Pareva che il black metal, mutazione dopo mutazione, avesse toccato l’apice della propria auto-negazione fondendosi con il gospel dei neri d’America: il genere votato al Male per eccellenza che si era perfezionato nelle fredde lande scandinave, auto-proclamandosi elités ed inneggiando ad una purezza stilistica e concettuale, sfiorando peraltro l’arianesimo, veniva dirottato e ricondotto nei campi di cotone o nei cantieri delle linee ferroviarie dove gli schiavi in catene si spezzavano la schiena, tessendo sotto il sole cocente canti di disperazione.
Questo scrivevamo nemmeno due settimane fa, riferendoci agli Zeal & Ardor per introdurre il transessualismo satanico dei Biesy, one man band polacca che spingeva ulteriormente oltre, almeno a livello concettuale, il linguaggio malleabile del black metal. Ma ecco che, non paghi di aver slabbrato abbastanza i confini e i presupposti teorici del black metal, arriva un’altra azzardata proposta “nera”, questa volta dall’assolata Rio De Janeiro (non proprio la quintessenza delle ambientazioni tipiche del genere), per un esordio all’insegna di un black metal ferale in salsa carioca.
La sfida, questa volta, è coniugare black metal, musica cosmica, tribalismi della tradizione musicale brasiliana e, giusto per non farsi mancare nulla, un pizzico di techno allucinogena. Chi si fosse spaventato innanzi a questa presentazione può stare comunque tranquillo: la proposta di Caio Lemos, in arte Bríi, è fin troppo coerente nell'alternare suddette suggestioni sonore, tanto da divenire prevedibile negli sviluppi, cosa che però non toglie rispettabilità al progetto, ma soprattutto non toglie forza e impatto ad una ricerca sonora tanto originale.
Il prodotto colpisce a partire dalla curiosa copertina (pervasa da simbologie e caratterizzata da una vivacità tutta sudamericana) e dal lungo titolo in portoghese “Entre Tudo que é Visto e Oculto”, che introduce i temi dell’occultismo, tanti cari al genere.
Genere, quale genere? Ci piace etichettarlo black metal, per l’intensità epica che il maelstrom sonoro sa toccare in certi punti, anche se nelle parti più violente il riferimento rimane piuttosto il proto-black dei connazionali Sarcofago e primissimi Sepultura. Musica istintuale, metal selvaggio che suona irrimediabilmente brasiliano, visto che nel DNA porta con sé quella fiorente scena che aveva caratterizzato il paese fin dalla seconda metà degli anni ottanta. A rendere i Brìi un entità avulsa rispetto all'odierno panorama black metal, inoltre, troviamo un approccio che scansa le soluzioni introdotte dalle band scandinave nel corso della decade novantiana, per ripescare ancora una volta dal bacino delle influenze del metal classico degli anni ottanta, come spesso accade nei paesi in via di sviluppo o del terzo mondo, non ci capisce se volontariamente o meno.
La spinta avanguardista, invece, sta nelle influenze extra-metal, che, come si diceva in apertura, si rifanno principalmente alla psichedelia spaziale di certo space-rock settantiano, senza disdegnare l’apporto robusto di una elettronica manipolatrice che si esprime principalmente attraverso una effettistica allucinata. Un’elettronica che in certi frangenti si abbandona ai beat forsennati della techno-trance che, ben disseminata, rende la pietanza ancora più appetitosa.
Meno male, aggiungiamo noi, che ai muri insostenibili di rumore, dove il blast-beat spiana la strada a chitarre rimbombanti, bordate di sintetizzatori e vocalità indecifrabili, fa da contraltare uno sopraffino talento melodico che fa sognare per mezzo di estesi passaggi di chitarra arpeggiata e crescendo di ispirazione post-rock, dove una spiccata verve percussiva e certe sonorità locali hanno la loro rilevanza. In tutto questo, non si centellinano vocalità pulite, per lo più filtrate da vocoder, ad accrescere il senso di alienazione e trascendenza dell’intera operazione, sospesa fra ferocia e spirito visionario.
Già, l’album dura quasi settanta minuti e consta di soli quattro brani-monstre in cui l’ascoltatore, privato di ogni punto di riferimento, può smarrirsi (e album di questo tipo divengono l'antidoto ideale in un momento storico quale è quello che stiamo vivendo, ove l'immaginazione ha bisogno di spaziare e muoversi oltre le barriere imposte dall'epidemia). Gli ingredienti si alternano in modo fluido e senza traumi, con una sensibilità che potremmo definire progressiva. Forse, come si diceva in principio, gli sviluppi divengono fin troppo prevedibili dopo qualche giro di giostra, per questo motivo, per farsi un’idea di quello che ci ritroveremo in questo lungo platter, bastano i saliscendi emotivi della superba opener “Caos e Ordem Tiveram un Neto”. Nelle tre suite successive lo schema si ripete, fra momenti riflessivi, accattivanti passaggi melodici ed estenuanti tour de force di metal di una violenza inusitata.
E’ chiaro che un approccio eccessivamente analitico può essere controproducente in ascolti di questo tipo: in “Entre Tudo que é Visto e Oculto” non bisogna per forza cercare una nuova frontiera del black metal (anche se per certi versi potrebbero esserlo); è consigliabile semmai lasciarsi andare e farsi trascinare dalle emozioni, come spesso capita in certa letteratura sudamericana dove è il flusso poetico a contare, dove la verosimiglianza cede il passo al potere della magia, senza strappi né eccessive spiegazioni.
Buon viaggio.