Dopo i primi due/tre ascolti, credo
che una stilettata nel fianco mi avrebbe fatto meno male. Mi son detto Ok,
abbiamo perso anche loro…un altro amore di gioventù che mi abbandona. Si,
l’ultima fatica dei miei adorati Orphaned Land, splendido titolo a parte, mi
pareva una mezza delusione. A bruciapelo, ritenevo che, su 63’
di durata del platter, fossero di “livello orphaned-landiano” meno della metà,
circa 25’.
Il perché era presto spiegato: se
la sublime musica degli israeliani si era caratterizzata da sempre per essere
massimalista sì, ma non barocca; epica ma mai pomposa; orchestrale senza
dover ricorrere ad un’orchestra vera; colta ma non snob; ricercata ma mai fine
a se stessa; profonda nei contenuti senza essere stucchevole…ebbene, le
caratteristiche di questo “Unsung Propehts & Dead Messiahs” mi sono apparse
in larga parte esattamente quelle su descritte (ma dal “lato negativo”).
Inutile far tanti giri di parole:
il disco si basa su due perni, due fulcri principali, l’opener “The cave” e la mediana “Chains fall to gravity”. Sono gli unici
due brani lunghi del lotto (assieme parliamo di quasi 18’ di musica) ma
soprattutto sono le uniche canzoni in cui la scrittura scorre elegante,
incisiva e al contempo fluida, nelle
quali l’amalgama di tutte le diverse influenze che hanno da sempre
caratterizzato la band (death/doom/heavy classico/folk/prog) si riconosce in
modo credibile e ispirato.
In mezzo a queste due gemme (cui
va aggiunta il toccante, opethiano outro “The manifest – Epilogue”,
davvero valido) troviamo tutte songs medio-corte (da 3/4/5 minuti), in cui i
Nostri sembrano preoccuparsi più della forma che della sostanza. Esecuzione, produzione
e missaggio inappuntabili, quindi; ma che fanno da cornice ad un metal che troppe volte ci lascia la sensazione di essere alquanto
patinato, fortemente, troppo
marcatamente sinfonico; e in cui da un lato i primigeni elementi death-doom sono
sommersi dagli arrangiamenti pomposi, e dall’altro quelli oriental-folk sono
tristemente canonici e messi quasi ad onor di firma (come a dire: siamo gli OL
e quindi dobbiamo inserirli obbligatoriamente; vedasi la carina “Yedidi”,
cantata in lingua madre ma lontana dalle “Sappari” del passato).
Ma la sensazione peggiore che
avevo avuto in quella prima manciata di ascolti era quella di una band che non capivo
dove volesse andare a parare, in cui il "mestiere" prendeva troppe volte il sopravvento sull'ispirazione e che,
anche laddove riusciva a creare premesse interessanti, poi le lasciava là, abbozzate,
non sviluppate a dovere (idealtipica di quanto detto è la suggestiva “All knowing eye”, brano che si distacca dal resto comunque per bellezza ed emozionalità).
Non so se per la dipartita dello
storico lead guitarist Yossi Sassi o qualsivoglia altra ragione, gli Orphaned Land paiono aver perso l’orientamento, pigiando il pedale sui suddetti sinfonismi orchestrali (a tratti davvero troppo Therion-oriented
come in “Poets of prophetic messianism”) e inutili
contributi tanto di guest singer (come i cavoli a merenda "Tompa" Lindberg in
“Only the dead have seen the end of war”) quanto di un numero spropositato di
soprani, tenori e narratori.
Le cose vanno persino peggio quando gli OL (per
dare un contentino ai fan della vecchia guardia?) fanno i duri: sotto
costruzioni simil death dalle ritmiche rutilanti, e il congiunto utilizzo delle
growl vocals (“We do not resist”, “My brother’s keeper”, “Take my hand”, la già
citata “Only the dead…”) l’impianto musicale rimane un mix symphonic/nu-metal mischiato
a sonorità orientali buttate lì, come detto, quasi a forza.
Ma poi…poi che succede?
Poi succede che, per un patito
della band come me, l’ascolto vale ed è
piacevole comunque. Il dischetto è li che mi tenta, mi chiama in
continuazione, e io cedo; ad ogni passaggio nel lettore cresce (sarà che posso godere della
limited edition che presenta anche un secondo cd, il bellissimo “Orphaned Land & Friends”, uscito nel 2017 in cui troviamo
vecchi brani live, remake di brani israeliani nonché una cover di “Jeremy” dei
Pearl Jam) e capisco come la qualità del prodotto non solo sia sopra la
media anche al di là della mia “puzza sotto il naso” e il mio “essere abituato
troppo bene”, ma di come sia sempre
magico ritrovarsi nel mondo, unico e inimitabile, della Terra Orfana.
Almeno fino ad oggi, una terra in cui, al di là di ogni legittima critica, è sempre
emozionante vivere…
Voto: 6/7
Canzone top: “The cave”
Momento top: l’interpretazione
vocale di Farhi in “All knowing eye”
Canzone flop: “Left behind”
Etichetta: Century Media
Dati: 13 canzoni, 63’
A cura di Morningrise