Ci siamo abituati alla campagna come luogo di malinconia, forse per i “pezzi grossi” Sale Freux. Abbiamo intravisto campagne più malate, malsane; però è ora di tornare alla centralità della campagna “campagna”, e alla doppia faccia della terra, che può donare o affamare.
Alla base di una delle più note fiabe per bambini (anzi, almeno due) c'è la carestia. I genitori di Hansel e Gretel pensarono di abbandonare i bambini, lasciando loro cibo per un giorno, perché incapaci di sfamarli. Analoga sorte alla base della novella di Pollicino, o Tredicino, che dir si voglia.
Colpa della carestia. In campagna si può rimanere senza cibo, senza acqua, e le distanze possono essere tali che, per gente senza mezzi e riserve di cibo, ciò significa morire di fame, di stenti.
Ci sono, nelle campagne, delicati equilibri, legati al clima, alle “zoonosi” (malattie che decimano gli animali d'allevamento), devastazioni legate alle guerre.
Ma la salvezza della campagna non va cercata nell'urbanizzazione. Non sarà la città a salvare le campagne dalla fame. La campagna vive negli equilibri delicati dell'autarchia (produce per sé e consuma ciò che produce, ma col polso vicino a ciò che succede sulla sua area). La città produce, ma è il prototipo di sistema non auto-sufficiente, che ha sempre bisogno di una campagna da cui trarre cibo e acqua. A Siena, città famosa per il Palio, vi è una famosa banca e ricca nota come “Monte dei Paschi”, a indicare come la ricchezza di un territorio, specie lontano dal mare, fosse legata alla sua ricchezza agro-pastorale.
Gli Autarcie scelgono questo nome per rappresentare la vita “in bilico” della campagna, dove si rimane vicino alle radici, per essere i primi a trarne beneficio e a vederne le malattie. La vita in prima linea si svolge nelle campagne (questo già i Sale Freux lo cantavano). La copertina dello split “Ultra-rural” (2014) con i Baise Ma Hache mostra una versione rurale della copertina di "Hvis Lyset Tar Oss"di Burzum. Un viandante-contadino disteso sulla terra, dormiente, in un paesaggio campestre (anziché boschivo come il vecchio viandante decomposto sul sentiero disegnato da Kittelsen per i Burzum). Ma il viandante in questione non credo sia lo stesso che intendeva Burzum...
Sonno ghiacciato, vecchio amico delle sventure,
compagno
silenzioso delle amare disgrazie,
è una delle tre dimore,
dove
dimorano i solitari.
Gli altri due sono l'onanismo e il
vagabondaggio del viandante.
Questi tre sono fratelli e
compagni.
Autosufficienti per essenza,
sono l'ultimo mondo
di coloro che non ne hanno altro.
La degenerazione
è l'unica
prospettiva in cui sguazzano.
L'onanista è solo ma re,
In
un universo indeterminato.
Intorno a lui le immagini
turbinano,
Come una corte impaziente.
Momenti di vita,
intrappolati tra la follia e il nulla,
Non ancora del tutto morti,
non per molto.
“Sembra, senza fretta né tregua,
inseguire
un sogno impossibile,
sempre, sempre, finché sta morendo.
(E
morì, infatti,
Un giorno spietato di neve e di gelo.)
Poi, sul
ciglio della strada,
Muore, senza che nessuno gli stringesse la
mano,
Questo affamato di domani..."
(Jean Richepin, La canzone dei Mendicanti).
Gli Autarcie ci presentano inizialmente la loro terra, con la denominazione antica ("Sequania", 2018), Francia orientale accanto alla Svizzera. Propongono la contrapposizione aspra con la città, e riconducono all'urbanizzazione, o comunque al trionfo della cultura cittadina (borghese) il marcire dell'identità nazionale. Ironicamente la ruralità è indicata come luogo di sporcizia e di fango, di letame e di decomposizione nell'indifferenza dei luoghi dove altri hanno deciso che la storia si debba svolgere. La musica accompagna queste visioni: sporca, fangosa, a tratti interrotta da pozzanghere e acquitrini. Talora più marziale e meditativa, altre volte più battente. Ronzante, poco incline all'eufonia, ruvida ma diretta in maniera chiara su un binario, come gli apparenti voli caotici delle api o delle zanzare.
Sì, è l'immersione forzata nelle masse
Non per piacere ma piuttosto per minaccia
Mi fa venire la
nausea trovare la popolazione
Tutto questo arredamento mi fa
venire la nausea
Ho lasciato la mia roccaforte
dell'Haut-Doubs
Per ritrovarmi nella merda fino alle
ginocchia
Addio verde pianure e campi
Addio pesca, bivacchi e
fuochi da bivacco
Ciao sudori freddi e ansia
È un fottuto
ritorno per me...
Ritorno alla sporcizia!
Mi sento come se
fossi arrivato in una discarica
In questo caos continuo a
trascinare le scarpe
Ho preso due o tre Grafenwalder nella
borsa
Per dimenticare che sono finito in un vicolo cieco
Di
nuovo nella sporcizia!
Ritorno in un mondo in cui non ho più il
mio posto
Non ricordo più quanto sia disgustoso
tutto
Intrappolato come un topo in fondo a un crepaccio
Non
potrò mai riacquistare la superficie
Ritorno alla sporcizia ("Retour to crasse", 2015)
I patrioti, i figli della terra preferiscono morire nella terra e nella sua imposta aridità e sterilità fangosa, piuttosto che accondiscendere alla rigogliosità surrettizia e amorfa della città. Se la campagna è condannata alla carestia, l'eroe fa ritorno alla campagna in carestia per essere divorato dalla fame e dagli insetti, nascosto in una tana umida. In “Millepiedi” egli si trasforma nella materia viscida del millepiedi soltanto per quell'intervallo di vita residua che sarà poi seguita dalla morte, in altri esseri faranno le uova nella materia in decomposizione.
A livello delle montagne, altipiani scoscesiNella cavità di pianure ventose e deserte
Si conduce una vita aspra e
isolata
Nelle mani dei nostri vecchi dal volto
irregolare
Rappresento a modo mio
La Francia dei fienili e
delle tane
Queste tane perdute la notte
In fondo ai pettini,
alle valli addormentate
La mia Francia d'aratura, di liquame e
di fango
Con climi incerti, con paesaggi offuscati
Queste linee
d'orizzonte che ti tengono sotto tiro
Offrono poca pace alla tua
curva ferita
Io rappresento sulla mia strada
La Francia di
paludi e torbiere
L'incarnazione della sordida campagna
In
fondo agli abissi e alle fetide paludi
Substrati dell'antica
Francia
Dimenticate nel silenzio
Resti di tempi antichi
Ultime
stigmate di un lontano passato
Nell'indifferenza generalizzata
dei popoli sottomessi
Distruggono la nostra terra, la nostra
cultura e la nostra patria
Schiavizzano ferocemente gli ultimi
nuclei di resistenza
Il mondo rurale scompare affinché la nostra
vecchia Francia muoia
Perché regni una gioventù senza
memoria né passato
Sradicata, globalizzata, dimentica dei valori
di un tempo
C' è l'anima di La Francia messa al rogo
L'incendio
avviene tra gioie e applausi
Noi siamo i farabutti, i
contadini
Peggio dei redneck texani
La nostra fede risiede nei
nostri campi
Duro lavoro e valori di una volta
Il fango
attaccato alle suole delle mie scarpe
È tanto più nobile del tuo
schifoso cemento
Non provare a rubare le patate dal mio
orto
Altrimenti ti faccio esplodere in faccia col sale grosso!
Da noi non c'è spazio per l'eccentrico
La nostra quotidianità
è guerra
Carica il fucile, mettiti l'elmetto
O finirai con la
faccia a terra...
Le nostre foreste profonde e selvagge
il
cui sole fatica a bucare il folto fogliame
Le nostre valli con
rupi austere, ai ripidi burroni
Dove la terra scompare alla curva
di un sentiero
I nostri boschi misteriosi e oscuri
Le nostre
colline silenziose erette dal tempo
Sulle rovine dimenticate di
antichi mondi cancellati
Le vette immutabili dei nostri
monti
Tanto maestose quanto ostili, qualunque sia la stagione
Le
nostre pianure e i nostri campi verdi
Dove la vita e la morte
perpetuano il loro ciclo, instancabilmente...
(Non gradito)
Sì, perché la ruralità non è – negli Autarcie – apologia della campagna. E' semplicemente una postazione autentica per avere della vita una visione credibile, da cui discende una consapevolezza e un'identità non ricattabile. Chi affonda i piedi nel liquame più sordido e nel secco più decrepito non ha bisogno di perversioni o di spiegazioni.
La carestia della nostra Borgogna in questo 1638:
Le strade
erano lastricate di gente affamata e debole,
stremata e
morente.
Le carogne degli animali morti erano una prelibatezza
ricercata.
Cani e gatti erano pezzi d'eccezione,
si tirava
avanti con i ratti.
Ma non è una tavola che può restare
apparecchiata a lungo...
Io stesso ho visto persone ben
coperte
portare per le strade topi morti,
gettarli attraverso
le finestre delle case
e nasconderli per mangiarseli.
Alla
fine siamo arrivati alla carne umana.
Prima nell'esercito,
dove
i soldati uccisi servivano
da pascolo ad altri che tagliavano
le
parti più carnose dei cadaveri,
da bollire o
arrostire.
Sciamavano affamati fuori dell'accampamento a
beccare
carne umana.
Nei villaggi, le madri scoprivano
sorprese di poter uccidere i loro bambini
per proteggersi dalla
morte.
E fratelli sui fratelli.
Il volto delle città era il
volto della morte,
i posteri non ci crederanno.
Secondo G. de Nozeroy (1843)
Peraltro, parte della produzione degli Autarcie tratta della loro
visione politica ed esistenziale, con conclusioni parallele a quelle
dei Sale Freux (finirà tutto in merda) ma già dall'inizio con una
visione più cruda e meno romantica. Non esiste un giusto da
recuperare, soltanto un “autentico” autoreferenziale, che per
ciascuno è il suo, in un mondo medievale, povero, dove se ci si
sposta è spesso per depredare. E va bene così. Dove si ama la
stessa terra che ti affama, e l'unica soddisfazione che la vita può
farti ottenere è essere mangiato dai vermi della tua terra, magari
per un colpo di spada del tuo nemico, o per l'infezione presa dai
tuoi acquitrini, o semplicemente perché è arrivato il tuo tempo.
La morale che unisce politica, storia e implica, senza nominarla, la ruralità, è questo inno all'opposizione totale, continua, anonima. Eppure solidale, non solitaria, riferita ad un fantomatico “gruppuscolo” di umani resistenti al resto del mondo, o forse all'umanità.
Come abbiamo già visto, il rurale non è la lotta contro il ricco proprietario o l'industriale in sé, perché spesso il mondo contadino si arrocca intorno ai suoi latifondi e ai suoi signorotti, ingranaggi di un unico organismo. Castello e contado non sono nemici, finché capiscono di avere l'uno bisogno dell'altro (vedi episodio precedente sulla Vandea). Anzi, in epoca moderna il piccolo proprietario contadino, il padrone del podere per intenderci, è diventato il nemico numero uno delle ideologie socialista, che si proponevano di difendere i proletari. Oggi mi vedevo un documentario sul “socialismo scientifico” della Romania di Ceausescu. Il dittatore, entusiasta del progresso industriale, fantasticò di una corsa all'industrializzazione e ingaggiò ditte estere per costruire stabilimenti in Romania. Per pagare i debiti e divenire indipendente, svalutò l'economia interna, ma a questo aggiunse un colpo di genio: cioè spinse alla migrazione nelle aree urbane per ottenere manodopera operaia. Per sfamare sfamare la popolazione così concentrata ricorse a importazione dall'estero, dato il crollo della produzione interna, in una spirale demenziale. In altre parole, egli tagliò le gambe all'unico settore che poteva essere autarchico, contando di produrre tanta e tale ricchezza con i camini delle industrie da potersi pagare tutto il cibo del mondo.
La campagna autarchica quindi non è difesa dai soprusi dei nobili, ma in primo luogo espressione di un'anarchia solidale, quando ogni forma di società (specialmente quelle che dicono di fare il bene dei contadini) sono i primi e più spietati nemici.
I nostri ostili bastioni di pietra resistono ancora
al subdolo
invasore,
che minaccia il nostro dominio e brama i nostri
tesori,
ma noi non ci arrenderemo.
Cittadella, nostro
ultimo bastione,
ultimo contrafforte,
nella morte, la nostra
vittoria,
sarà ancora più grande.
Ancora una volta, il
nostro dominio è in guerra,
diamo l'allarme!
I piedi sporchi
del nemico calpestano la nostra terra,
estraiamo le nostre
armi!
Fortificazione, simbolo di tempi di gloria,
Sentinella
rocciosa che veglia sul nostro territorio,
Cittadella
inespugnabile dagli austeri bastioni,
Sulle tue pietre sgorgherà
il sangue dei nostri nemici.
Respingiamo l'attaccante dal
deserto,
Questa battaglia sarà senza dubbio l'ultima,
Ma nella
nostra cittadella siamo invulnerabili,
Sulle nostre mura si
infrangono i loro miserabili assalti.
Per il nostro passato,
la nostra memoria,
Per la nostra cultura, la nostra storia,
Di
cui siamo i guardiani,
Morte a coloro che si frappongono sulla
nostra strada.
Elimineremo i vostri ghetti
con il gas
mostarda,
semineremo lì il caos
con pesanti colpi di
lanciagranate.
E anche se il nostro popolo è già perduto,
anche
nella morte, la lotta continua.
Per il nostro passato, la
nostra memoria,
Per la nostra cultura, la nostra storia,
Di cui
siamo i guardiani,
Morte a coloro che si frappongono sulla nostra
strada.
Le vostre verruche urbane, crogioli infami,
le
daremo fuoco.
Il tuo mondo scomparirà tra le fiamme
il cui
splendore brillerà nei nostri occhi.
Ti guarderemo morire
e
urleremo dalle risate!
Questa idea della campagna come cittadella di difesa, valida anche per la città, va però intesa in questo caso come rivendicazione dell'autarchia del primo settore, cioè quello agricolo. Un primo settore che è stato, nella storia, sacrificato sia per fare da bacino di nutrimento per l'industria (e poi il terziario), sia mortificato per favorire lo sviluppo di settori agricoli di altre aree (nel mondo globalizzato in cui ciascuna area ha una sua “quota”). Un mondo agricolo che però, quando si tratta di assorbire gli urti della Storia e della Natura, non può chiedere aiuto a nessuno, e deve funzionare appunto in maniera autarchica, non per scelta ma per obbligo. Nascendo proprio così, per autarchia, la rivendicazione della ruralità è anche rivendicazione di quest'autarchia innata.
sono sull'orlo della nevrosi...
Stufo della sporcizia, della plebe,
è un'overdose...
Sudore freddo, sono come un drogato,
io ho bisogno della mia dose di ampi spazi aperti.
Ritorna in patria,
lascia le città disgustose...
devo scappare!
Come un galeotto in fuga,
È la scappatella,
Ritorno alla roccaforte patriarcale...
Giunto al nostro dominio ancestrale,
Nel cuore dell'antico fienile di famiglia,
Finalmente, Mi sento di nuovo vivo,
E subito mi ubriaco,
Di questo fresco vento, di quest'aria pura,
esaltante come una droga pesante.
Finalmente la tanto sospirata tregua,
Pace e libertà,
Lontano dalla mia sporca quotidianità,
Con il peso sempre più pesante,
Del mio destino calamitoso,
Scandito dal day-hospital.
Finalmente nella foresta…
("Ultra-rural")
A cura del Dottore
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