Potrebbero sembrare domande provocatorie, ma si tratta di una riflessione sulla qualità del nostro ascolto estremo nel tempo contemporaneo.
Una volta c’era il Sacro Rito dell’Ascolto di un nuovo album: attendevo il momento idoneo per calarmi nella nuova avventura e ricordo ancora di aver procrastinato per mesi il rito del debutto uditivo in attesa delle condizioni adeguate. Era più un modus pensandi che una pratica concreta, ma cercavo di rispettare anche così le 28.000 lire spese per quel cd.
Questo coincideva solitamente con le coperte, perché a letto avevo le cuffie e la serenità sufficiente per leggere i testi e calarmi nelle canzoni per me inedite fino a quel momento. Ricordo che durante “Imaginations from The Other Side” dei Blind Guardian mi alzai in piedi sul letto dall’emozione; altre volte sono stati membri della redazione a spuntare a casa mia nella notte per farmi condividere la grandezza di “The Angel and The Dark River” dei My Dying Bride.
Ma quanto ci hanno reso migliori questi album?
In fondo penso che non è l’oggetto dell’ascolto che ha migliorato la sensibilità del mio animo, quanto trovarmi solo con il booklet del cd a sviscerare la musica ma soprattutto me stesso.
In questo sono stati fondamentali i dischi che mi hanno aiutato a trovare una via che mi trasmettesse la capacità introspettiva di stare solo, emozionarmi e dedicarmi ad una passione.
Accanto a questo ovviamente l’arricchimento specifico dato dalla musica ascoltata, la voglia di ribellione, l’analisi dei temi o di un personaggio, le fragilità o le emozioni di una canzone. Per dirla con le parole dello scrittore gesuita Baltasar Gracian: “Le passioni sono come buchi attraverso i quali chiunque può vedere e conoscere l’animo di un uomo”. Tra i suoi libri spicca “El Criticón”, titolo fantastico per indicare una delle opere letterarie più importanti e imponenti della letteratura spagnola (pubblicata in tre parti tra il 1651 e il 1657), comparabile per qualità solo con "Don Chisciotte". In questo testo la trama è il pretesto per un approccio pessimistico al mondo, ma dove la passione ne esce come salvifica.
Oggi vedo intorno a me pochi appassionati, perché prolifera una certa apatia che ingrigisce l’animo.
Per questo stasera ho deciso di prendere dalla pila polverosa dei miei album “Epica” dei Kamelot che conosco a memoria, ma non ricordo di averlo mai ascoltato sotto le coperte.
Fuori fa ancora freddo, chissà dove sarà finito Khan, e mentre i miei piedi si accarezzano sotto le lenzuola, tante altre domande affollano la mente, ma ecco il ritornello di “Center of The Universe” e mi compiaccio di sapermi ancora vivo perché senza la passione non c’è vita.