"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 set 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: COLDWORLD


Trentacinquesima puntata: ColdWorld - "Melancholie²" (2008) 

Chi ha detto che il depressive black metal deve essere necessariamente un molesto pugno nello stomaco? Se è statisticamente vero che molte estrinsecazioni di questo sotto-genere – in particolare il ramo suicidal – tendono a voler portare alle estreme conseguenze sonore un’attitudine volta a sondare il lato più degradato dell’animo umano, con esiti il più delle volte fra lo sgradevole e il disturbante, non è raro trovare proposte che agiscono in modo più misurato e, se vogliamo, con tocco più delicato, attraverso un maggiore raziocinio compositivo ed una maggiore sobrietà a livello espressivo. 

ColdWorld è senz’altro un’entità che appartiene a questa seconda categoria, costituendo un buon viatico per iniziarsi al genere senza dover per forza patire le pene dell’Inferno...

Il progetto tedesco, creatura del polistrumentista G.B. (all’anagrafe Georg Börner), nasce nel 2005 e subito cattura l’attenzione con l'EP “The Stars are Dead Now” del medesimo anno: cinque tracce che mettono in risalto le brillanti capacità compositive ed esecutive del Nostro. Scorrendo questi 28 minuti si percepisce immediatamente uno strano contrasto: da un lato ci imbattiamo nei soliti temi “scomodi” del depressive (titoli come “The Empty Life”, “Hate”, “Cancer”, “Suicide”, “The Old Ghost in the Well” non hanno certo bisogno di traduzioni), dall’altro, invece, questa vocazione a voler rovistare nel torbido non sembra rispecchiarsi sul fronte strettamente musicale: un black metal sì malinconico, ma dalle molte intuizioni melodiche e basato su una certa varietà di fondo che dona fluidità all’ascolto. 

Il tomo in questione poteva essere etichettato come ambient / depressive black metal, considerata la significativa presenza delle tastiere nel corpus sonoro. Pronunciata era indubbiamente l’indole “descrittiva”, che trovava la sua apoteosi nella traccia conclusiva: quasi otto minuti per sole tastiere, suoni d'ambiente e percussioni. Quella componente veniva tuttavia mischiata con efficacia ad elementi più catchy (si guardi all’energico mid-tempo motorhediano con cui parte “Hate”, ai limiti del black’n’roll piacione degli ultimi Satyricon, o al procedere lussureggiante di “Suicide”, aperta dal violino e dotata di un accattivante flavour gothic rock): un insieme di cose che rendeva la proposta innegabilmente intrigante e per palati anche meno avvezzi al catrame. 

Il passo successivo sarebbe stato la demo “Melancholie” (2006): soli nove minuti per tre brani di cui due strumentali. Una svolta ulteriormente ambient che tuttavia sarebbe stata in parte disattesa dall'album effettivo di debutto, “Melancholie²”, uscito due anni dopo e che avrebbe inteso, fin dal titolo, espandere e sviluppare gli umori e le intuizioni della pubblicazione precedente in una sorta di dimensione di “malinconia al quadrato”. L'album ereditava i tre brani della demo, ma questi sarebbero rimasti episodi a sè stanti, fungendo da contorno al nocciolo dell'opera che tornava ad essere dominata dalla chitarra elettrica come succedeva nel brillante EP sopra menzionato. 

Come suggerito dalla bellissima copertina, la musica andrà ad acquisire i contorni di gelidi e desolati paesaggi invernali, fatti di neve ed alberi spogli fra cui si va ad insinuare la solitudine del viandante. Ideale sarebbe ascoltare queste note affacciati alla finestra mentre fuori nevica, ma al di là degli aspetti meteorologici più congeniali all'ascolto, l’album ha le qualità per farsi apprezzare in ogni momento dell’anno, anche quando non si è particolarmente inclini a sentimenti malinconici: questo perché si tratta di un album variegato, ricco di spunti e - rispetto ai canoni del genere - persino orecchiabile. 

Sebbene nella rete si leggano recensioni in genere positive sull’album, e ColdWord sia senz’altro uno dei nomi degni di nota del DBM di seconda generazione, credo che il progetto costituisca nei fatti una entità divisiva. Se infatti è innegabile che questo prodotto possa essere apprezzato da un pubblico più ampio (fra cui amanti del black metal non necessariamente depressivo ed appassionati di gothic metal sui generis), probabilmente verrà visto con diffidenza da parte dei cultori più ortodossi e puristi del genere in cerca di ben altre sensazioni. Insomma, quello di ColdWorld è un DBM più soft e digeribile della media, quasi un “pop depressive” se mi passate l’espressione: starà dunque ai gusti ed alle esigenze del singolo decretarne l’effettivo valore. 

Il senso dell’intera operazione è riassumibile nei tre primi brani, tanto diversi quanto complementari. L’openerDream of a Dead Sun”, nei suoi sette minuti e mezzo, rappresenta la summa dell’arte targata ColdWorld, mostrandone il lato più selvaggio e maestoso: introduzione atmosferica e poi subito lo spleen delle distorsioni. La produzione è ruvida il giusto e restituisce suoni puliti per quanto riguarda la maggiore parte degli strumenti, fatta eccezione per la chitarra ritmica, un po’ sgranata, e per la voce, gracchiante e lontana, filtrata come abbiamo già udito in act quali Xasthur e Leviathan. Peccato solo per la drum-machine un po' legnosa che ingessa l'evoluzione del brano. I tempi sono inizialmente sostenuti per poi alternarsi a passaggi più lenti e pregni di pathos, sempre all’insegna di un grande gusto melodico rafforzato dalla presenza decisiva di tappeti di tastiere. Non mancheranno cori in voce pulita in stile primi Ulver (elemento, questo, che ritroveremo sporadicamente nel resto del platter, più come elemento di atmosfera che altro). Chiude il tutto una chitarra arpeggiata su eteree tastiere. 

La seconda traccia “Tortured by Solitude”, a scapito del titolo, mostra invece il volto più orecchiabile del progetto: aperta da uno splendido violino (strumento suonato più che dignitosamente dal Nostro e utilizzato in modo misurato anche nel resto dell’album) si muoverà su coinvolgenti tempi medi, fra momenti più rockeggianti e la consueta ispirazione melodica. “Winterreise”, infine, è il primo di tre brani strumentali che dischiudono la vena ambientale del progetto: questo, in particolare, è un bellissimo interludio a base di tastiere e field-recording che nel suo procedere minimale ed ipnotico non può non ricordare il miglior Burzum ambient

Mischiando e giocando con queste tre carte, Börner è in grado di confezionare cinquanta minuti in cui finalmente la sua originale visione artistica acquisisce organicità e sintesi definitiva. Si arriva alla fine dell'opera senza cedimenti, sbadigli e gesti di stizza: la tensione praticamente non cala mai, ed anzi raggiunge il suo acme (almeno a parere di chi scrive) proprio nel finale con l'episodio più atipico ma meglio riuscito del lotto: la lunga strumentale “Escape”, la quale si apre con soffuse sonorità ambient ed un pizzico di elettronica glaciale per poi evolversi in un paesaggistico post-rock fra riff imponenti, solite tastiere ammalianti e languidi assoli di violino. Fantastico finale!

Cinquanta minuti fin troppo perfetti, potremmo anche concludere: tutti gli elementi infatti sembrano trovare la giusta collocazione e il loro alternarsi avviene con un tempismo che sembra calcolato, tanto che potremmo recriminare al Nostro un eccessivo raziocinio nel cucinare la ricetta, laddove nel depressive è lecito aspettarsi maggiore immediatezza, urgenza e dunque anche irregolarità, sbavature e persino errori. 

Nessuno tuttavia potrà negare che “Melancholie²”, sul campo da gioco in cui intende competere, sia un’opera riuscita: proposta suggestiva, equilibrata e mai stucchevole o prolissa, quella a firma ColdWorld potrebbe costituire una ideale porta di ingresso per coloro che, senza sporcarsi troppo di sangue e prozac, vogliano conoscere il mondo del depressive...  

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