Oggi
percepite qualcosa di strano nell'aria? Gli uccellini cinguettano e volteggiano
nel cielo terso in modo oltraggioso? La gente vi sorride e tutto vi sembra
contagiato da un'incontenibile quanto stucchevole voglia di vivere? Bene,
allora chiudete gli occhi, lasciate la luce fuori ed immergetevi nel vostro
mondo di oscurità interiore.
Afsky, tanto
per essere chiari, è l’ennesimo progetto depressive
black metal proveniente dal Nord Europa, Danimarca per la precisione. E "Sorg" è il debutto in formato full-lenght del sig. Ole Pedersen Luk, che con il suddetto monicker aveva rilasciato un EP omonimo
nel 2015 e il singolo "Vinteren
Baeren Ind" del 2016.
Ma
perché in piena primavera intristirsi ulteriormente con un album che si intitola
"Dolore" rilasciato da una
band che si chiama "Ripugnanza"?
Mi ricordo di una volta che,
ad una fiera di prodotti vintage
(nemmeno del disco), mi imbattei in un banchetto di CD assai generico. Ad un
certo punto mi ritrovai fra le mani un CD con una copertina inequivocabilmente
black metal di un gruppo sconosciuto (o, in ogni caso, dal logo indecifrabile).
Poiché non ero nel mood, proseguii
avanti e con quale sorpresa mi resi presto conto che vi erano decine e decine
di CD dello stesso tipo: loghi illeggibili, copertine in bianco e nero,
montagne, foreste, alberi, cespugli, chiesette, ruderi, croci, ogni tanto
qualche losco figuro incappucciato o con la ghigna pitturata. Tutti gruppi a me
ignoti, tanto che mi venne il sospetto che si trattasse del fondo di magazzino
di qualche casa discografica fallita dell'est Europa. Con il senno di poi, sono
convinto che oggi sarebbe bellissimo possedere in blocco tutti quei CD:
singolarmente non avrebbero avuto senso, ma tutti insieme avrebbero costituito
un bellissimo caleidoscopio in bianco e
nero di piccole intuizioni di cialtroni che nel complesso avrebbero potuto
dare gioie ad un patito di metallo nero
quale sono.
Forse questo mio desiderio
latente è tornato ad esprimersi in questa vacua epoca di internet nel momento
in cui sono capitato, per motivi fortuiti, sul canale della Black Metal Production su YouTube, che
presenta una sequela infinita di documenti audio di interi album di black metal band minori, tutti
contraddistinti da bellissime copertine, tutte rigorosamente in bianco e nero,
tutte ritraenti soggetti comunque interessanti.
Una copertina che mi ha
particolarmente colpito è stata proprio quella di "Sorg" degli Afsky. Tale
copertina in verità si discosta dai canoni minimalisti del genere, poiché l'illustrazione
è molto bella di per sé e curata, evocante fra l’altro scenari
romantico-decadentisti in stile “I
dolori del giovane Werther”. Essa tuttavia, nonostante l’accuratezza, mantiene
un che di estremo e, soprattutto, ha un fascino magnetico che spinge
irrevocabilmente all'ascolto.
Sorge però anche il sospetto
che una così bella copertina, rapportata a del rancido black metal, possa
essere la scelta maldestra di un artista minore che, al suo esordio, non abbia
innanzi a sé una chiara visione artistica (come, per esempio, succede con certi
dilettanti allo sbaraglio che mettono in copertina un quadro di Bosch o di Caravaggio, e poi, musicalmente parlando, si rivelano merda fumante…).
L'ascolto sarà comunque confortante:
sonorità spudoratamente deprimenti fortemente ispirate dalla sponda americana
del rinascente black metal, con i soliti Wolvesin the Throne Room a fare da riferimento primo (in un paio di passaggi
potremmo persino parlare di plagio). Il tutto supportato da una produzione più
che dignitosa che potremmo definire superlativa per un prodotto underground. Insomma, gli Afsky ci
piacciono. Per essere una one-man band il sound è solido e sufficientemente dinamico: pochi cambi di tempo ma
azzeccati, riffing in prevalenza
ispirato, una voce lacerante che è il vero fattore depressive, laddove la musica non si addentra mai in territori
davvero ostici. Si ha la velocità, l'epicità, la melodia, i tempi cadenzati del
black metal classico, si ha una discreta ricerca melodica tendente alla
malinconia e persino qualche sprazzo di folk, ma soprattutto non si toccano mai
livelli di eccessivo degrado psichico, e direi che questo non è un male in sé.
L'unico limite che si percepisce è che, trattandosi di one-man band, manca appunto il valore aggiunto di una band vera e
propria: per quanto il buon Ole Pedersen
Luk se la cavi con tutti gli strumenti (batteria compresa), si capisce che
questa musica è concepita da una mente solitaria.
Al primo ascolto dici: ok, però
che palle ‘sto depressive, sinceramente sono oramai tanti anni, troppi, che
sentiamo queste cose. In più, se non sei nel mood giusto, a tratti tutta questa elettricità ti fa girare i
coglioni, e quasi apprezzi che nella seconda metà dell'album si viri verso
incipit acustici e momenti folk con archi (fra l'altro quelli che ad un certo
punto sembrano essere inequivocabilmente dei gorgheggi femminili, farebbero sospettare
il fatto che il Nostro non sia proprio così “one-man band”).
Al secondo ascolto apprezzi già di più la proposta, ma sale una
sensazione amara che ti porta a pensare: ok,
tutto molto bello, però oramai ci tocca ammettere che anche il black metal,
come il rock'n'roll, l'heavy metal classico, il thrash, il death, sia divenuto
un genere tristemente replicabile.
Attenzione perché una
affermazione del genere è più devastante di quanto si possa pensare: noi che
pensavamo che il black metal fosse un genere sorretto esclusivamente dall'ispirazione,
dal talento melodico, dall'urgenza comunicativa di artisti fuori dal comune
come Darkthrone, Burzum, Ulver (giusto per fare i soliti nomi), adesso dobbiamo ammettere
che l'ultimo misantropello della
Danimarca, venti anni dopo, riesce a comunicare le medesime sensazioni.
C'è qualcosa che non va: vuol
dire che quelle splendide e gelide melodie che pensavano frutto di un
potenziale artistico proprio di persone eccezionali, a cui avevamo persino
perdonato omicidi, in realtà non è altro che un insieme di stilemi che può
riprodurre chiunque con una chitarra ed un bagaglio tecnico medio. È dunque così facile fare black metal?
Questa è una grande delusione per noialtri che pensavamo più facile da eseguire
del pomposo ed arzigogolato prog-metal
o del symphonic power metal, che tirare
fuori due riff ispirati di black
metal.
Terzo
ascolto: in effetti inizi ad emozionarti seriamente. Capisci che i
brani hanno un potenziale che avevi sottovalutato, buone strutture che sanno
valorizzare i temi melodici in modo efficace, magari proponendo un certo tema
all’inizio e poi riprendendolo alla fine in forma velocizzata o rallentata. In
particolare gli spunti folk (di una bellezza cristallina) risultano evocativi
quanto lo sanno essere i momenti più riusciti di dischi interamente acustici
(tanto che ci verrebbe da pensare che il Nostro si trovi più a suo agio con la
chitarra classica che con quella elettrica): anche in questi casi si ha un
occhio per la struttura, in quanto le melodie vengono sistematicamente riprese
nel corso del brano più volte, in forma ferocemente black-metal, con riff al tremolo e magari con il blast-beat a spianare la strada.
Perlamordiddio, escamotage, questi, che son vecchi di
cent’anni, ma nel black metal è tutto grasso che cola, soprattutto nel
depressive, dove va di moda l’idea che gli album debbano essere un’accozzaglia
di frattaglie soniche, riff, idee
buttate alla cazzo una dopo l’altra, perché sarebbe da persone troppo sane
seguire un criterio. Il danese questo criterio ce l’ha, e se anche questa
razionalità ed attenzione alle strutture dei brani, agli incastri melodici, al
valorizzare certi passaggi, addolcisca la proposta dell’Afsky, noi, ad un certo di punto della nostra vita, queste cose le
apprezziamo. E quasi temiamo che un quarto ascolto possa convincerci che "Sorg" sia il disco dell'anno.
Quarto
ascolto: non c'è quarto ascolto, o perché non hai tempo, o perché
sotto sotto temi che "Sorg" divenga il disco dell'anno per davvero. E
sarebbe abbastanza duro da ammettere...