L'aspettavamo,
è arrivata, non ci ha deluso: Anna Von Hausswolff ha fatto il salto di qualità che speravamo. Ma attenzione! Questo salto non è
avvenuto in direzione del metal,
come certi segnali ci avevano suggerito…
…eppure, o cultori del metallo, siamo convinti che "Dead Magic", ultimo lavoro
rilasciato dalla giovine svedese, non vi dispiacerà affatto...
La Von Hausswolff, in verità,
è sempre stata un fenomeno più che altro tangenziale rispetto al metal: aveva
destato la nostra attenzione indossando una maglietta di Burzum e dichiarandosi sua ammiratrice; con l'album "The Miraculous" aveva sporcato di
drone e di oscuri rituali doomici la
sua musica, già di per sé pregna di afflati mistici e tentazioni esoteriche;
aveva inoltre prestato la sua ugola fatata ai Wolves in the Throne Room in un paio di brani di "Thrice Woven". La notizia, infine,
che la produzione del nuovo lavoro fosse stata affidata a Rundall Dunn, già dietro il mixer
per Sunn O))) e gli stessi Wolves in
the Throne Room nel loro esperimento elettronico "Celestite", sembrava dunque una chiara indicazione dei lidi
verso i quali la Nostra intendesse dirigersi. Ma, una volta giunta al momento
della verità, con la consapevolezza di essere in una fase decisiva della
propria carriera, la Nostra, pur perseguendo la via dell'oscurità, ha
deciso di non proseguire sulla strada del "vil" metallo, per lo meno
da un punto di vista formale.
L'essenza "metal" di
questa artista, che possiamo oramai eleggere fra le più promettenti di questi
tempi, è semmai presente ad un livello più profondo: di scrittura e di visione
del medium della musica. E' qui che rispunta fuori il nome di Varg Vikernes, alfiere di una
concezione contemplativa della musica vista come strumento di Trascendenza.
La musica di Vikernes è sì espressione di interiorità, ma è anche un viaggio
con destinazione metafisica; per certi aspetti ha intenti costruttivi nel
cercare con caparbia convinzione, in un "Altrove", qualcosa che è
andato irrimediabilmente perduto. Una discesa negli abissi del proprio Io volta a recuperare uno spirito
ancestrale nel quale ritrovare saperi dimenticati.
Burzum
rendeva tutto questo con un black metal ossessivo e dilatato che amava
sconfinare nell'ambient, finendo per farsi quasi rito misterico. La Hausswolff
fa la stessa identica cosa attraverso il suo organo a canne (che suona in modo superbo) ed una voce che, con il
passare del tempo, si è rivelata capace di raggiungere vette inaudite (non a
caso è stata spesso accostata ai virtuosismi di Kate Bush, ma oggi il suo estro si è spinto decisamente oltre).
L'elettricità, in questo suo
ultimo lavoro, si dirada. Nel precedente "The Miraculous", per esempio, la chitarra era maggiormente
presente, ma anche in quel caso essa non era una mera scorza esteriore utile ad
attirare nuove frange di ammiratori provenienti dall'area del "rock
pesante": per la Hausswolff, anzitutto, il metal, come ogni altra
influenza, è funzionale ad una più perfetta espressione di un percorso che
riflette una colta ricerca volta ad indagare il lato oscuro delle cose.
Di morte e resurrezione, in
termini più che altro alchemici (ma anche simbolici e con forti significanze esistenziali),
si parla in "Dead Magic",
inquietante fin dalla copertina. Il sound
viene ulteriormente modellato e la capacità dell'artista di saper alternare
pieni (ad alta tensione drammatica) e vuoti (ai limiti della liturgia
chiesastica) si sposta su un livello ulteriore di perfezione. I passaggi da una
ambientazione all'altra, sebbene il range
di sonorità si ampli, si fanno ancora più fluidi e densi di sfumature.
Da apprezzare le divagazioni
psichedeliche derivate dalla tradizione kraut-rock
(che chiaramente elevano il discorso ad un livello che piace molto ai salotti della musica bene) e i
graditi sconfinamenti verso certo prog
oscuro degli anni settanta (Van Der
Graaf Generator, Keith Emerson,
ma io ci butterei dentro, a torto o a ragione, anche i nostrani Goblin): esemplificative di quanto
appena affermato sono la seconda parte di "Ugly and Vengeful" (sedici mirabolanti minuti che a mio parere
rimangono il momento più entusiasmante di una intera carriera) e la strumentale
“The Marble Eye”.
Ma la vera sorpresa, a
smarcarsi nettamente da un immaginario non molto dissimile da quello narratoci dai
seminali Dead Can Dance, sono le sonorità/ossessioni swansiane adottate per la ballata "The Mysterious Vanishing of Electra", non a caso scelta come
singolo: altra calata negli abissi, ma questa volta attraverso uno stile che
sembra voler rimarcare le orme della Diamanda
Galas più bluesy e crepuscolare.
Fra queste ficcanti visioni e
costruzioni (ricordiamo che la Nostra rimane principalmente una musicista) ecco
che, sottocutaneo, torna a serpeggiare lo spirito
burzumiano, cosa che si capisce ancora meglio in sede live. Già, perché
abbiamo anche avuto la fortuna di veder dal vivo l'ottima Anna (era la sera di
lunedì 12/03/2018 ed eravamo al Dome di Londra, dove peraltro avevamo visto
i Ruins of Beverast e la divina Anneke). E la sensazione di essersi ritrovati
innanzi ad una artista eccezionale al top
della sua forma è stata forte e chiara.
La Nostra, accompagnata da una
band vera e propria, ha saputo allestire uno show dal forte potere evocativo,
alternandosi fra ardite prove vocali (uno scricciolo
di un metro e cinquanta che tira giù il soffitto a botte di acuti, potremmo
definirla) e virtuosissimi assorti con il suo strumento. La scaletta, assai
poco polposa, ha contemplato l'esecuzione di tutti brani dell'ultimo platter, fra cui ha brillato l'istant classic "The Mysterious Vanishing of Electra", dove la Nostra ha
persino imbracciato la chitarra. Non poteva comunque mancare, unica perla dal
passato, "Pomperipossa", breve
quanto intensa. Ma mai così intensa quanto accaduto durante i bis: una “Gosta” per sola voce (a dire il vero inedita
ai miei orecchi) cantata fra il pubblico.
A noi di Metal Mirror, tuttavia, queste smancerie ci interessano fino ad un
certo punto: il nostro orecchio è stato tutto il tempo settato per carpire ciò
che gli altri (per lo più artistoidi, freakettoni,
personaggi delle foreste, vecchi progster
e giovani senza arte né parte) non potevano capire: ossia lo spirito metal
che sopravvive nell'arte di questa nuova
musa dell'oscurità. E questo spirito, per chi ha buone orecchie, è
fortemente presente: le lezioni di Vikernes e Sunn O))) (complice ovviamente anche
la mano del produttore Rundall Dunn) emergono soprattutto fra un brano e
l'altro, nei lunghi incipit e negli altrettanto estesi interludi a base di
fruscii di chitarra, droni e raggelanti tastiere: fasi in cui non succede nulla,
in cui l'artista sembra assumere un atteggiamento di glaciale contemplazione, in
cui il tempo pare fermarsi, sospendersi, come se si aprisse un varco ad
un'altra dimensione.
E' bello pensare che il metal
grazie a poeti dell'abisso come
Vikernes o audaci sperimentatori come Sunn O))) non sia più una mera questione
di riff o velocità. Anna Von
Hausswolff, più delle colleghe ChelseaWolfe ed Amalie Bruun, in arte Myrkur, sembra incarnare questo nuovo
spirito del metal, più profondo, più
dentro alle cose, più oltre le cose…
Che
siano donzelle di tal fattispecie, dopo decenni di stra-dominio maschile, ad
incarnare il nuovo spirito del metal?