"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 nov 2019

RECENSIONE: "DISTANCE OVER TIME" (DREAM THEATER)


Non finisce più John, non finisce più...” e con questa sono quindici notti consecutive che John Petrucci si sveglia in preda al panico, sudando come un bambino. La moglie lo fissa: "Forse il prossimo disco è meglio, non farlo lungo come “The Astonishing”, non pensi John?".

Sospira il nostro chitarrista, si specchia nelle sue occhiaie e si convince: basta suite, basta concept almeno per un po’, basta fare incubi ogni notte, anche gli incubi sono lunghissimi.

"Il prossimo disco lo facciamo più easy, ragazzi siete tuti d’accordo? 
...
Già, dimenticavo che sono rimasto solo io a far tutto…"

Se la genesi di questo nuovo album dei Dream Theater fosse stata veramente questa, allora li giustificherei, ma in caso contrario sembrerebbero aver impacchettato tutto in fretta e furia con il pilota automatico.

Petrucci ha il controllo di tutto e questo lo sapevamo da tempo, ma se perde la voglia di esagerare anche lui, diventa tutto più pallido, opaco, meno accattivante.

Tre belle canzoni le confeziona anche stavolta: “Fall into Light”, “Barstool Warrior” e “Pale Blue Dot” sono al di sopra della media di qualsiasi uscita progressive metal. Scritte con la sigaretta in bocca, senza voler calcar la mano a dimostrazione della classe cristallina dei Nostri.

Per il resto si chiude il disco con una bella copertina e canzoni di ripiego con discreti spunti, ma è un album un po’ piatto “Distance over Time”: quella stessa piattezza che sentivamo nelle tre uscite precedenti senza Mike Portnoy, compensate però dalla presenza di più idee.

L’assenza di Portnoy paradossalmente non si sente dal punto di vista esecutivo, bensì da quello compositivo. Se la sua fosse stata una personalità meno invadente si darebbe potuto creare un perfetto mix con Petrucci e Jordan Rudess. Sono note le influenze controproducenti che l’ex batterista può avere avuto sui DT, però quando ascolto dischi come questo, penso che potrebbe essere veramente maturato il momento di un rientro in sella. Se non altro per far dormire una notte in più a Petrucci e non caricarlo di ogni incombenza.

Scivola via come un bicchier d’acqua questo album, ma siamo abituati diversamente e rivaluto persino lavori come l’omonimo album del 2013 che aveva più sfaccettature a partire dalla conclusiva “Illumination Theory” e non solo.

Anni fa andai a vedere Messi in una gara del Barcellona per constatare dal vivo il valore di uno dei più grandi giocatori al mondo. Quella gara finì 0-0 con una prestazione al di sotto delle aspettative da parte del fuoriclasse argentino, il quale tuttavia fece due controlli orientati e alcune accelerazioni che al mio occhio allenato fecero sobbalzare il cuore.

Proprio quella prestazione è il miglior paragone per questo ultimo album dei Dream Theater.

Voto: 6.5
Canzone top: "Pale Blue Dot"
Canzone flop: "Room 137"
Momento top: la parte centrale di "Fall into Light" 
9 canzoni, 57 minuti
Inside out