8 donne per un’ora e mezza
di documentario. 8 frontwomen tra le più famose del mondo metallaro. Anzi: le più
famose. Il ‘range’ anagrafico coperto è ampio, quasi un quarto di secolo: si va
dall’inossidabile Doro Pesch (classe ’64) alla canadese Kobra Paige (classe ’88
e singer dei Kobra and the Lotus).
Sono le loro testimonianze di vita che ci propone il regista canadese Mark Harwood, autore, nel 2015, di questo “Soaring Highs and Brutal Lows – The Voices of Women in Metal” (ma che bel titolo!). Un’opera la cui visione, caldamente, ci sentiamo di consigliare a tutti.
Il gruppo di metal singer del
gentil sesso si divide, idealmente, in due ‘blocchi’: quello orange, affermatosi sulla scena già da parecchi anni e composto dalla Divina AvG,
Simone Simons (Epica), Floor Jansen (Nightwish) e l’”ultima
nata”, classe ’87, Charlotte Wessels (Delain) + la messicana, ma ‘naturalizzata’ olandese,
Marcela Bovio (Mayan, e già Stream of Passion; sposata da oltre un decennio con
Johan Van Stratum, bassista dei Vuur e, soprattutto, neo-bass player dei Blind
Guardian); e poi il più giovincello ‘blocco canadese’, composto dall’avvenente
blu-crinita Alissa White-Gluz (Arch Enemy) & la succitata Kobra
Paige.
Sopra tutte, e con una pronuncia
inglese gravata da un pesantissimo accento teutonico, Doro, all’epoca
fresca reduce dai festeggiamenti per i suoi 35 anni di carriera (celebrati con
la pubblicazione del cofanetto “World Gone Wild”).
Avvisiamo subito i lettori: di
musica, nei 93’ circa di running time, ce n’è proprio pochina. Quasi zero. Giusto
qualche breve estratto live qua e là per intermezzare le interviste delle
protagoniste. Se non mi sono distratto, il più lungo di essi riguarda proprio Anneke mentre canta con i The Gathering la splendida “On Most Surfaces” (meno
di mezzo minuto, comunque).
Ma il focus del documentario non
è, appunto, descrivere le caratteristiche musicali o raccontare le biografie
delle cantanti e delle loro band. C’è anche quello, certo (ad esempio,
scopriamo che la giovane Floor avrebbe desiderato fare la biologa e stare tutto il tempo in
mezzo agli animali e alla natura). Ma, come detto, il fulcro del progetto è quello
di toccare temi a 360° della vita on the road di una donna nel brutale
mondo metallico. Con tutto il portato, professionale e personale, di una scelta
così radicale.
Al netto del differente spazio
concesso alle Nostre (sicuramente la Jansen e la Simons sono quelle che
‘parlano’ di più e a cui viene data maggiore visibilità), ciò che mi ha
sorpreso in positivo è l’uniformità dell’approccio alla propria professione. Tutte
quante si sentono delle donne "privilegiate", per un semplice motivo: aver potuto
coltivare il proprio sogno ed esprimere la propria arte attraverso una metal
band. Non interessa a nessuna essere famose, potersi permettere oggetti
costosi, avere fama e celebrità. No: quello che traspare in modo plastico è
proprio la realizzazione di sé come artiste.
Il rapporto, non sempre facile,
con le famiglie d’origine; i periodi di crisi lavorativa, e quindi economica,
che costringono a doversi barcamenare con lavori alternativi per cercare di
uscirne; le malattie contratte durante i tour (la MERS, vari funghi e batteri);
i momenti drammatici, di burnout, eccetera: sono tanti gli argomenti trattati e tutti con
intelligente acutezza. A tal proposito, vi assicuro, sono molteplici
le affermazioni che meriterebbero un approfondimento e che fanno comprendere
come queste donne siano intimamente consapevoli della loro professione, del
duro lavoro che necessita e di come, alla fin dei conti, la qualità della
musica espressa sia determinante nel far proseguire il loro sogno.
Come è facile immaginare, vengono anche affrontate le problematiche relative all’oggettificazione e la sessualizzazione delle cantanti. Tema reale, soprattutto quando le frontwomen nel metal erano merce rara. Problematica che ora sembra superata. Ma soprattutto ci si sofferma sul fatto che la vita di un cantante, rispetto agli altri membri della band, è davvero più complicata e ‘a rischio’. Questo perché, banalmente, il loro strumento è il loro corpo, la loro voce. E questo costringe ad avere un approccio alla quotidianità decisamente accorto e ‘sano’. Perciò: niente junk food, niente droghe e niente, o pochissimo, alcool.
Chiaramente, nessuna di esse
rinnega alcunchè riguardo le scelte fatte: non riescono neppure a immaginarsi con un ‘lavoro da ufficio’. La vita on stage, e on tour,
rimane un qualcosa di elettrizzante e appagante. E, come dice nel suo ultimo
intervento la Jansen, “essere capaci di ‘fare metal’ è un privilegio e non so
se sarò ancora in leather pants when I am at 65…we’ll see…but I mean…ONE CAN
DREAM!”.
Forse il messaggio più importante
al termine della visione è quello che esprime la Bovio parlando delle tante
attestazioni di gratitudine dei fan, anche messicani, che le sono giunti nel corso
degli anni. Attestazioni che esprimono l’ispirazione e la fiducia che la
dotatissima singer ha saputo infondere in tante giovani ragazze che vogliono
coltivare un sogno analogo. Marcela, relativamente a questo e con immense
gratitudine, ci tiene a sottolineare però quanto lavoro sottenda al
raggiungimento di certi traguardi e quanto esso vada preso seriamente
(simpatico il passaggio del film in cui si vedono certi tutorial on-line
relativi ad esercizi vocali da lei suggeriti).
Chiudiamo, casualmente, con una frase della Divina che racchiude, con somma poesia, il messaggio finale del documentario: “We have room to flourish and to nurture new generations”.
Ipse dixit (le sue esternazioni si ascoltano ma non si commentano…).