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20 set 2021

"FONDI DI DISCOGRAFIA" - UMILIATI E OFFESI NELLA BUONA NOVELLA DEI MESSIAH




Non saprei dire se nel 2021 “Rotten Perish” dei Messiah sia da considerare un album dimenticato o meno. Di sicuro, per chi ha vissuto il metal all’inizio degli anni novanta, questo è un album ben noto. Non perché fece il “botto”, non perché le riviste specializzate lo incensarono e non perché la band fosse in particolare auge. 

Per quelle inspiegabili stranezze della vita, “Rotten Perish” te lo trovavi fra le palle un po’ ovunque, anche e soprattutto negli scaffali dei negozi di dischi generalisti. Andavi nel negozietto nel corso principale della tua piccola città, magari arrancavi nel trovare opere di band metal più note, ma ci trovavi “Rotten Perish”. Passeggiavi per il lungomare di una località turistica, entravi per curiosità in un negozio di dischi e ci trovavi “Rotten Perish”. Ed alla fine lo compravi. 

Non mi ha mai messo allegria "Rotten Perish", per quanto all'epoca lo avessi ascoltato molto, ma forse solo perché erano quei tipici acquisti che facevi un po’ a scatola chiusa e poi ti facevi piacere a forza, se non altro per rifarti della spesa. Quegli acquisti che effettuavi in solitaria, con un po’ di ingenuità, prima di scoprire la possibilità di acquistare per posta o che esistessero negozi specializzati in metal. 

Non lo compravi al primo colpo, ci giravi intorno, osservavi il cd da diverse angolazioni ed alla fine ti sentivi in dovere di acquistarlo, esasperato dalla sua presenza. La copertina, francamente di cattivo gusto, ti rendeva titubante ed anche a casa non eri pienamente convinto dell'acquisto: quel cd ti metteva indubbiamente a disagio. E un po’ a disagio mi sento a parlarne ancora oggi, quasi trent’anni dopo il suo acquisto. 

I Messiah, in verità, sono stati una buona realtà di seconda fascia del death metal. Avessero continuato a sfornare un album ogni due anni per altri trent'anni li considereremmo oggi rispettabili artigiani come i Vader. Ma le cose andarono diversamente. Originati nella metà degli anni ottanta all’insegna di un sound ancora molto thrash-oriented, i Messiah si spostarono verso un death à la Death con il buon “Choirs of Horror” (1991), per poi approdare al sopra menzionato “Rotten Perish” (1992) che si presentava come un concept dalle discrete ambizioni: durata elevata (cinquantuno minuti), brani articolati (la traccia conclusiva “Ascension of a Divine Ordinance” ne dura quasi dieci) e tema di fondo assai originale, di cui parleremo in seguito. 

Lo stile, si diceva, richiamava i Death dell'epoca, ma ovviamente si basava su partiture assai meno complicate che conservavano un tiro essenzialmente thrash-metal. Mai tiratissimi, i Nostri, come peculiarità, portavano in dotazione uno spirito visionario che era tipico della loro terra di origine, la Svizzera, notoriamente terreno fertile per un metal oscuro e morboso. Avevano, i Messiah, un qualcosa dei padri Celtic Frost e dei coevi Coroner, pur non possedendo la verve sperimentale dei primi né la genialità compositiva dei secondi. 

Quello che di vincente aveva la musica dei Messiah era il fatto di essere scorrevole, diretta, sufficientemente variegata e con delle buone intuizioni: questo grazie all'inventiva del chitarrista/leader Remo Broggi, che poteva rivendicare uno stile assai personale e riconoscibile. Colpiva l’uso copioso delle chitarre acustiche, che andavano ad impreziosire molti brani e, soprattutto, a compensare l’assenza di assoli, scelta voluta, penso, visto che il Broggi disponeva di una tecnica più che dignitosa. Completavano la formazione il cantante Andy Kaina, dal ruggito al vetriolo, e la solida sezione ritmica composta da Patrick “Frugi” Hersche al basso e Steve Karrer alla batteria. 

Eccoci al concept, dunque. In pratica l’album si presenta come una sorta di celebrazione degli “ultimi”, di “coloro che hanno fallito in un mondo di ingiustizie creato da Dio”, tanto per riassumere il significato di fondo del brano-manifestoFor Those Who Will Fail”. La domanda che si pongono i Nostri è: dopo un’esistenza di dolore, riusciranno queste creature infelici a trovare un riscatto nell’Aldilà? Soggiace, al tutto, una critica al Cristianesimo, a quel Dio che avrebbe creato un mondo ingiusto ed ipocrita. Sebbene secondo la visione cristiana vi sia sempre stato spazio in Paradiso per gli ultimi (“Beati gli ultimi che saranno i primi", diceva il Cristo), è lecito pensare che i Nostri abbiano voluto riferirsi a quei casi in cui il libero arbitrio fosse pregiudicato o impedito per motivi di alienazione mentale o di salute in generale, ma questa è una mia interpretazione. 

Il campionario descritto offre una accozzaglia di tristi vicende assai slegate fra di loro: c’è il depresso/aspirante suicida, il ragazzo sgradevole d’aspetto che finirà per uccidere la ragazza desiderata, un caso di anoressia nervosa ed uno di Alzheimer, deformità e menomazioni fisiche assortite e così via. C’è inoltre da dire che, sebbene vi sia la tendenza ad indulgere in sgradevolezze, tutti queste storie vengono trattate con grande pietà e con un tentativo, seppur naif, di comprendere psicologicamente le gesta dei loro protagonisti. Contrariamente a quanto compiuto dal Dio cristiano, visto come essere sadico o, perlomeno, insensibile. Ma anche questa è una mia interpretazione. 

Da testi scritti da chi ha imparato l’inglese sui banchi di scuola non è lecito attendersi grandi cose, ma si apprezza almeno lo sforzo da parte della band di voler andar oltre certe tematiche sataniche o splatter tipiche del death metal dell’epoca. Una cornice concettuale che calza a pennello con un musica torbida quale è quella espressa in “Rotten Perish”, dove tuttavia troviamo colpi di scena che non ci saremmo aspettati. 

Come una voce narrante di bambino nella introduzione acustica “Prelude: Act of Fate”, corredata peraltro da cori angelici; voce e cori che poi ritroveremo anche nella coda sinfonica della conclusiva “Ascension of a Divine Ordinance” (con tanto di pianoforte!), ove ci immaginiamo l’ascesa in cielo di tutti questi poveretti, tirati su con forza dagli angeli: un passaggio di indubbia suggestione. Ma anche la breve “Lines of Thought of a Convicted Man”, che riprende il tema melodico  dell'introduzione, costituisce una soluzione insolita, trattandosi di un brano interamente acustico ma cantato in growl dal sempre sgradevole Kaina. 

La cover, quasi rockeggiante, dei Manilla RoadDreams of Eschaton” si inserisce coerentemente nel concept (“eschaton” è il termine con cui, in teologia, gli escatologisti designano l’atto finale di un piano divino – o più semplicemente la fine del mondo), gettando ulteriore varietà in un’opera che si offre generosa di spunti per l'ascoltatore, con brani riconoscibili, ritornelli memorizzabili, interventi misurati di tastiera e, come si diceva, frequentissimi inserti acustici. Come dire: certi passaggi me li canto sotto la doccia ancora oggi. 

“Rotten Perish” ha anche rappresentato il momento più alto della breve parabola della band: l’avventura dei Messiah infatti sarebbe continuata per poco ancora, concludendosi con il deludente “Underground” (1994): un album decisamente più simpatico e modaiolo, scollegato dal death metal più canonico e spostato verso sonorità groove-metal (imperanti in quegli anni), con sperimentazioni  anche troppo azzardate (in un caso si sposerà persino l'elettronica). Nonostante il coraggio  e il poter disporre dietro al microfono di Christofer Johnsson dei Therion (altra anima celticfrostiana), l'atteso salto di qualità non si sarebbe verificato: l'opera si mostrava discontinua e non sempre a fuoco, e i Nostri, oltre a stravolgere la propria identità, provarono ad indossare vesti non proprio calzanti alle loro caratteristiche naturali. Il risultato sarebbe stato lo scioglimento della band. 

Apprendo adesso, scrivendo questo post, che a partire dal 2017 la band avrebbe ripreso la propria attività con la formazione storica, dando alle stampe un album nel settembre del 2020 ("Fracmont"). Voi ve ne eravate accorti? Noi no, ma del resto non siamo certo quelli che stanno ad aspettare fuori dal negozio l'ultimo album dei Messiah, ben sapendo che lo possiamo comodamente trovare negli scaffali del supermercato o di un qualsiasi autogrill, fra una ristampa di un vecchio album di Al Bano e Romina e l'ultimo libro di Roberto Burioni