Il Regno Unito, soprattutto nell’ultimo decennio, ha saputo contribuire alla causa del black metal con realtà di primario livello, capaci di oscurare in parte il ruolo di predominanza che gli inglesi Cradle of Filth da sempre esercitano in ambito di black metal albionico, almeno a livello di immaginario collettivo.
Fen è il primo nome che viene in mente, indubbiamente fra le punte di diamante dell’odierno post-black metal. E poi come non citare i Winterfylleth che nei loro lavori migliori hanno saputo esprimere un fiero e battagliero black metal condito da patriottismo e forti tinte atmosferiche. Andando ad alzare la spessa coltre dell’atmospheric black metal, ci imbattiamo oggi negli immaginifici Saor, che si distinguono per una proposta decisamente valida ed originale, fatta di black metal, folk e vibranti visioni dalle highlands scozzesi, loro terra natia.
Una volta addentrati nell’atmospheric black metal, è interessante scoprire come vi si possano trovare sensibilità molto diverse, ma al tempo stesso coerenti con i dettami di base del genere. La visione artistica di Andy Marshall (l’uomo dietro al progetto) rappresenta senz’altro la variante folkish del black metal atmosferico, essendo la sua musica consacrata alla celebrazione delle sua amata terra, la Scozia. Ma non si preoccupino gli amanti delle sonorità più dure: il folk è si presente, ma si integra in un corpus sonoro elaborato che vede flirtare un epico e corpulento black metal con un approccio che potremmo definire progressivo.
Aiutano le discrete capacità tecniche messe in campo dal Nostro, che non è certo un novello, avendo egli avviato nel tempo più progetti, principalmente gestiti in solitaria. Con gli Àrsaidh, di cui i Saor sono da considerare una continuazione, aveva dato alle stampe il bellissimo “Roots” (2013). Si tratta di un lavoro bellissimo dove le recrudescenze del black metal si miscelavano con ispirati passaggi melodici in composizioni lunghissime (quattro brani in cinquanta minuti, di cui uno di soli due minuti – fate voi i conti di quanto possano essere lunghi gli altri). L’album, in verità, è stato pubblicato sia a nome Àrsaidh che Saor, questo perché ad un certo punto il Nostro si ruppe i coglioni dell’accento sulla A, cosa che creava più di un problema nella digitazione digitale del nome del gruppo. Ed ecco che per magia la ragione sociale cambiò da Àrsaidh a Saor (ironia della sorte, il fiero monicker Àrsaidh, che in scozzese gaelico significa “antico/arcaico”, veniva dismesso per un problema legato ad internet!).
Saor, che sempre in scozzese gaelico significa “libero”, è dunque il nuovo nome del progetto, il quale confermerà le potenzialità del debutto nel qui presente “Aura” (2014). Le cose migliorano ulteriormente, vuoi per una maturazione fisiologica, vuoi per il fatto che il buon Marshall a questo giro decide saggiamente di svestire gli abiti del factotum: egli continuerà ad occuparsi delle parti vocali, di chitarra, basso e flauto (tin whistle, per i puristi degli strumenti a fiato), ma si farà anche aiutare da musicisti in carne d’ossa al fine di dare ulteriore intensità alla sua creatura. Spicca, fra tutti, il nome di Austin Lunn, mastermind degli americani Panopticon (altro fondamentale pezzo di storia dell'atmospheric black metal), il quale siederà diligentemente alle pelli. Ci sarà poi spazio per strumenti tradizionali come viola e violino, percussioni di vario tipo, e per gli interventi di una voce femminile.
Il risultato è superbo, frutto di una scrittura maggiormente a fuoco che tende a contenere le derive dispersive del passato e condensare le idee per meglio svilupparle, ovviamente non perdendo di vista la sfera delle emozioni. Intanto cinque brani per "soli" 56 minuti: si registra quindi una lieve riduzione della durata media dei singoli episodi, i quali appaiono più equilibrati e compatti di un tempo. Lunghe porzioni strumentali abbinano fieri riff di chitarra ad archi e fiati, che imperversano proponendo temi melodici impregnati della storia, della cultura, dei paesaggi della Scozia.
La produzione è schietta, funzionale a supportare quell’impeto di immediatezza ed impetuosità che rende lucente la visione artistica di Marshall, imperfetta nella forma, ma che sa mirare direttamente al cuore. Non tutta quadra, a partire dal drumming di Lunn, che a volte sembra voglia strafare. L’atmospheric black metal ci ha in un certo senso riappacificato con la drum-machine, e se da un lato si apprezza l’umanità dietro alle bacchette, forse qualche cambio di tempo in meno avrebbe giovato alla resa complessiva (non aiuta il suono della batteria nel mixaggio, con i tom fin troppo in evidenza).
L’integrazione fra strumenti acustici ed elettricità, inoltre, non è sempre riuscito; lo stesso si dica delle voci pulite, che si fanno confuse ed indistinte: non altro che un elemento chiamato a rafforzare l'epicità di certi passaggi. Ma questi sono dettagli che alla fin fine portano più pregi che difetti, dando alla musica dei Saor un tocco di autenticità che, in un certo senso, dona alle ambientazioni ritratte (avete presente i Bathory?).
Una musica, quella dei Saor, che evoca la furia degli elementi: le chitarre sono rocciose come i picchi montuosi ritratti in copertina, la batteria picchia come il vento, la voce è un rombo di tuono che si avventa sull'ascoltatore, un "urlo arcaico" che sembra provenire dal profondo delle viscere di un passato selvaggio ed ancestrale, tanto brutale da sembrare artefatto (l’impressione è che si siano registrate e sovrapposte due linee vocali distinte). Una tale impostazione vocale potrebbe per alcuni risultare monotona, ma è solo una questione di gusti (a me, per esempio, non dispiace), e comunque, anche si trattasse di una lacuna, verrebbe abbondantemente compensata da una fulgida scrittura che si fa garante di una straordinaria continuità quanto ad intensità ed ispirazione.
I momenti topici si sprecano, ma come non citare i primi minuti della opener “Children of the Mist” che mette subito in vetrina un sound dinamico, deciso, determinato, animato da cambi di tempo azzeccati, elaborati riff di chitarra che dialogano con gli strumenti tradizionali e un flavour epico da far invidia a molti: questi primi minuti mettono in luce la capacità dell’ensemble di forgiare un suono compatto quanto variegato, con finezze che è gradevole ritrovare in un album black metal che non rinuncia alla propria ruvidità.
Si abbia inoltre in mente lo stacco micidiale fra le magie acustiche dell’incipit e la fulminea partenza in blastbeat di “The Awakening”: qui, a svelarsi, è la capacità dei musicisti nel saper cambiare con disinvoltura il volto di un brano, passando in un attimo dalle carezze al sangue, dalla quiete alla tempesta, una turbolenza specchio dei repentini cambi climatici che caratterizzano l'area settentrionale della Terra di Albione.
Si consideri, infine, giusto per fare un altro esempio della maestosità del suono dei Saor, il modo magistrale in cui si chiude l’album, con gli imperdibili ultimi minuti di “Pillars of the Earth”, fra denotazioni elettriche, leggiadri interventi di ugola femminile e tanto tanto tanto pathos. Ma ogni minuto è prezioso in questa (quasi) ora di musica: una musica che saprà tele-trasportarvi nei maestosi paesaggi delle grandiose highlands scozzesi, prerogativa principale e missione artistica di quel genio schivo e solitario che risponde al nome di Andy Marshall.
La sua avventura proseguirà con coerenza e passione lungo le coordinate gettate da questo “Aura”, che ad oggi possiamo considerare il lavoro più significativo dei Saor, senza togliere nulla alla bontà dei lavori successivi. Non solo: i buoni riscontri di vendita e il discreto seguito hanno spinto il Nostro a considerare – facendosi aiutare ovviamente - la possibilità di portare la sua musica su un palco, cosa che si è effettivamente concretizzata negli ultimi anni in una fitta attività live da parte della band, fenomeno assai raro in un contesto “isolazionista” quale è quello dell’atmospheric black metal…
...Un motivo in più per tenere d'occhio il calendario degli eventi del prossimo anno, in cui si spera di poter tornare ad usufruire della musica dal vivo...