Che senso ha parlare nel 2018 dei
Primal Fear? E soprattutto: che
senso ha parlare nel 2018 di un album
del 2005, "Seven Seals", dei Primal Fear?
Presto detto: per un motivo di
condivisione. Per condividere con voi una piacevole sensazione.
Provo a spiegarmi.
La recente uscita di “Firepower” dei Judas Priest,
e la profonda e acuta riflessione del nostro Dottore sul ruolo delle band di heavy classico, mi ha portato
a riscoprire questo album e questa band, da tempo superata nei miei ascolti metallici da
centinaia di altri dischi e di altre band che hanno catalizzato la mia
attenzione. Insomma, un gruppo per me sepolto. O almeno così credevo...
Sepolto soprattutto perché,
diciamocelo, ascoltare heavy metal per una vita ti porta poi a cercare qualcosa
di nuovo. Nuove sonorità, nuove soluzioni stilistiche. Anche mantenendosi
nell’ampio alveo del metallo, fisiologicamente il nostro animo musicale tende a
rigettare sonorità che conosciamo a menadito, con le quali abbiamo convissuto
per così tanto tempo. Non le rinneghiamo, non le dimentichiamo. Ma è sempre più
raro tornarci sopra, riascoltarle con il gusto che ci hanno regalato in passato.
A tal proposito, il nostro Blog
si è spesso interrogato sul futuro del Metal e su quale strada potesse essere
quella più idonea per sopravvivere a 50 anni circa dalla sua nascita. E in
queste riflessioni, in queste ricerche, una band come i Primal Fear non potevano
avere cittadinanza. E infatti non ne hanno avuta.
Ma come quel viaggiatore
instancabile che, dopo aver girovagato per molto tempo senza una dimora e un lavoro
fissi, nomade solo per il gusto e l’ebbrezza di conoscere nuove realtà, decide di tornare a
passare le feste di Natale a casa, con i genitori e gli altri parenti, e dormire
per qualche giorno, prima di ripartire, nel vecchio letto della sua cameretta
in cui ha passato l’infanzia e l’adolescenza, sapendo che sarà per pochi giorni
soltanto, e che, ristoratosi nei suoi ambienti caldi e famigliari, dovrà ripartire
alla scoperta di nuovi luoghi e nuove esperienze...ecco, come il ritorno a casa
per quel viaggiatore così i Primal Fear sono stati per me una sorta di "ritorno a casa" in
questa primavera 2018. Dopo anni di ascolti contaminati, di post metal di ogni
tipo, ho avuto la necessità di
reimmergermi in quel metallo fatto di strutture semplici
(strofa-bridge-chorus-assolo-chorus) che i Judas di “Firepower” hanno
risvegliato in me.
Andando a scartabellare quindi
nella mia discografia, ho rispolverato questo “Seven seals”, per chi scrive il miglior album dell’intera carriera
di Sinner&co. Un album fiero, compatto, ispirato. Difender ma non di retroguardia. E soprattutto
personale. I Primal Fear tentano infatti in questo settimo disco di innovar(si)e con un uso
sapiente e discreto delle tastiere, dando al sound un’aura sinfonica, mai
ruffiana o pacchiana. Ed è soprattutto un disco in cui i Nostri si tolgono
definitivamente l’etichetta di band clone dei Judas Priest e Scheepers quella di clone di
Halford.
Già, qui siamo di fronte ad una
band di gran caratura, padrona dei propri mezzi e con una visione chiara di
quale metal vogliano comporre. E che ha dimostrato, dopo dischi un po’ piatti (i
primissimi) e non totalmente a fuoco (“Devil’s ground”), di saper proporre una propria via al metal
classico.
Ok, ok, è sempre power/speed
metal quello di cui parliamo. E se è vero che in certe soluzioni il rimando a
certi Mostri Sacri dell’H.M. è evidente (ad esempio il maideniano-fino-all'osso incipit di “Evil Spell”; o certi ritornelli in Avantasia style, oltre a certe soluzioni tipicamente priestiane), è anche vero che questa sensazione
non è mai fastidiosa, perchè il tutto è, come detto, rivisitato attraverso un
proprio approccio. Il disco quindi fila via liscio liscio, seppur di spessore;
facile nell’ascolto ma apprezzabile anche dopo diversi passaggi, capace di durare nel tempo.
E alla fine, ci sentiamo come
quel viaggiatore: rinfrancati da questa visita alla nostra vecchia casa,
gioiosi nel vedere che i nostri famigliari stanno bene. Rassicurati dal fatto
che su di essi possiamo sempre contare.
Ora che abbiamo ricaricato le
pile, possiamo tornare ai nostri viaggi, al nostro vagabondare alla ricerca di
nuove esperienze.
Con un retropensiero di
ringraziamento e stima verso band come i Primal Fear…
Voto: 7,5
Canzone top: “Diabolus”
Momento top: l’interpretazione di Scheepers nel chorus della
title track
Canzone
flop: “The immortal ones”
Etichetta: Nuclear Blast
Dati: 10 canzoni, 54’
A cura di Morningrise