Come facciamo a dirglielo? Facciamo fatica anche a dirlo a noi stessi,
però forse questo sarebbe il momento giusto. Parlo dei Venom, su cui ci sono da
dire due post-verità. Si intende, per post-verità sui Venom, ciò che
doverosamente va ammesso sul bilancio complessivo della loro storia, senza nulla togliere il fatto, incontrovertibile,
che hanno fatto la storia del metal e che "Black Metal" è una pietra
miliare.
Si tratta di due macigni, che insieme non si potrebbero sopportare. Ora
però, approfittando dell'assenza di Cronos, possiamo buttar lì il primo macigno
senza colpo ferire: di Cronos non si sente la mancanza. Ebbene sì, la prova del
nove ci ha dimostrato ormai che, al netto di Cronos, i Venom possono rilasciare
dischi decenti. E in presenza di Cronos possono invece produrre roba penosa. Prova
del nove con esito positivo.
Passiamo quindi direttamente al secondo sassolino gigante da togliersi
dagli anfibi: i Venom di satanismo hanno sempre capito poco. Tra i sedicenti
satanisti più scarsi e inconsistenti che il metal abbia mai avuto. E' pacifico
che lo facessero più per scena che per altro, ma appunto puntare su un titolo
come "Avè Satanas" (opener di "Avè") nel 2018 mette la tristezza di un temporale estivo.
Il corollario di questa critica è uno solo: allora i Venom hanno senso
anche e soprattutto senza satanismo, e senza Cronos. Già ai tempi di "Prime Evil" (1988) si era infatti tentata questa soluzione: niente satanismo becero e Tony Dolan
al microfono. Uno tosto, uno tracotante al punto giusto, che solo per aver
suonato con tali Atomkfraft si permetteva di presentarsi al pubblico come The
demolition man. Ebbene…risultato discreto. I Venom di satanismo non
dovrebbero proprio più cianciare, dovrebbe esser loro proibito da una legge
interna del metal.
Dopo il mancato rilancio negli anni 2000, tocca di nuovo a Mantas e
Abaddon con Dolan. Non so se per una naturale somiglianza, o per un artefatto
voluto, la timbrica e la pronuncia di Dolan somigliano a quelle del Cronos dei
tempi d'oro (cioè i pochi giorni in cui fu registrato "Black metal", secondo la
leggenda). Non mancano le autocitazioni, tipo un riffetto di "Heavens on fire" riciclato in un passaggio di "Metal we bleed", ma sono venialità. La sorpresa è
che i Venom sono di nuovo un gruppo interessante, dopo esserlo stato in maniera
fugace con "Prime Evil". Perché allora tutti apprezzarono lo sforzo, ma rimasero
comunque legati allo stereotipo fallace dei Venom come ultrà del metal
satanico e Cronos capo-ultrà. Va bene, il nome d’arte Cronos è certamente più
figo di Mantas e Abaddon (goffissimi), ma non basta.
Il vero concetto di Inferno e di Satana che i Venom portavano avanti era
quello della possenza e della tracotanza con cui ri-calcolavano la matrice del
rock and roll, cercando qualcosa che fondesse l'impatto roccioso del primo
heavy metal britannico con la mancanza di misura e di rispetto che allora erano
prerogativa del punk, e che poi lo furono del thrash primordiale, poi del
grind, del black. Facevano musica d'avanguardia, regressiva. Era una sorta di
exploitation del metal stesso, che ne spremeva le componenti più d'impatto, per
darne una versione parossistica e pretestuosa. Nella New Wave Of British Heavy Metal si suonava per far vedere i muscoli del rock, qui si usavano i
muscoli come scusa per spaccare qualcosa a casaccio, facendo precipitare ancora
di più la funzione del rock come veicolo espressivo di una realtà sociale. Per
questo rock regressivo. L’inferno non era, per i Venom, l’argomento dei testi
(trattato sempre in maniera banale), né una rappresentazione del male del
mondo, semmai una generica suggestione di malignità, di malizia, di mistero
sulfureo. Su questo piano, che si parlasse di uno che si faceva la sua
insegnante del liceo, di polvere d’angelo, di streghe al rogo o di Satana, era
uguale.
Da questo concetto di suggestione infernale ripartono i Venom dell'era
Tony Dolan, il cui marchio a questo punto è chiaro: sono gli unici Venom che
hanno funzionato dopo l'ebbrezza del periodo storico. E sono un egregio esempio
di recupero musicale riuscito, basato su un compromesso tra auto-imitazione e
distillazione. Chiaramente un distillato dei Venom senza Cronos e senza
satanismo sarebbe apparso fondamentalmente sbagliato, eppure è sperimentalmente
e musicologicamente vero.
L'ambizione di un metal più complesso e teatrale, di cui "Seven Gates of Hell" fu l'unico parto vero, si scontrò in tempo reale con una fuga in avanti verso il minimalismo punk. Si rovinarono da soli, ma ad un certo punto il bandolo della matassa apparve, con la mossa geniale di togliere il numero 10, il giocatore invendibile, l'icona. Colui che, lasciato da solo, partorì l’inspiegabile “Calm before the storm” (1987). La squadra funzionò di nuovo in "Prime Evil" sulle coordinate del Venom-sound, aggiornate per l'occasione. Con qualche amenità e incertezza, i nuovi Venom durarono il tempo di uno album, perché poi cercarono di fare del thrash canonico, come se dovessero divenire più complessi e sfaccettati. Ottima idea, ma il loro bello è che hanno il minimalismo nel sangue, ed è questo che funziona nei pochi tentativi di esprimersi su strutture più complesse, questa indomabile rozzezza di fondo ("Blackened are the priests", "Skeletal Dance"). Lasciamo perdere quindi sia perdenti “ritorni ai fasti del passato” ("Metal Black" - 2006), sia ambizioni magniloquenti (come nella involontariamente comica L’ottava porta dell’Inferno degli M-pire of Evil). Bisogna focalizzare su quel metal muscoloso e povero da dopolavoro siderurgico, un “inferno” proletario, minimale, da vicolo.
Dall'opera di recupero musicale dei Venom, che ad ogni metallaro
dovrebbe stare a cuore, mancano a questo punto due elementi: il Daspo per
Cronos, che tutto si è giocato con la carta "Metal Black", e il
divieto di cagarsi sotto con il satanismo da fiera che mescola (secondo una
formula ormai consacrata dai Morbid Angel più sfiatati) esoterismo, Grandi Antichi
sorteggiati a caso, e parole latine dalla declinazione rigorosamente sbagliata
(tocca in questo caso al genitivo Luciferi Excelsi).
A cura del Dottore
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