Alla luce di tutto il loro corso artistico, gli Inchiuvatu appaiono come il progetto di metal “cristologico” più longevo su scala internazionale. Ciò che inizialmente ammiccava al satanismo a livello iconografico, già da subito però si mostrava una specie di ricerca demonologica incentrata sulla figura del Cristo, l'inchiodato, e delle figure popolari, pagane o cristiane, che gli ruotano intorno.
Quando gli artisti
affrontano, almeno in era contemporanea, la figura del Cristo, in
genere scelgono di rileggerla sul piano umano, concentrandosi quindi
su Gesù. Ciò permette di conciliare, sistematicamente, un messaggio
fondamentalmente solidale e amorevole con qualsiasi ideologia, magari
millantando una comune paternità ideologica con il cristianesimo. Da
un Gesù visto dal basso si passa quindi ad un Gesù visto di fronte,
come può essere un filosofo qualsiasi.
De André, con
un'intervento più unico che raro, ha proposto uno spaccato ironico
della figura di Cristo, in cui solo apparentemente ne delinea un
profilo positivo e sempre valido per chiunque, universalmente. In
verità, egli descrive un Gesù “umano”, sia quando rifiuta le
categorie morali, sia quando finisce per riaffermarne altre. La
storia, non raccontata mai dal punto di vista di Gesù, che rimane
un'incognita psicologica, è la storia del Gesù percepito, del Gesù
riletto, del Gesù usato, con la contrapposizione tra il figlio
perduto di una madre, e il mito della resurrezione per l'intera
umanità. La chiusura della storia la fa però, a lato di Gesù, il
ladrone Tito, lasciando il suo “testamento”, ovvero la lettura
definitiva del cristianesimo da parte di un uomo e della sua carne.
Gli Inchiuvatu non
guardano Gesù di fronte, né di lato, dalla posizione dei due
ladroni (diversi per fama, uguali per destino). L'inchiuvatu è una
figura vista da dietro. Una divinità senza volto, sospetta. E'
morto, è assente, ci ha lasciato. E' come averlo sempre davanti, ma
di spalle. La rivelazione non è un chiarimento, ma è un dubbio.
Uno scheletro visto di spalle, una tomba vuota.
Da questi presupposti
esistenziali (il senso d'abbandono dell'uomo al suo destino, il sogno
di un messaggio che ci guidi, il sospetto dell'inconsistenza del
tutto e della fallacia delle proprie illusioni) nasce la figura
dell'Inchiuvatu. Cifra dell'illusione e della disillusione umana.
La lettura della storia
di Gesù Cristo è un esempio di lettura rivelatrice: se la storia
inizia cronologicamente con il Natale e finisce con la Morte, essa è
poi da rileggere alla luce della morte, e ancora poi alla luce della
Resurrezione, in una serie di capovolgimenti successivi. Gli
Inchiuvatu si concentrano pertanto sulla morte di Gesù (“33”,
“INRI”, “Ecce Homo”, e in ultimo “Via Lucis”,
considerando che anche “Via Matris”, con un cambio di
prospettiva, è comunque incentrato sullo stesso evento).
In "Via Lucis" si prende in
particolare il percorso che porta dalla morte di Cristo
all'Ascensione. Il dilemma è: la morte può trionfare su Gesù? Da
una parte l'illusione che qualcuno trionfi per te, e ti doni qualcosa
che ti affranca dalla semplice morte (salvezza o vita eterna);
dall'altra la possibilità di vivere la vita come un trionfo, nella
sua ciclicità che alterna luce e tenebra, e che ti consente di
chiamare in tuo aiuto le forze della terra. Se si cerca “il senso
della vita”(cioè l'esistenza), si rinuncerà a vivere inneggiando
a chi è risorto; se si cerca la vita, la si troverà nel suo fiorire
ciclico.
e l'esistenza non ha alcun senso.
Fiorisce tra l'oscurità delle stelle
e sarà comunque un trionfo.
Puoi viverla come un sole
e illuminare tutto
e dal tutto essere illuminato.
Oppure eclissarti e lasciarti
inghiottire dall'angoscia
fino a quando non arriverà
un eterno e meraviglioso sonno.
La tomba aperta è il
rifiuto dell'uomo di accettare il messaggio di un Gesù morto. Il
rifiuto dell'uomo di cercare in sé la grandezza, costretto a
inventarsi che c'è la divinità, naturalmente nascosta come l'oro da
cercare con un setaccio nel fango. Sotto il sole che cuoce. Sarebbe
più naturale essere il proprio sole, anziché ignorarsi e cercare
altrove. Sarebbe più naturale accettare le tombe piene di carne che
non durerà, e nel frattempo essere il proprio sole, anziché cercare
di essere illuminati, e rimanere ossessionati dal buio della tomba.
L'oro nel setaccio è il sale della vita, o una continua frustrazione, e questa è la sfida mentale tra vivere la vita o attendere l'esistenza.
L'oro nel setaccio è il sale della vita, o una continua frustrazione, e questa è la sfida mentale tra vivere la vita o attendere l'esistenza.
Ma mentre respiri grida che sei sole
Consacrato.
Un sole consacrato
La via dell'uomo è ad
esempio quella lunare, che nell'oscurità preannuncia l'alba, e che
può essere la via dell'innamoramento simboleggiata da Maddalena, che
finalmente consola e lenisce le ferite.
Il messaggio di Gesù è
inviso agli uomini, che gli oppongono resistenza. Non parliamo solo
di chi non gli crede, ma di chi gli vuole credere come ad un Dio, e
quindi non fa altro che abbracciare il cristianesimo come una
qualsiasi altra affiliazione vincente. Tra chi lapida la Maddalena
senza pietà, e chi trafuga il cadavere di Gesù per predicarne la
resurrezione, non vi è differenza. Anche nei discepoli si nascondeva
sia il tradimento diretto (Giuda), che indiretto (Pietro che rinnega,
per non esser additato come “cugino di Dio”, per dirla con De
André). I discepoli sono stati un'illusione di amare ed essere
riamato, franata sotto il peso della croce e della pietra.
Cosa aveva predicato
“l'inchiodato"? Di ignorare la remissione dei peccati,
esattamente al contrario di quanto gli faranno dire nelle formule
ufficiali. Il rifiuto del concetto di peccato, e con esso di ogni
ipotesi di Inferno e Paradiso. Fortificare se stessi è la via
d'uscita, sia attraverso il dolore che attraverso il successo, che
porta a non occuparsi dei peccati altrui, ma se mai a perdonarli,
perché non si ha bisogno di perdonarli o di condannarli.
Mentre lo scheletro di
Gesù si sgretola chissà dove, il cristianesimo inizia a divenire
Vangelo, e si formano i greggi di pecore, descritte in maniera che
neanche Benton...
per battezzare l'uomo storto
a lingua nuova... e allora andate!
Spremete la mente in un mortaio
e seminateci sementi per il cielo
mai più scuro!
Fateli ciechi e addormentate le loro menti
piantate chiodi nelle orecchie
mentre in bocca posate un tuono.
Ciechi loro andranno...
nei piedi il diavolo zoppicante
invece nel petto cucite un fuoco
e lasciateli soli al buio...
più scuro, andate!
Andate a battezzare un mondo nuovo
di pecore addormentate
con la lingua avvelenata... Andate!”
L'umanità, purtroppo, non ha saputo amare. Ha saputo soltanto essere affascinata dall'idea che qualcuno sia morto a beneficio di tutti, per rimettere peccati e salvare anime. Di fronte ai buchi dei chiodi, la maggioranza degli uomini inventa un Dio, anziché amare l'uomo. E userà questo Dio per distribuire punizioni, patenti di giustezza e privilegi.
.L'ascensione ("Sceusa"), a questo punto, non è che una simbolica fuga di Gesù morto dal mondo. Non dalla tomba, da cui è stato fatto sparire, ma dal mondo che in nome suo ripete l'errore. Gesù è l'uomo che, con tutte le sue illusioni tradite, e le sue delusioni cocenti, va a spegnere il fuoco del desiderio, o le braci del dolore proiettandosi tra le stelle.
In chiusura, ermeticamente abbiamo “Ruvìna”, in cui sono contrapposte il percorso individuale di scoperta di sé, liberandosi dalle proprie paure di essere “gradito a Dio”, che poi si trasforma in odio e presunzione. Per ritornare invece nel percorso di scoperta della luce a partire dal buio, dopo aver capito che la vera rovina mentale non è l'assenza di un Dio, ma la ricerca di un Dio. “La mia rovina fu ciò che invoco per avere luce“ .
Mi viene in mente a questo punto quando i Samael dicevano “Io sono il mio Salvatore” nel brano “My Saviour” (album "Passage"), perché il concetto mi pare sia lo stesso. Quando la domanda di salvezza è balisticamente diretta “fuori”, in un cielo che si vede buio, si è costretti a ipotizzare luci rare e lontane, e canali privilegiati di illuminazione. Ma quando invece si guarda avanti, ecco che il cielo scuro si rischiara, e si capirà di non essere padroni della luce, ma di non essere neanche schiavi del buio. Siamo quindi il nostro sole, con i suoi picchi di luce, e i suoi tramonti, illuminiamo il nostro cielo; siamo illuminati, quando siamo persi nella notte, dalle nostre lune (la parte femminile), e la nostra resurrezione è il nostro ciclo vitale, che termina in una tomba.
In questa narrazione cristologica due sono le immagini prevalenti. Una è questa di un Cristo di spalle, che si allontana, che se ne va, e non ci è dato sapere se con rancore, amarezza, o serenità. Così come per ogni persona cara che ci ha abbandonato, e rispetto a cui potremmo avere rimpianti o rimorsi. La seconda immagine è quella dell'arsura: il sole, la pietra, la sete. Un bisogno di verità da bere, bisogno di una linfa che scorra, che lavi, che rinfreschi.
Il sole che cuoce la scena della crocifissione ricorda il sole di Burzum, che tormentava il viandante assetato nella radura del bosco ("Hvis Lyset Tar Oss"). Come se fosse proprio questa voglia di Dio a seccare la sostanza dell'uomo, che anziché scaldare se stessa da dentro, cerca calore dal sole, ma ne ottiene solo scottatura e prosciugamento.
A cura del Dottore
.L'ascensione ("Sceusa"), a questo punto, non è che una simbolica fuga di Gesù morto dal mondo. Non dalla tomba, da cui è stato fatto sparire, ma dal mondo che in nome suo ripete l'errore. Gesù è l'uomo che, con tutte le sue illusioni tradite, e le sue delusioni cocenti, va a spegnere il fuoco del desiderio, o le braci del dolore proiettandosi tra le stelle.
In chiusura, ermeticamente abbiamo “Ruvìna”, in cui sono contrapposte il percorso individuale di scoperta di sé, liberandosi dalle proprie paure di essere “gradito a Dio”, che poi si trasforma in odio e presunzione. Per ritornare invece nel percorso di scoperta della luce a partire dal buio, dopo aver capito che la vera rovina mentale non è l'assenza di un Dio, ma la ricerca di un Dio. “La mia rovina fu ciò che invoco per avere luce“ .
Mi viene in mente a questo punto quando i Samael dicevano “Io sono il mio Salvatore” nel brano “My Saviour” (album "Passage"), perché il concetto mi pare sia lo stesso. Quando la domanda di salvezza è balisticamente diretta “fuori”, in un cielo che si vede buio, si è costretti a ipotizzare luci rare e lontane, e canali privilegiati di illuminazione. Ma quando invece si guarda avanti, ecco che il cielo scuro si rischiara, e si capirà di non essere padroni della luce, ma di non essere neanche schiavi del buio. Siamo quindi il nostro sole, con i suoi picchi di luce, e i suoi tramonti, illuminiamo il nostro cielo; siamo illuminati, quando siamo persi nella notte, dalle nostre lune (la parte femminile), e la nostra resurrezione è il nostro ciclo vitale, che termina in una tomba.
In questa narrazione cristologica due sono le immagini prevalenti. Una è questa di un Cristo di spalle, che si allontana, che se ne va, e non ci è dato sapere se con rancore, amarezza, o serenità. Così come per ogni persona cara che ci ha abbandonato, e rispetto a cui potremmo avere rimpianti o rimorsi. La seconda immagine è quella dell'arsura: il sole, la pietra, la sete. Un bisogno di verità da bere, bisogno di una linfa che scorra, che lavi, che rinfreschi.
Il sole che cuoce la scena della crocifissione ricorda il sole di Burzum, che tormentava il viandante assetato nella radura del bosco ("Hvis Lyset Tar Oss"). Come se fosse proprio questa voglia di Dio a seccare la sostanza dell'uomo, che anziché scaldare se stessa da dentro, cerca calore dal sole, ma ne ottiene solo scottatura e prosciugamento.
A cura del Dottore