I
MIGLIORI DIECI ALBUM DEL “NUOVO” METAL
8° CLASSIFICATO: “BLACK ONE”
Dalle
complesse e cervellotiche trame musicali allestite dai Meshuggah alle “assenze sonore”
dei Sunn O))), paladini della musica dronica
riletta in chiave metal: un’altra temibile tappa del cammino da noi
intrapreso per comprendere le sfaccettature del “Nuovo Metal”.
Fino
a pochi anni fa la creatura di Stephen O’ Malley e Greg Anderson
era trattata alla stregua di uno scherzo di cattivo gusto. I due musicisti
americani (già forti di esperienze interessanti quali Khanate, Burning
Witch e Goatsnake), sullo scadere degli anni novanta, s’imposero sul
mercato discografico con una proposta originale quanto sconcertante. I Sunn
O))) di “00Void” (debutto discografico targato 2000) erano fautori di
una sorta di oscura musica strumentale che si sviluppava in lunghissime
composizioni (spesso superiori ai dieci minuti) in cui chitarre e basso si
fondevano ossessivamente in dense pennellate doom e ronzanti feedback:
un funereo ed allucinogeno rituale ritratto in un ipnotico slow-motion che,
per via della totale assenza di elementi ritmici o di orpelli aggiuntivi,
finiva per avvicinarsi all’ambient.
In
verità i due volponi non inventarono niente di nuovo: i veri iniziatori di
quello che potremmo definire drone-doom metal (per inciso: drone sta
per “vibrazione”, droning sound per “suono ronzante”) sono stati gli
Earth di Dylan Carlson (per inciso: colui che prestò a Kurt Cobain
il fucile con cui si uccise). Andando ad ascoltare “Earth 2” (del 1993) troviamo già “compiuta”
la rivoluzione dei Sunn 0))). In cosa dunque i Nostri riuscirono a
distinguersi?
Già
l’esperienza musicale degli Earth portava con sé ambizioni meta-testuali,
in quanto lo stesso monicker della band era di per sé materiale di
scarto: esso, infatti, era il nome originario (poi scartato) che Ozzy e compagni
avevano individuato per la loro band, prima di optare per il più evocativo Black
Sabbath. Al di là della implicita dichiarazione di intenti (i Black Sabbath
rimangono l’influenza fondamentale per gli Earth), si introduce quello che è il
tema principale: l’idea di una musica fatta di “scarti”, ossia priva di
elementi distintivi (una struttura, un ritornello, un assolo), come se essa si
componesse di un’accozzaglia di riff esclusi (in quanto poco
significativi) dalle sessioni ufficiali e poi rabberciati insieme senza grandi
premure. La creazione di O’ Malley ed Anderson si spingerà ulteriormente oltre,
divenendo un’operazione di trasfigurazione volta a rileggere i più
disparati generi musicali attraverso un linguaggio che, paradossalmente, si
poneva come l’esatta antitesi dei canoni del metal estremo. Se la velocità
esecutiva era comunemente riconosciuta come indice di estremismo, ecco che i
due l’annullavano completamente: alle violente e brutali schegge grind, si
sostituivano una violenza ed una brutalità diverse, incarnate da estenuanti
viaggi sonori privi di schema e di voce. In altre parole, nell’estremismo della
proposta dei Sunn O))), la forma, comunque massimalista (incredibili i muri di
chitarre allestiti dai due), veniva letteralmente superata dall’oltranzismo
della portata concettuale. Di ritornelli, temi, anthem da cantare non se
ne parla. Da un punto di vista scenografico, i due si presentavano sul
palcoscenico in saio e mestamente incappucciati, avvolti da fumi e da una tetra
nebbia che li separava dal pubblico. E con alle spalle una parete di
amplificatori pronti a riversare sulla platea tonnellate di decibel, con gran
disprezzo per ogni norma sulla sicurezza acustica.
Ecco
perché inizialmente i Sunn O))) non venivano presi sul serio dal metallaro
medio, in preda a quella miopia che è inevitabile quando ci si trova innanzi a
mostruosità di tal fattispecie (del resto, gli stessi Napalm Death, che poi
verranno considerati seminali, all’inizio furono accolti con la medesima
diffidenza e con le stesse resistenze). Il Nuovo è spesso mostruoso (in
quanto scardinatore di certezze e consuetudini) e il nuovo che i
Sunn O))) misero sul piatto, se inizialmente fu oggetto della curiosità degli
ascoltatori più audaci, successivamente sarebbe divenuto un linguaggio adottato
come standard da altre band. La stessa figura di O’ Malley, impegnato
sui fronti più disparati, diverrà una figura di riferimento per il metal del
terzo millennio, non solo in quanto titolare (insieme ad Anderson) della
fortunata etichetta Southern Lord (promotrice di una schiera di band molto
valide legate in qualche modo all’universo drone/stoner/sludge/doom), ma anche
e soprattutto come l’alfiere primo di un metal sempre più portato alla
sperimentazione senza limiti. Come fu negli anni novanta per John Zorn
(teorico dell’incesto fra jazz e grind, fra musica d’avanguardia e profano
metal spaccaossa), anche l’attività di O’Malley si moltiplicherà in una miriade
di progetti, tutti decisamente interessanti: dall’irrazionalità sonora degli
sconcertanti Khanate (fra doom, grind ed avanguardia), al drone-ambient
dei KTL (progetto diviso con lo sperimentatore elettronico inglese Peter
Rehberg, in arte Pita), passando dal “jazz esoterico” degli Aethenor
(che hanno visto avvicendarsi dietro al microfono prima Kristoffer Rygg
degli Ulver e poi David Tibet dei Current 93), giusto per
citare i capitoli più significativi.
Tornando
ai Sunn 0))), dopo il paradigmatico debutto (che delineava in senso compiuto gli
assunti di base), i due si destreggeranno furbescamente in una sequela di
interessanti variazioni sul tema che vedranno il peculiare e collaudato drone-doom
metal di marca Sunn O))) flirtare di volta in volta con elementi sempre nuovi,
in nuove spiazzanti performance (una formula potenzialmente
riciclabile all’infinito). E così il capolavoro “The Flight of Behemoth”
(2002) annovererà la presenza delle disturbanti manipolazioni elettroniche del
terrorista sonoro Masami Akita, (in arte Merzbow), mentre i
successivi “White 1”
(2003) e “White 2”
(2004) contempleranno il contributo rispettivamente di Julian Cope (rispolverato
nella veste di apocalittico cantore in un contesto di oscura psichedelica) e di
Attila Csihar dei Mayhem (chiamato a decantare niente meno che dei
testi Veda, le più antiche testimonianze scritte della storia).
Giungiamo
dunque a “Black One”, che non è né il capolavoro dei Sunn O))), né il
loro album più rappresentativo. E’ tuttavia con questo lavoro che si compie
un’altra piccola rivoluzione (nella rivoluzione) che avrà significative ripercussioni
sul panorama musicale estremo degli ultimi dieci anni. Se si è detto che l’idea
originaria (e quindi l’impianto stilistico di base) era stata “rubata” agli
Earth”, e che semmai era la volontà trasfigurante del duo a porsi come il vero
tratto distintivo del progetto, in “Black One” si edifica un ponte che conduce
direttamente al black metal, riabilitato finalmente come genere.
“Black
One” si pone in effetti come la prima ed esplicita rivalutazione del black
metal norvegese, che al termine degli anni novanta pareva oramai aver
concluso il proprio corso, come spesso capita in ambito metal, dove le
rivoluzioni stilistiche hanno un’autonomia di qualche anno, per poi essere od accantonate
o superate in nuovi cicli. Paradossalmente, già da qualche anno, gli assolati
Stati Uniti erano divenuti un improbabile teatro per la rifondazione del black
metal così come si era costituito nelle fredde lande norvegesi. Primi fra tutti:
i Weakling del seminale “Dead As Dreams” (registrato nel 1998 e
rilasciato nel 2000), veri iniziatori di quel movimento che sarebbe stato poi
battezzato U.S. Black Metal. Fra gli esponenti più credibili di questa
nuova ondata di band, ritroviamo coloro che portarono avanti il verbo del depressive
black metal (scaturito dalle intuizioni di Burzum, poi sviluppate da
act quali Shining e Silencer): parlo di gente come Malefic
degli Xasthur e Wrest dei Leviathan, non a caso coinvolti
dai Sunn O))) nella gestazione dell’album in questione. L’operazione costituirà
un documento programmatico per tutte le deviazioni drone-ambient del post-black
metal, che diverrà uno dei filoni più vitali del nuovo millennio in fatto di
metal estremo.
Nonostante
queste premesse, “Black One” rappresentò, almeno fino al momento della sua
uscita, l’album più accessibile del duo, sia per la lunghezza delle
composizioni, che si riduceva drasticamente (sette pezzi per quasi settanta
minuti, contro i quattro, addirittura i tre pezzi che componevano le opere
precedenti), sia per la presenza di nuovi elementi chiamati a dare maggiore varietà
alla proposta. A partire dai riff in tremolo che tanto odorano di
cantina norvegese, fino ad arrivare allo screaming effettato dei già
citati Wrest e Malefic (il quale, per la conclusiva “Bathory Erzsebet”
si farà addirittura rinchiudere in una bara con l’intento – riuscito! – di
rendere la sua agoniosa interpretazione canora ancora più inquietante). Mai
la dimensione vocale era stata così massicciamente presente in un album dei
Sunn O))) (e l’ascoltatore ringrazia!).
Già
attenti osservatori, durante gli anni novanta, della scena norvegese (nonché redattori
di una fanzine di genere ed amici di personaggi illustri quali i già menzionati
Attila Csihar e Kristoffer Rygg), Anderson ed O’ Malley con
“Black One” intesero omaggiare esplicitamente quegli stilemi musicali, coverizzando
l’irriconoscibile “Cursed Realms (of the Winter Demons)” degli Immortal
(stravolta ed espansa in chiave noise) e citando l’indimenticato Dead
in “CandleGoat” (il cui testo non era altro che una strofa tratta dalla
celeberrima “Freezing Moon” dei Mayhem).
Quello
che infine ci insegnano i Sunn O))) è che per essere estremi non è necessario
correre alla velocità della luce, né cambiare tempo ad ogni piè sospinto o
imporre un campionario di riff tronca-ginocchia. Al tempo stesso essi
dimostrano che per fare musica colta non c’è bisogno di scavalcare il filo
spinato che circonda il metal, ma si può rimanere tranquillamente (e
fieramente) dentro! Il “Nuovo Metal” (che, nonostante la sua natura
concettuale, non ci rimette in fisicità) è anche questo: una forma d’arte adulta
che raggiunge la sua maturità senza passare da un ammorbidimento dei suoni. Anzi…