Il 30 giugno 2015, esattamente tre anni fa, moriva Ian Johnstone. E sono certo che già vi
starete chiedendo: ma chi cazzo era Ian
Johnstone?
In realtà vi sono due ottime
ragioni per conoscere questo bizzarro static dancer: una è che il Nostro ha collaborato con i
grandissimi Coil (è stato peraltro
l’ultimo partner di John Balance, prima che anch’egli
venisse strappato via dalla vita nel 2004); l’altra è che ha
collaborato con gli Ulver.
Johnstone è stato un artista a tutto tondo, tutto e niente, oserei
dire: ballerino, performer, illustratore,
stilista, e, nell’ultima fase della sua vita, apicoltore. Da anni, infatti, si
era ritirato nelle montagne delle Asturie, dove avrebbe trovato la morte per
una infezione ai bronchi. Ma prima di dedicarsi a questo suo progetto nella
fattoria Cantu Fermusu, egli aveva
dato forma a Mr Todd, “personaggio performativo” concepito
durante gli studi di fine arts alla
Middlesex University e sviluppato nel corso della sua carriera.
Suddetto personaggio (ed è qui
che ho conosciuto Johnstone) è anche comparso nello show che gli Ulver hanno tenuto
presso la Norwegian National Opera
(documentato con il DVD edito il 28 novembre 2011 tramite Jester Records e
Ksope).
I norvegesi non si sono mai
distinti per essere degli animali da palcoscenico: del resto decisero di intraprendere la
via concertistica solo nel 2009, quasi quindici anni dopo il loro debutto
discografico. Eppure, con alle spalle meno di due anni di gavetta, il 31 luglio
2010 per l’esattezza, registravano quello che poi sarebbe divenuto “The Norwegian National Opera”: uno dei
documenti live più interessanti in
cui mi sia capitato di imbattermi. I Lupi
avrebbero fatto l’ennesimo centro della loro carriera, e per giunta calcando un territorio storicamente a loro ostico, data la scarsa esperienza
maturata sul palcoscenico: questo perché con la consueta scaltrezza hanno
saputo trovare le modalità giuste al fine di valorizzare i loro pregi ed al
contempo nascondere i loro difetti.
Il
repertorio degli Ulver è variegato, discontinuo, richiede diversi approcci e
dal vivo avrebbe potuto peccare di eterogeneità? Ecco
che il sound si omogeneizza e si
consolida grazie a nuovi arrangiamenti, all’uso intelligente di basi campionate
e all’impiego di musicisti aggiuntivi. Senza poi contare il contributo illustre
del noto sound-designer Christian Fennesz (guest di lusso e prova definitiva dello status raggiunto dai
norvegesi negli ambienti della musica
colta) e il soccorso, su tutti i reparti, del polistrumentista Daniel O’Sullivan (all’epoca in
organico).
Kristoffer Rygg è il frontman più timido e dimesso che ci
possa essere? Ed allora lo circondiamo di oscurità, luci,
installazioni e video-proiezioni (a cura del regista Erlend Gjertsen). Per aggiungere gloria alla gloria, reclutiamo un
artista non convenzionale come Ian Johnstone
ad aprire e chiudere il concerto.
Eccoci
dunque al nostro uomo.
Oscurità in sala, il suono
cristallino del pianoforte: fanno il loro ingresso, timidamente, le note della
introduttiva “The Moon Piece”. Il
disco bianco di una luna piena (nemmeno troppo celato richiamo al passato “licantropico” dei norvegesi) si accende
sullo sfondo. Il suo chiarore è funzionale a far emergere progressivamente dalle
tenebre un altro soggetto: un uomo immobile, appeso ad un filo, sospeso ad
altezze vertiginose. Egli veste una sorta di abito nobiliare in tweed che parrebbe sullo stile della caccia
alla volpe (look che peraltro si
ricollega al concept dell’allora
ultimo parto discografico “The War of the Roses”). Quell’uomo è calvo, ha gli occhi vuoti e sbarrati, il naso
allungato con protesi, la bocca spalancata con un denso rigurgito di sangue che
gli cola sulla barba crespa. E’ Mr Todd:
un’immagine indubbiamente inquietante, e vi assicuro che, con quella musica, in
quella cornice, l’effetto è decisamente suggestivo.
Con le note di “Eos”, accompagnate dalle impressionanti
immagini di un fungo atomico (una sorta di “alba nucleare”), entrano in gioco
gli Ulver, che, per la cronaca, si renderanno responsabili di una prova
convincente su tutti i fronti, a partire dalla scaletta, praticamente perfetta.
Essa toccherà più di dieci anni del nuovo corso della carriera della band, da “Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven and Hell” fino al già citato “Wars of the
Roses”, passando dal capolavoro “Perdition City” e dagli album degli anni zero “Blood Inside” e “Shadows of the Sun” (ampiamente
rappresentati), senza disdegnare la brillante stagione degli EP.
I brani vivono di vita nuova e
gli arrangiamenti funzionano, con il batterista Tomas Pettersen, impeccabile motore ritmico, e i soundscape di Fennesz, vera ciliegina
sulla torta, a fare da contorno. L’unica pecca, a mio avviso, è il ricorso agli
scioccanti documenti visivi legati al periodo del Terzo Reich e ai fatti
dell’olocausto: tutto sommato una provocazione evitabile, nonché una scelta non
proprio in linea con l’immaginario tipico della band.
Ma eccoci al finale: le
rarefazioni sonore di piano e chitarra confluiscono in “The Leg Cutting Piece”, dove, in tutti i sensi, riemerge Johnstone.
Se nella sua prima apparizione sostava immobile in alto nella scenografia,
adesso, dal basso, viene lentamente issato su una bizzarra e precaria struttura
ad altezze comunque considerevoli: questa volta completamente nudo, con il
corpo ricoperto da tintura bianca, le natiche verso il pubblico. E’ piegato su
se stesso, aggrappato ad una piccola maniglia posta ai suoi piedi. In
questa sorta di drammatica levitazione, i polpacci sono in tensione, le gambe
tremano nello sforzo di mantenersi in equilibrio: una scena pietosa, nel senso
che suscita pietà, che è commovente, che esprime una sensazione di grade fragilità, con il
pianoforte e la chitarra a fare da struggente didascalia.
In questi gesti
impercettibili, tanto studiati quanto naturali, vi è il recupero di una umanità
che era assente, forse smarrita, all’inizio del viaggio, quando Mr Todd pendeva
ad un filo, vestito in modo elegante, ma irrimediabilmente morto.
Nella sua nudità, libero dalle
convenzioni, delle sovrastrutture della vita comunitaria, forse dal pensiero
razionale, l’uomo rinasce: un percorso ostico, faticoso, irto di difficoltà, ma
possibile.
In memory of Ian Johnstone (1967 -
2015)