Sono da un po' qui in
Bangladesh, ma sto ancora girando a vuoto.
Pare sia in atto in
Bangladesh una sottile polemica su chi sia il primo gruppo metal
bengalese. La scena (che poi è sostanzialmente quella della
capitale, Dhaka) inizia negli anni '80, ma discograficamente parlando
niente prima degli anni '90. Ora, qui parrebbe che i Rockstrata siano
gli iniziatori, ma gli In Dhaka sarebbero stati invece i primi
a entrare in studio (alcune settimane prima dei Rockstrata, e mesi
prima degli Warfaze). Penso ci sia voluta un'inchiesta per
ricostruire il dettaglio di questi fatti di rilievo mondiale. Dopo di
che, per ritardi e problemi interni, gli In Dhaka escono solo nel
1992, mentre gli altri due sono già usciti nel 1991.
Sempre meglio, come scusa, di quella dei Kirtinasha, che sono già sul mercato nel 1988, ma con “tape lp”, che forse è un vinile stampato a forma di cassetta. Poi gli Waves, pare molto attivi negli anni 80, ma sconosciuti al mondo discografico fino al '96, quando si ricordarono di premere il pulsante “Rec”. E infine i Rock Brigade, che hanno al loro attivo molta roba inedita (chi non ne ha ?), o i Rock Phantom, che non avrebbero mai registrato, perché si sono concentrati esclusivamente sul fatto di esistere.
Sempre meglio, come scusa, di quella dei Kirtinasha, che sono già sul mercato nel 1988, ma con “tape lp”, che forse è un vinile stampato a forma di cassetta. Poi gli Waves, pare molto attivi negli anni 80, ma sconosciuti al mondo discografico fino al '96, quando si ricordarono di premere il pulsante “Rec”. E infine i Rock Brigade, che hanno al loro attivo molta roba inedita (chi non ne ha ?), o i Rock Phantom, che non avrebbero mai registrato, perché si sono concentrati esclusivamente sul fatto di esistere.
Il tutto poi per
contendersi la paternità di che cosa? Di un rockettino melodico un
po' hard, e un po' no, per certi versi fermo agli stilemi ottantiani,
da ritornello corale facile e alla ricerca vergognosa di ariosità,
dopo introduzioni fasulle a base di suoni vibranti o compressi. Un
sottogenere che potremmo chiamare pop-metal, che in effetti ha anche
alcuni epigoni. In Bangladesh hanno facile la tentazione al jingle e
al coro edulcorato dalla tastiera, un gusto che a mio parere
appesantisce un po' come il secondo cucchiaino di zucchero nel caffé
(a me poi piace amaro). Questa correzione alla sambuca è applicata
non solo a generi che già danno al melodico, ma anche a brani
thrash. Inoltre, c'è una pericolosa tendenza allo scivolamento delle
parti vocali verso dei balli da sagra, in cui si saltella tutti in
girotondo con costumi tipici.
Per rendervi l'idea, dopo
aver scorso una ventina di gruppi di questo tipo, è una manna dal
cielo imbattersi in un vocione brutal come quello dei Morbidity,
o nell'intravedere con gioia in scaletta anche un gruppo dal nome
improbabile Torture Goregrinder. D'accordo
che il metal “di genere” non è l'unico metal possibile, ma qui
in Bangladesh ci sono una serie di realtà musicali, dignitose quanto
volete, che di metal hanno solo il preambolo, o la corposità della
chitarra, o il piglio bellicoso, ma poi deviano verso un terreno rock
generico, quando più melodico, quando più core, ma a-metallico.
Quindi,
dicevamo, qualche consolazione brutal, ma contentarsi di gemme tipo
“Anal and Vaginal rejection”, o “Internal Ball putrefaction”
sarebbe davvero difficile. Ci voltiamo verso il black, ma qui non
attecchisce. Ormai superata l'apparente esotismo di un black in terra
islamica, in realtà basato su un'idea di Satana quasi combaciante
con quella del cristianesimo, resteremmo colpiti semmai da una
peculiarità o efficacia che però non ho trovato. Barzak, Orator,
Deaths Wrath offrono non molto più che qualche titolo intrigante,
tipo “Mutilation of the insidious prophet” di matrice ideologica
“bentoniana”.
Per fortuna, quando
stavamo per andarcene sbattendo la porta, la sorpresa. In Bangladesh
si suona del buon thrash. Gli Exalter sono il metal bengalese. Bel
vocione muscoloso, roco ma roccioso, incattivito ma umano, e un tempo
“battente” come appunto vuole lo stilema del thrash, senza la
ricerca sistematica o parossistica della velocità. Ma poi ci piace
questa riesumazione della visione thrash della guerra, con una
critica politica e sociale presunta ma non insistita, semmai quello
che emerge come risultato della descrizione di atrocità e miserie
varie della guerra, o lo spettro dell'olocausto nucleare. Lo stampo
degli Exalter è slayeriano, e fanno parte di quell'ondata di
neo-thrash che riesce a riprodurre lo spirito del genere originario
pur partendo dagli anni 2010, in maniera consapevole, come testimonia
il titolo “Thrash resurgence”, dal primo demo.
Un salvataggio in
extremis per il Bangladesh, che si dimostra una nazione prolifica ma
non “centrata” in ambito metal, probabilmente per il prevalere di
una componente melodica o pop che al momento però non trovano
soluzioni di contaminazione con il metal molto convincenti.
Sicuramente si conferma che sul piano stilistico l'area centro-asiatica si distacca da quella araba, per la ricomparsa di alcuni generi altrove assenti, ovvero quelli primari.
Sicuramente si conferma che sul piano stilistico l'area centro-asiatica si distacca da quella araba, per la ricomparsa di alcuni generi altrove assenti, ovvero quelli primari.
A cura del Dottore