non
esiste?" (perché esisterà sicuramente, visto che il prodotto è in
commercio ed è pacificamente in vendita insieme a magliette e cd); mi disturba piuttosto
l'idea di non poter incontrare costui, berci un bicchiere di vino insieme (e
chissà che vino: o pregiatissimo o pessimo, non esistono vie di mezzo con chi spende
settantacinque sterline per tre calici dei Satyricon) e chiedergli: ma secondo te Satyr è un vincente o un
perdente?
I
Satyricon appartengono di diritto all'epoca d'oro del black metal norvegese, fanno parte della Storia del Metal Estremo; eppure Satyr e Frost, fra
tutte le teste di cazzo dell'Inner
Circle, erano gli unici a non essere ammessi nell'Helvete di Euronymous.
I Satyricon hanno partorito vere pietre miliari del black metal come "The
Shadowthrone" e "Nemesis Divina"; eppure tutti questi
giovani che ho intorno sono qui stasera per singoloni come "Fuel for
Hatred" e "K.I.N.G.". Satyr è un musicista
intelligente e chitarrista con uno stile
personale ed immediatamente riconoscibile; eppure ama da sempre presentarsi sul
palco in veste di vocalist (non la
sua qualità migliore), cedendo le sei corde a turnisti qualsiasi. C'è qualcosa
che non va: e questo qualcosa lo dobbiamo scoprire stasera all'Heaven, dove
i Nostri promuoveranno il loro ultimo album “Deep Calleth Upon Deep”.
Le
premesse non erano buone, perché anzitutto l'Heaven (che ho avuto modo di
visitare qualche mese fa in occasione della calata londinese di Chelsea Wolfe) non ha una acustica impeccabile, è un luogo stretto, lungo e buio:
non proprio l'ideale per una band "black metal", se così possiamo
ancora definire i Satyricon.
Ma cosa sono oggi i Satyricon e chi è il loro
pubblico? Alla prima domanda abbiamo
provato a rispondere con la nostra retrospettiva sui loro ultimi quindicianni di carriera; per quanto riguarda la seconda questione, siamo apposta
qui stasera. In verità il pubblico dei Satyricon è il più classico che una band
heavy metal possa avere nel terzo millennio. Molti molti molti giovani e giovanissimi (onore quindi a Satyr che,
contrariamente a molti suoi colleghi, ha saputo assicurare, con le sue scelte non
sempre apprezzate dai fan della prima
ora, un consistente ricambio generazionale all’interno del suo seguito).
Giovani, dunque, ma non solo: nerd con
occhiali, energumeni assortiti, diversi disadattati con il face-painting, tante barbe, uno scarto anagrafico comunque assai ampio che va
dal poco meno che ventenne al poco più che quarantenne. Insomma, non
ci sentiamo vecchi! C'è
inoltre da dare atto a Satyr di aver saputo attirare una donna ogni dodici
uomini (stima compiuta ad occhio) e non è poco per concerti di
questo tipo.
Passiamo
finalmente alla musica. Sorvoliamo sui gruppi spalla, ossia i futili Fight
the Fight (che per comodità definirò "nu metal/crossover con growl") e i greci Suicidal
"Slayer denoaltri" Angels,
già più dignitosi con il loro thrash metal (molto) old school. Poco male, siamo tutti
qui per i Satyricon: la prova si ha quando, dopo un lungo sound-check a base di Celtic Frost
(sublime "Monotheist"...), si scatena il delirio collettivo
nel momento in cui sul palco viene issata la caratteristica asta del microfono a forma di tridente.
Ecco
l'intro atmosferico e poi i Nostri che si presentano sul palco triplicati (ossia con l'aggiunta di due
chitarristi, un bassista ed un tastierista). L'onore di aprire le danze spetta come
da copione a "Midnight Serpent" (anonima opener dell'ultimo album) che parte a mille all'ora, per poi
mitigarsi in quei tronfi tempi medi che imperverseranno per tutta la serata.
Dai primi brani abbiamo la conferma che i Satyricon suonano oggi come un mix fra Celtic Frost e Morbid
Angel. E tuttavia sono sereno, davvero, non nutro aspettative e
mi faccio cullare da una musica che scorre bene, supportata da (inaspettati) ottimi
suoni: forse i loro ultimi album saranno brutti & noiosi, ma i Satyricon, come i deprecabili Metallica, dal vivo spaccano ancora il culo alla grande!
In
questi primi pezzi Satyr (capello corto ed impomatato, mascara e giubbotto di
pelle stile “Happy Days”) sembra
più che altro interessato ad individuare le fighe in platea, confidando in una bella
chiavata a fine serata. Con "Our World, It Rumbles Tonight" la
situazione si tinge di "Blessed Are The Sick", ma è con la
travolgente "Black Crow on the Tombstone" che è possibile
assaporare quanto i Satyricon puzzino
oggi di fica: ragazze bellissime saltano e battono le mani, tutti cantano a
memoria i testi delle canzoni. Sono esterrefatto, ma sono anche contento, tutto
gira che è una meraviglia. Ricevute le giuste rassicurazioni, posso permettermi
di andare al cesso a pisciare (del resto è lo scotto da pagare quando si beve continuamente
birra e di conseguenza il concerto diviene una spola perenne fra palco, toilet e
bar, fra retrocessioni faticose e altrettanto faticose riconquiste di posizioni
vicino al palco).
Da
vedere ci sarà comunque ben poco, sebbene
la bellissima copertina dell’album (uno schizzo di Munch...) proiettata
sullo sfondo farà la sua porca figura, passando continuamente dal bianco al
rosso con ottimi giochi di luce a fare da cornice. La band invece, spesso
avvolta nel fumo, è abbastanza statica sugli assi, con un Satyr un po'
imbalsamato che non sfoggia quel carisma che dovrebbe giustificare la cessione
della chitarra a perfetti sconosciuti. Non dico che è goffo ma si muove in modo
normale, come se fosse lui lo spettatore (a tratti persino applaude se stesso…).
A guardarlo bene si muove quasi come me, e a guardarlo meglio pure come taglio di
capelli ci assomigliamo. Che Saryr e il
sottoscritto non siano poi così diversi? C'è da dargli atto, però, che se
anche non suona, il suo stile, la sua anima "artistica" aleggia
continuamente nell'aria.
Con
"Rapine Bastard Nation" si entra finalmente nel vivo:
l'effetto dell'alcool è al suo zenit, il tiro dei nuovi Satyricon è micidiale,
ma al tempo stesso sopravvive quel marciume che ti ricorda continuamente che è
pur sempre "Norvegia" quello che stai ascoltando, fra chitarre zanzarose ed epici rallentamenti. Con
"Commando" e "Now, Diabolical" il concerto
inizia a volare veramente alto e l'Heaven si trasforma in un entusiasmante rave-party: c'è chi poga, chi salta, chi sta fermo immobile, ognuno
fa il cazzo che gli pare in questa grande
festa di Amore e Libertà. La presenza femminile ingentilisce l’ambiente e
lo imbestialisce al tempo stesso. Quanto a me, sono ormai completamente uscito
di cervello e ho la chiara percezione che è bellissimo perdere la voce gridando
a squarciagola il ritornello di "Now, Diabolical": creo l'evento
nell'evento gettando scompiglio con i miei latrati, ma per quanto riguarda la
gente intorno a me, dal disappunto iniziale si passa presto al divertimento, e
c'è persino chi si esalta insieme al sottoscritto.
Baci,
abbracci, succedono cose pazze. Ma anche il nuovo album sa riservare le sue
perle, come per esempio l'esaltante "The Ghost of Rome", altro
capitolo vincente della saga delle black'n
roll song (incedere morriconiano
e via!). E che bellezza saltare, ballare, sbraitare ed abbracciarsi ubriachi di
felicità!
Tanto
per aggiungere gloria alla gloria, ecco che finalmente Satyr imbraccia la
chitarra (vero colpo di scena della serata!) e ci chiede se conosciamo "Nemesis Divina", dal quale verranno pescati un paio di brani. Trovo del tutto
geniale l'idea di riproporre la strumentale "Trascendental Requiem of
Slaves", che rimette al centro di tutto il talento chitarristico di
Satyr. A guardar bene, questa strana strumentale che non si è mai filato
nessuno, con i suoi continui cambi di mood
e le contaminazioni industrial, è il
primo pezzo veramente sperimentale dei Satyricon, collante insospettabile fra
la prima parte della carriera e la seconda. Ma non solo: è un modo per mettere
a riposo voce e braccia (quelle di Frost, che stasera si è mosso egregiamente
dietro alle pelli) ed introdurre quello che dovrebbe essere, almeno in teoria,
il momento top della serata, "Mother
North". In realtà ho come l'impressione che sia un atto dovuto da
parte della band, che non può esimersi da eseguirla ogni fottuta sera,
nonostante oggi non suoni più black metal a quella maniera. La velocità è
supersonica, la resa, ahimè, caotica, ma la gente, che intona cori da stadio
con grande partecipazione, sembra gradire.
Siamo
purtroppo alla fine. È dunque tempo di bis e non esagero nell'affermare che il meglio dei nuovi Satyricon è tutto nel trittico di brani finali. "The Pentagram
Burns" (che vede Satyr ancora alla chitarra) con il suo bel groove e i riff al tremolo crea agitazione e apre la strada a quella "Fuel
for Hatred" che oramai è da considerare il classicissimo per
eccellenza della band. Si scatena il pogo che finisce per coinvolgere anche le
retrovie dove io mi ero rifugiato per salvaguardare i miei occhiali; ed invece
eccomi nuovamente a rimboccarmi le maniche e a menar fendenti per difendere il
mio spazio vitale. È poi il turno di "K.I.N.G."
accolta quasi con isteria, come se fossimo nei primi anni sessanta e sul palco
ci fossero i Beatles: ormai band, pubblico e i mattoni del locale sono
una cosa sola, disco-music bella e buona a base di chitarre taglienti,
voce al vetriolo e beat incalzanti.
Una
volta spente le luci, l'impressione è strana, come aver assistito ad un concerto degli U2! La band si gode il (meritato) bagno di folla e spunta finalmente Frost, che in
verità mi aspettavo più corpulento: invece, a torso nudo, sfoggia un fisico
asciutto e un po' deperito. Mi fa quasi tenerezza quando un po' curvo e gobbo se ne esce di scena, lasciandomi l'impressione che in fondo sia un mezzo disadattato, l'amico
un po' scemo e taciturno del tipo in
gamba (mi vengono in mente i protagonisti di "Uomini e Topi"
di Steinbeck). Anche se poi Satyr proprio brillante non è.
Già,
Satyr: un vincente o un perdente? Terminato il concerto, mi ritrovo a passeggiare per la bellissima Trafalgar
Square, e penso che Satyr sia in fondo uno come tutti noi, con delle buone
qualità ed anche dei difetti. La sua storia personale l'ha portato a
confrontarsi con gente brutale (i profanatori, gli incendiari e gli assassini
dell'Inner Circle), ma si capisce che è
un tranquillone il cui cammino è
stato inasprito da gente ostica che ti toglie le sicurezze: cose che ti segnano,
indubbiamente. Per questo ha sempre preferito starsene con il fido Frost, che
ha accudito come se il batterista fosse un fratello minore, il quale, a sua
volta, lo ha sempre seguito, non come un cane da guardia, ma come una presenza
taciturna e consenziente. Satyr è stato amico di gente che conta(va) come Samoth,
Fenriz e Nocturno Culto, ma sotto sotto ha sempre preferito la figa
ai fiordi ed alla spiritualità del Grande
Nord. Bello quindi ritrovarlo fra noi, in grande forma fisica (si è di
recente operato per un tumore benigno) e capace di mettere d'accordo il
metallaro intransigente e l'intellettuale di sinistra, il sociopatico con la
faccia pitturata e la fichetta di
ventisei anni: Satyr, stasera per me
sei stato un vincente!