Le
"streghe" sono atterrate in città: Esben and the Witch, sabato
18 Febbraio, Electrowerkz, Londra.
Dietro
il nome Esben and the Witch si nasconde una interessante realtà capace di
mettere d'accordo amanti del post-rock, del gothic e persino del metal.
E non è un caso che di essi, ultimamente, se ne parli anche dalle nostre parti.
Amanti di Anathema, The Gathering e The 3rd and the Mortal
fatevi avanti!
Modestamente
parlando mi posso ritenere un fan di "vecchia" data del
terzetto di Brighton, in quanto seguo le mosse della band praticamente dagli
inizi, più precisamente da "Wash the Sins not only the Face",
ottima seconda prova discografica che nel 2013 diede ai tre una bella
visibilità.
Ad
oggi, a mio parere, esso rimane il loro prodotto di miglior fattura,
delicatamente sospeso fra rock atmosferico, ambient rarefatto e
sottocutanee suggestioni esoteriche. Un mix di influenze che
vedeva, e vede tutt'ora, la sua forza in una squadra compatta e dai solidi
intenti. La voce lamentevole di Rachel Davies (mai sopra le righe e dal
grande impatto emotivo), gli ammalianti sviluppi chitarristici di Thomas
Fisher (elegante arpeggiatore, amante dei suoni soffusi e ricercati), i
carezzevoli soundscape di Daniel Copeman (pure alle percussioni)
divengono un tutt'uno in cui la personalità della giovane band emerge
prepotentemente, sebbene nel 2013 una proposta del genere non sia certamente
rivoluzionaria.
Con
il successivo "A New Nature", del 2014, i tre tireranno fuori
per davvero una "nuova natura" fatta di suoni ruvidi e chitarre
distorte. Una svolta inaspettata, che tuttavia ci mostra artisti coraggiosi che sanno amplificare certi loro
aspetti (la verve sperimentale, le pulsioni esoteriche) e abbandonarne
altri (l'eleganza, la sonorità raffinate degli esordi). Fra kraut, noise-rock,
post-punk e metal, nella nuova incarnazione degli Esben and the
Witch serpeggia un'irrequietudine, esplode un disagio che sono l'evoluzione
inaspettata della malinconia e dell'introspezione degli esordi.
Nell'ultimo
"Older Terrors", uscito nello scorcio finale dello scorso
anno, questa "nuova natura" trova conferma in una forma più complessa
e dilatata. In essa la band decide di abbandonare definitivamente il formato
canzone (già nel precedente album, in verità, vi erano stati due brani che si
spingevano oltre i dieci minuti) per addentrarsi nell'Arcano, attraversi
jam dell'Oltretomba, fra intima quiete, sognanti ed ipnotici arpeggi, e
momenti tumultuosi di derivazione (finalmente!) post metal. Un imponente
rituale scandito in quattro sezioni e condotto dall'ugola
"stregata" della Davies, non una cantante dotatissima ma sicuramente
dal forte potere immaginifico. Forse è proprio la monotonia di quella voce a rendere
un po' prolisse queste lunghe composizioni, tutte e quattro protratte oltre i
dieci minuti di durata; ma è indubbio che i Nostri puntino più che mai
sull'atmosfera e che questa non sia musica da ascoltare con la mente, bensì con
il cuore.
Apice
assoluto di questo nuovo corso è l'opener "Sylvan",
aperta dal mesto battito di un tamburo rituale e chiusa, dopo indicibili
emozioni, con quelle chitarre zanzarose che solo lo shoegaze sa
ammaestrare, a dimostrazione di come il black metal sia divenuto oggi
patrimonio universale nella musica rock a tutto tondo. "Marking the
Heart of a Serpent" sarà invece animata, nella sua seconda parte,
dall'incalzare della batteria che trascinerà i Nostri in un baccanale esoterico
vergato ancora una volta dai gemiti da strega della Davies: il tutto ricorda
non poco certe ambientazioni care ai Comus, il cui dark/folk/prog ha più
di un punto di contatto con la musica dei trio. Stesso schema per "The
Wolf's Sun" che, sempre nella sua seconda metà, si tramuta in una
coinvolgente cavalcata kraut che richiama alla mente il trottare travolgente
dei Neu!. Umori black metal tornano nella traccia conclusiva, "The
Reverist", dove l'approccio ambientale delle chitarre richiama
soluzioni adottate dagli Wolves in the Throne Room.
Quello
che infatti gli Esben and the Witch condividono con il metal, ed in particolare
con certo black metal, è quell'attrazione verso la Natura quale luogo
misterioso e stupefacente, nido di segreti e presenze, specchio
dell'interiorità e dell'inconscio umano. Cosa che si traduce in atmosfere
gelide e tendenti al soprannaturale, sebbene, è importante ricordalo, gli
Esben and the Witch non scadano mai nelle baracconate.
Riusciranno
dunque i Nostri eroi a riportare tutto questo sulle assi di un palcoscenico?
La risposta è sì, anzi, sì e meglio! Tutti gli inciampi o le sbavature
che possiamo ancora incontrare in un loro album registrato in studio, dal vivo
scompaiono per lasciare spazio al libero dispiego di un suono potente,
avvolgente, carismatico e dalla forte caratura emotiva. In altre parole: lacrime
ad ogni pie' sospinto.
La
Davies si presenta con fare dimesso sul palco, indossando una semplice felpa,
senza trucco (forse un filo di matita) e con i capelli, oserei dire, quasi unti.
Fisher sfoggia invece un buon abbinamento di calvizie, occhialetti da medico
ottocentesco e barba voluminosa che lo avvicina, assieme alla natura posata dei
suoi gesti, ad uno di quei monaci eremiti che vivono in completo isolamento
sulle montagne. Copeman, che si alternerà fra batteria ed effetti elettronici
(prediligendo oramai la prima) ha il phisique du role di uno che avrebbe
potuto suonare con i Pink Floyd a Pompei. Nel complesso fanno un bel
quadretto, e la semi oscurità dell'Electrowerksz, mischiata ai fendenti di luce
rossa sparati sul palco, giova decisamente all'atmosfera generale.
Parte
"Sylvan" ed è impossibile non piangere per tutto il suo svolgersi. A
parte la stecca iniziale, dovuta forse ad insicurezza, la minuta Davies è
sublime, e nonostante le varie imperfezioni, il suo lamento arriva al cuore
come un pugno nel costato. E' goffa, si sforza per governare le note ed ha una
mimica facciale che mi ricorda Eddie Vedder quando alza la voce; impugna
il basso in modo buffo, ma è dannatamente efficace anche con quello: finalmente
una cantante che non tiene il basso in mano solo per motivi scenografici! Il
lavoro alla chitarra di Fisher è egregio e nei momenti esplosivi il Nostro sa
far male, pur non perdendo un briciolo del suo aplomb.
Dal
vivo, come si diceva, la musica degli Esben and the Witch decolla e non sarebbe
un reato definirla post-metal, data la violenza sfoggiata in certi frangenti.
Il nuovo album occupa con le sue lunghe tracce, ulteriormente espanse, gran
parte del set, che si completa con tre estratti da "A New
Nature", che giustamente rivendica il proprio spazio in quanto iniziatore
di questa nuova fase artistica. Al resto della produzione discografica dei
Nostri vengono lasciate le briciole: il tipico approccio di chi non vive
ancorato al passato e crede nel percorso intrapreso.
Non
si potrà infatti dire che i Nostri difettino in sincerità, spontaneità ed
integrità: un approccio, il loro, che li ricongiunge a quel filone di artisti a
cui si perdonano bonariamente certi limiti (e concettuali ed esecutivi) a
fronte del fatto che la loro missione pare essere esclusivamente quella di
veicolare e trasmettere, con forza, efficacia ed in modalità "straight to
the point" (come si direbbe qui a Londra!) emozioni.
Amanti di Anathema, The Gathering e The 3rd and the Mortal fatevi dunque sotto!