Sesta puntata: Strid - "Strid" (1994)
Per noi il full-lenght è un modulo essenziale della narrazione artistico-musicale: è un traguardo importante per una band, la quale si accredita presso una casa discografica per meriti che le vengono riconosciuti, ed una esposizione compiuta di un messaggio artistico. Abbiamo fatto una eccezione per i Manes, trattandone le demo, perché, se sono stati seminali per il depressive black metal, lo sono stati proprio per quelle demo, e non per il debutto discografico, uscito sulla lunga distanza nel 1999 e portatore di caratteristiche già diverse (la band virerà poi verso altri lidi stilistici).
Al di là di questo, l'idea era di non aprirsi facilmente alla trattazione di demo, EP o split perché sarebbe stato come scoperchiare un vaso di pandora. Il rischio concreto è che la nostra indagine potesse divenire troppo dispersiva, in special modo per un genere di nicchia e sotterraneo quale è il DBM. Ma per gli Strid l'eccezione si può fare.
E chi cazzo sarebbero gli Strid per infrangere la nostra regola aurea? Niente di meno che - così si dice - la prima band depressive black metal della storia: un primato che i Nostri si sono guadagnati senza pubblicare nemmeno un album. Vediamo dunque come è possibile scrivere la storia di un genere con poco più di venti minuti di musica...
Credo che non sia stato un peccato di distrazione non averli notati quando si affacciarono sul mercato discografico all'inizio degli anni novanta, visto che la loro discografia conta solo una demo ed un EP. Ma per chi volesse approfondire le sonorità depressive, ripescare il loro omonimo EP "Strid" - edito nel 1994 - diviene un atto necessario. Facciamo un passo indietro, anzi due...
Ancora Norvegia. La band nasce sotto un altro nome, Malfeitor, con il quale pubblica tre demo: "Hellisk Revenge" (1991), "Malfeitor" (1991) e "Pandemonium" (1992). Ovviamente queste registrazioni sono divenute note solo dopo che gli Strid sarebbero divenuti un nome di culto (nel 2007 sarebbe stato pubblicato uno split contenente l'intera discografia degli Strid e due demo dei Malfeitor). Fra le fila dei Malfeitor troviamo Espen Andersen, poi noto come Storm (voce e basso), e Lars Fredrik Bergstrøm (chitarra), i quali sarebbero confluiti nei Battle. Pochissimo dopo i Battle avrebbero cambiato nuovamente nome in Strid - che non è altro che la traduzione del monicker in lingua norvegese.
La produzione dei Malfeitor non è affatto malvagia, ci mostra una creatura senz'altro immatura, ma di indubbio interesse: si tratta di un black metal primordiale che fa grossa incetta di tutte quelle suggestioni che in seguito sarebbero state etichettate come proto-black metal (Bathory in primis). Il tasso di agonia è già elevato, acuito da suoni marcissimi che sono consoni alla produzione artigianale di una band esordiente alle prese con la incisione dei suoi primi brani.
Discorso diverso va fatto per la produzione rilasciata con il monicker Strid. La demo "End of Life" (1993) segna un significativo salto di qualità, sicuramente a livello di produzione, ma non solo. Anche quanto a scrittura e capacità realizzative vengono fatti dei passi avanti. "End of Life" si compone della sola title-track, brano dalla durata considerevole (ben undici minuti!) che viene ottimamente ammaestrata da un terzetto affiatato e compatto. Passaggi lenti e meditativi si alternano a parti più tirate che tradiscono ancora qualche reminiscenza death metal, senza tuttavia scardinare una evidente impostazione in stile true norwegian black metal così come si stava configurando all'epoca nelle terre del nord. La composizione già è innervata da una certa malinconia che rende la proposta magnetica e portatrice di un fascino perverso. Ancora più significativa è la scelta di un titolo come "End of Life", che va ad anticipare la svolta "depressive" del successivo EP.
Si capisce che la band, dopo qualche anno di gavetta, ha raggiunto la maturità e la piena consapevolezza della propria missione artistica. Si abbandonano definitivamente gli up-tempo, ma ad essere cambiato è soprattutto il mood. Ascoltare le due tracce dell'EP subito dopo aver ascoltato il brano della demo suggerisce la sensazione che si ha nell'incontrare una persona prima ed appena dopo che essa ha ricevuto una brutta notizia: i tratti sono gli stessi, li possiamo riconoscere, ma il sorriso è svanito, gli occhi sono vacui, il volto impallidito. "Det Hviskes Blant Sorte Vinder" e "Nattevandring" non offrono grandi variazioni, suonano come un unico brano e nei loro nemmeno quattordici minuti di durata complessiva descrivono alla perfezione cosa si debba intendere per DBM. Del resto titoli come "sussurri fra i venti neri" e "passeggiate notturne", peraltro tematicamente legate, facevano presagire un approccio più intimistico rispetto alla media.
Musicalmente parlando, la band risultava in linea con gli standard qualitativi degli illustri colleghi norvegesi; concettualmente, essa andava ad introdurre una sensibilità inedita in quell'universo in espansione che era il black metal dell'epoca. Punti di riferimento possono essere ovviamente Burzum (il meno cruento), i primi Ulver (che comunque avrebbero esordito con il superbo "Bergtatt" l'anno successivo) e i primissimi Arcturus (quelli dell'EP "Constellation", ma questa è una mia personale opinione - e se si parla di Arcturus bisogna comunque prosciugarli del suono magniloquente e dell'indole progressiva). Insomma, ci stiamo riferendo a quelle estrinsecazioni del black metal che si muovevano su un piano più meditativo ed atmosferico. In questo contesto, lo scarto fra gli Strid e gli altri è che vengono a decadere anche quella fierezza, quella ferocia istintiva, quel romanticismo compiaciuto che ancora si percepivano nei lavori di Burzum o negli altri nomi che di solito sono considerati i precursori delle sonorità depressive.
Nella musica degli Strid si respira un senso di rassegnazione e di fatalità non riscontrabile in altre manifestazioni di black metal del periodo. La forza degli Strid sta nel fatto che essi non ostentavano una attitudine depressiva ed auto-lesionista a tutti i costi, ma si facevano veicolo di una tangibile malinconia. Credo che la validità del prodotto sia emanazione di ogni singolo musicista. I tempi sono lenti, ma non banali: non siamo di fronte ad una drum-machine programmata in modo elementare, Rajar è indubbiamente un batterista tecnico retrocesso alle istanze di un black metal più sconsolato, e lo si sente dalla precisione nel tocco, nella fluidità delle rullate e nei lievi cambi di tempo. Le sei corde di Ravn Harjar disegnano scenari desolanti, ammantandosi di una rarefazione sonora ed una poetica minimalista che in qualche modo anticipa il Burzum di "Filosofem" (anticipare per modo di dire, visto che "Filosofem" sarebbe stato pubblicato nel 1996 ma fu registrato prima del 1994).
Il vero valore aggiunto, tuttavia, è dato dall'operato di Storm, non solo per il suo screaming espressivo, ma per il suo stile di basso, fra i più carismatici ed intensi uditi in campo black metal: si tratta di un basso arpeggiato, nitido, pulito, che spicca nel marciume elettrico della chitarra, integrandosi alla perfezione con le sei corde, completandone il lavoro e a tratti superandole quanto ad intensità melodica. A sigillo del tutto troviamo dolenti tappeti di tastiere, non invasive ma fondamentali nel modellare il suono allestito dal terzetto. Esse non sono accreditate ma probabilmente sono attribuibili allo stesso Storm, visto che Metal Archives lo qualifica anche come tastierista della band. Se così fosse, sarebbe costui da indicare come il vero inventore del DBM, e il fatto che sia morto suicida nel 2001 andrebbe ad avvalorare la tesi, almeno per quanto riguarda la veridicità delle sensazioni che ha saputo riversare in musica.
Vi è purtroppo un triste bollettino da fare in merito al DBM, ossia quello dei musicisti morti per propria mano: corposa lista alla quale bisognerebbe aggiungere quella dei deceduti in generale che hanno gravitato intorno a queste sonorità. Non è questo ovviamente un elemento determinante per le nostre riflessioni, ma neppure si tratta di puro gossip, in quanto è un dato statistico che getta ulteriore luce sugli umori che circolano negli ambienti sottostanti al genere. Basti pensare al fatto che abbiamo scritto solo un pugno di articoli sull'argomento e che in occasione di ciascuno di essi ci sia scappato il morto. Nell'introduzione abbiamo citato Dead (dei MayheM), morto suicida; con Burzum abbiamo menzionato Euronymous, morto ammazzato; con Abruptum e Forgotten Woods ci siamo imbattuti in It ed Olav Berland, morti anch'essi. Ed oggi con gli Strid siamo a commemorare la scomparsa prematura di Storm, a cui sarebbe seguita, qualche anno dopo, quella di Lars Fredrik Bergstrøm, primo chitarrista della band, rientrato successivamente (dal 2009 al 2014 per l'esattezza).
Gli Strid apparentemente esistono ancora in uno stato perennemente vegetativo. Erano infatti tornati in vita probabilmente per via della rivalutazione postuma della band grazie all'affermarsi come genere del DBM ad inizio millennio. Ci sono state dichiarazioni da parte dei membri, tuttavia, che fanno pensare che proprio con la morte di Bergstrøm si debba ritenere conclusa l'avventura della band. Sia quel che sia, il segno lasciato dalla band si riferisce al biennio 93-94.
Ed allora, tornando al quesito iniziale: è dunque possibile scrivere la storia con soli venti minuti di musica? Nel caso degli Strid, è lecito di rispondere proprio di sì...