"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

15 ago 2016

FERRAGOSTO CON GLI IMMORTAL: "BATTLES IN THE NORTH"



Il debutto discografico degli Slash's Snakepit si intitolava "It's Five O' Clock Somewhere": un titolo che mi è sempre rimasto impresso per l'aneddoto che vi stava dietro, accaduto allo stesso Slash in aeroporto durante un tour dei Guns 'n Roses. Era ancora mattina e il Nostro ebbe la bella idea di recarsi al bar dell'aeroporto con l'intento di comprarsi una bottiglia di whisky. Quando il barista gli fece notare che non venivano serviti alcolici prima delle cinque del pomeriggio, il chitarrista replicò: ma da qualche altra parte saranno le cinque...

In modo analogo io rispondo a voi, o cari lettori che mi domanderete stupefatti il perché ci ritroviamo a parlare in pieno agosto di "Battles in the North" degli Immortal: da qualche parte del mondo sarà pur freddo, no?

In realtà, a scapito delle tematiche "invernali" trattate nei testi dell'album (titoli come "Throned by Blackstorm", "Cursed Realms of the Winterdemons", "At the Stormy Gates of Mist" parlano chiaro), secondo me "Battles in the North" è un album decisamente estivo: vuoi per la rinfrescante copertina con Abbath e Demonaz in canotta borchiata accucciati sulla neve (che fa molto "effetto granita" - avete mai provato, in spiaggia sotto l'ombrellone, a passarvi la confezione in digipack del cd sulla fronte per rinfrescarvi?); vuoi per un paio di motivi di ordine biografico che mi legano al suddetto album.

Esso, se non ricordo male, uscì a cavallo fra maggio e giugno, e fu da me acquistato a scuola oramai finita, proprio il giorno prima di partire per il campeggio estivo (non ebbi praticamente il tempo di ascoltare l’album e ricordo che ultimai l'ascolto proprio mentre finivo di preparare lo zaino). Il primo ascolto non mi fece una grande impressione; i seguenti, dopo le vacanze, non andarono meglio, tant'è che dopo un po' lo giudicai un acquisto inutile e lo detti via. Tornò in mio possesso qualche anno dopo, a seguito della rivalutazione che feci poi di quel lavoro. A quei tempi, per ammortizzare le spese e rifarsi di un acquisto sbagliato, si usava ancora scambiare i cd fra amici e, destino volle, il luogo pattuito per lo scambio della merce fu proprio in spiaggia ad agosto, al mare. Ancora ricordo il riquadro bianco del cd con i due temibili buffoni in copertina che passava da uno zaino all'altro fra creme solari ed infradito. Direi che a questo punto i crismi per parlarne ci sono tutti.

Partiamo proprio dal discorso della rivalutazione, perché a me, come a molti altri, "Battles in the North", oggi considerato indiscutibilmente uno degli album più importanti del black metal, non sembrò un granché al momento della sua uscita: ricordo bene la rivista Flash che all'epoca appioppò una insufficienza secca all'album. La recensione, più o meno, si chiudeva così: sarà quel che sarà, ma alla fine dell'ascolto si fa ricordare solamente la seconda metà di "Blashyrkh (Mighty Ravendark)". Chiosa che andava a ribadire un giudizio estremamente negativo, dato dall'eccessiva monotonia che accomunava le dieci tracce ed un songwriting in generale poco ispirato e per niente coraggioso. Ma come dare torto al recensore?

Correva l'anno 1995, il black metal norvegese viveva il suo periodo di massimo splendore e l'anno precedente erano uscite opere epocali quali "In the Nightside Eclipse" degli Emperor e "Frost" degli Enslaved: lavori che evidenziavano una straordinaria maturazione/evoluzione del genere, sia in termini di complessità di scrittura, sia sul piano dell'esecuzione. Dagli Immortal, che erano stati fra i primi mover del “movimento”, con all'attivo album seminali come "Diabolical Foolmoon Mysticism" e "Pure Holocaust", e per giunta in un contesto in cui il black metal si stava ampliando in direzione progressiva, ci si aspettava decisamente di più di un album striminzito di trentacinque minuti composto da brani spartissimi che era difficile distinguere l'uno dall'altro. Il tutto ammantato da una produzione sbilanciata che evidenziava ritmiche e voce a scapito di basso e chitarra: un insieme di suoni compatto ma indistinguibile.

Compatto, indistinguibile: lo stile di registrazione lo-fi (altresì detto "alla cazzo di cane) a cui il black metal ci aveva abituato era sostanzialmente diverso. L'anno prima era uscito "Transilvanian Hunger" e, superate le perplessità iniziali, le chitarre zanzarose e la batteria che frullava in lontananza c'iniziavano a stare pure simpatiche. "Battles in the North", invece, suonava in modo diverso: all'inizio (portentosa la title-track) ti ammaliava per via della potenza della batteria, ripresa nitidamente dal mixer e percossa da un Abbath in stato di grazia: micidiale alla doppia cassa, infaticabile dietro a tom e piatti, spregiudicato nel cambiare tempo al momento giusto senza mai perdere di vista la velocità (il più delle volte, supersonica).

Eppure proseguendo con i brani, prima il secondo, poi il terzo, e così via, ci si rendeva conto che tutto il meglio stava nella title-track, che non accadeva nulla di rilevante e che gli unici momenti degni di nota continuavano ad essere o un passaggio ritmico possente o un cambio di tempo riuscito. E le melodie? L'atmosfera? Il riffing ispirato e frastornante che aveva caratterizzato "Pure Holocaust"?

La chitarra di Demonaz esce dal mixer come un flusso piatto e costante, un vorticare indistinto che funge più da riempitivo che altro. Che l'effetto "tormenta di neve" sia stato voluto? Probabile, considerato il titolo dell'album, ma resta il fatto che dieci pezzi più o meno uguali (a parte la bathoriana "Blashyrkh”, che chiude magistralmente il platter a suon di epici tempi medi e fregiandosi persino di un intermezzo atmosferico con arpeggi e tastiere) è un bottino troppo magro, quando nel frattempo gli Emperor edificavano sinfonie e gli Enslaved si addentravano sapientemente nel folclore nordico (tanto per rimanere agli esempi fatti prima). Dulcis in fundo: la voce da “Paolino Paperino” di Abbath appariva meno credibile che in passato, emergendo dal marasma nitida ed acuta (all'epoca fu definito, sempre da Flash, come un Steve Sylvester posseduto", a dimostrazione di come il suo screaming fosse divenuto qualcosa di grottesco).

Solo molti anni dopo "Battles in the North" sarebbe stato rivalutato: un "ricorso in appello" che si sarebbe compiuto ad "acque ferme" dopo l'ubriacatura black degli anni novanta. Di lì a poco, infatti, il "movimento" avrebbe esaurito gran parte delle sue energie, e le più importanti band di quel glorioso periodo si sarebbero presto o arenate, o dissolte, o avrebbero imboccato vie al di fuori del black metal. Gli Immortal non costituirono certo un'eccezione in questo scenario di decadenza: due anni dopo, nel 1997, avrebbero rilasciato uno scialbo "Blizzard Beasts" (ad ogni modo valutato all'epoca come un segnale di ripresa rispetto a "Battles in the North") e si sarebbero sciolti per poi rinascere a nuova vita con il solo Abbath, (visto che Demonaz dovette fermarsi per una tendinite, rimanendo comunque vicino alla band in qualità di autore dei testi).

I processi di rivalutazione di opere snobbate al momento della loro uscita sono spesso un atto di giustizia postuma che porta a riconoscere il valore di prodotti che non erano stati capiti, o perché troppo avanti, o per semplice sfortuna. Ma queste rivalutazioni possono essere anche dovute ad elementi di falsità, magari dettate da esigenze psicologiche dell'ascoltatore: l'irresistibile fascino dell'artista di culto che piace a pochi e che, ascoltandolo, ci fa sentire dei veri intenditori. Oppure ad agenti estranei e fortuiti, come per esempio quando una band diviene attuale anni dopo il periodo in cui operava grazie a dei trend che si vengono ad avviare successivamente. Basti pensare a come la gente ha iniziato a rispolverare i vecchi poliziotteschi nostrani o il cinema di Hong Kong dopo che Tarantino ha fatto loro una pubblicità gratuita citandoli nei suoi film.

E poi c'è un fatto da evidenziare: un'opera privata del suo contesto originario può avere vita più facile se non deve fare i conti con scomodi confronti. Ripeto: quando "Battles in the North" uscì non poteva oggettivamente rivaleggiare con le pubblicazioni del periodo. Ed oggi non è che in esso troviamo semi che abbiamo poi visto germogliare in nuovi filoni. Ed allora perché "Battles in the North" è oggi considerato un caposaldo del black metal? Provo a dare una risposta.

Sebbene gli anni novanta fossero già anagraficamente sconvolti dal ciclone grunge (dopo il quale niente sarebbe stato più come prima), in essi sopravvissero delle dinamiche che avevano caratterizzato i gloriosi ottanta. I generi classici erano in crisi, ma nuovi generi stavano nascendo, fra cui il black metal. E questo faceva credere che tutto sarebbe andato avanti come sempre, in una sempiterna evoluzione del metallo, come se non fosse successo nulla. Invece le cose andarono diversamente. Il metal si impantanò per davvero e le dinamiche classiche furono scardinate: contaminazione, generi e sotto generi in continua gestazione, un metal che cercava di superarsi tramite una complessità isterica. Ma alla fine, quella stessa complessità che era stata inizialmente salutata come un momento di salutare evoluzione, iniziò a stuccare, e tanti, fra cui molti giovani, iniziarono a guardare a formule più semplici ed intellegibili, come se in quella semplicità vi fosse celato l'antico segreto del metal: quella ricetta che sembrava essere smarrita dalle nuove leve che si scapicollavano con sforzi sovrumani senza lasciare il segno.

Gli Immortal, con il loro black diretto venato di baldanzosa epicità, furono dunque riconsiderati in questa ricerca di messaggi chiari ed incisivi. Oltre al fatto incontestabile che avevano dalla loro parte la storicità (ossia il fatto di essere stati fra quelli che contavano quando si faceva la Storia), la fortuna giocò a loro favore: le atmosfere epiche e calate in scenari fantasy della loro musica sarebbero state molto gradite dai giovani metallari del nuovo millennio. Il rifarsi alle lezioni del grande Bathory e quel mondo immaginario ricreato nei testi furono sicuramente le ragioni principali del successo postumo degli Immortal.

Ad alimentare la leggenda, inoltre, intervennero quelle pose a teste di cazzo che nella copertina di "Battles in the North" trovano l'apoteosi. Vi è persino un video amatoriale di "Blashyrkh" che cattura i due in canotta borchiata a suonare sui picchi innevati: immagini che hanno scalato gli indici di gradimento nella classifica dei videoclip black metal più ridicoli. Questo ultimo aspetto va ad evidenziare proprio come la rivalutazione degli Immortal sia stata alimentata dai più giovani, poiché se c'è una cosa che i giovanissimi, quelli della “internet generation”, amano più di ogni altra, è proprio sbellicarsi dalle risate davanti a gente e situazioni trash, spesso però non sapendo distinguere fra quello volontario e quello involontario. Gli Immortal ricadono ovviamente nella seconda categoria, perché per noi che nel 1995 c'eravamo, il trucco, il parrucco, le lingue di fuori e le pose degli Immortal non erano roba ridicola da sbeffeggiare. Certo, un po' caricaturali, ma alla fine gente seria che credeva in quello che faceva. E noi li ascoltavamo ancora più seriamente, badando più che altro alla musica.

Per quanto mi riguarda, "Battles in the North", sotto l'influenza di questa rivalutazione collettiva, iniziò a chiamarmi, come i corvacci del Reame di Blashyrkh. Lo imparai ad apprezzare, passo dopo passo, prima ricercando i dettagli che mi avrebbero permesso di distinguere un brano dall'altro, poi accontentandomi di subire l’album nella sua interezza: di subirlo come flusso, annichilito dalla sua violenza furibonda. Consapevole ormai che il black metal era oramai finito e che il meglio doveva essere ricercato nel patrimonio di perle discografiche uscite in quel quinquennio prodigioso che andava dal 92 al 96. Ed oggi il ritornello della title-track è la cosa che più di ogni altra amo cantare sotto alla doccia…

Bedoooools....bbbedooools in de noooo!!!!!