"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

27 giu 2018

VINNIE PAUL: THE COWBOY CAME BACK TO HELL...



Sarà la maledizione dei Pantera o la maledizione della sola famiglia Abbott?? Forse è proprio quello che si sta chiedendo con una certa preoccupazione Phil Anselmo, toccandosi i coglioni e ripensando a quando se la vide davvero brutta per quell’overdose di diversi anni fa. Sarà invece tutta colpa del colesterolo, delle troppe bistecche date alle fiamme ed annaffiate con fiumi di birra nel ranch di famiglia? Probabilmente è quello che a questo punto spera Anselmo, che se non è una buona forchetta come lo era probabilmente il pingue Vincent Paul Abbott, certo non è uno che brilla per una vita salutare...

Gente, a parte gli scherzi, è morto il glorioso batterista dei Pantera: un altro eroe del metal se n’è andato... 

Nessuno come i quattro cowboy infernali ha saputo influenzare il percorso evolutivo del metal nel corso degli anni novanta. Prima dei Pantera c’era il vecchio mondo, quello mitico delle grandi band, dei grandi classici da cantare in coro, delle lunghe chiome e dei giacchetti jeans tempestati di toppe e spille. Dopo i Pantera, dopo album come “Cowboys from Hell” e “Vulgar Display of Power” nulla sarebbe stato più come prima: il metal avrebbe cambiato veste, tingendosi di groove, distribuendo fendenti a suon di riff grassi e reiterati, di ritmi adrenalinici, mettendo da parte i fronzoli e sdoganando produzioni sempre più potenti e moderne. Il tutto condito con un front-man rasato a zero che si presentava sul palco semplicemente a petto nudo, sputando ad ogni piè sospinto e con l’aria di uno che si è alzato dal letto con il piede sbagliato. 

In molti avranno nostalgia di quello che c’era stato prima, ma nessuno può mettere in dubbio il valore artistico dell'operato dei Pantera, che, innovatori, si portavano dietro un background da vecchia scuola con influenze come Black Sabbath, Metallica e Slayer, tanto amore per l'hard-rock degli anni settanta e devozione vera e propria per il country-folk del sud degli Stati Uniti. Non sarà una loro colpa se di lì a poco avrebbe dilagato il nu-metal. Tutto loro è invece il merito di aver portato una ventata di freschezza nel metal in anni in cui, complice l’avvento del grunge, le certezze vacillavano e tutto poteva finire a ramengo. 

Per i Pantera si trattò veramente di un gioco di squadra: tolto il pur onesto Rex al basso, i tre altri membri della band, ciascuno a modo suo, seppero introdurre rilevanti novità nel mondo musicale dell’epoca, tanto che un vero e proprio nuovo linguaggio venne coniato (lo chiameranno groove metal, ma il fenomeno è stato ben più ampio e le implicazioni più profonde e trasversali per essere ricondotto entro i confini di un solo sotto-genere). C’era il modo di cantare di Phil Anselmo con il suo ruggito secco e duro che a tratti si faceva quasi growl, ma che il Nostro sapeva tramutare all’occorrenza in un incredibile pulito. C’era il riffing geniale di Dimebag Darrell, destinato a fare scuola e a divenire uno standard poi replicato da una miriade di chitarristi militanti nei generi più disparati, persino nel prog (si pensi ad un brano come "The Mirror" dei Dream Theater). 

E vi fu ovviamente il contributo dell’oggi compianto Vinnie Paul, capace di creare con il proprio strumento virtuose sinergie con la chitarra del fratello: tocco preciso e potente, approccio vario e dinamico, cambi di tempo a non finire ed una prodigiosa integrazione fra cassa, tom e piatti volta a valorizzare ogni singolo riff macinato dalla chitarra. Nel suo drumming c’era un po’ di Lombardo e un po’ di Ulrich, ma l’approccio originale ed innovativo, soprattutto per la fantasia nell’utilizzo della doppia-cassa (di cui non ha mai abusato), sarebbe stato di insegnamento fondamentale per chiunque avesse desiderato cimentarsi in partiture ricche di groove e dalle grande forza d’urto. 

Oggi tuttavia non siamo a piangere il Vinnie Paul musicista, dato che i Pantera avevano cessato di esistere già nel 2003 e che la vita artistica del Nostro, dopo la tragica morte del fratello, avrebbe proceduto in sordina, fra le attività di produttore per la sua etichetta Big Vin Records e progetti non certo indispensabili come quello degli Hellyeah.

Siamo piuttosto a piangere l’uomo, il personaggio-icona che ha saputo tracciare un solco indelebile nella vita di molti di noi, che proprio all’inizio degli anni novanta si formavano come appassionati di musica, nonché come esseri umani. 

Personaggio rozzo, ma sincero (in tipico stile texano), il Nostro era enormemente apprezzato nell’ambiente (basta scorrere la lunga lista di attestazioni di stima giunte in questi giorni di cordoglio) e probabilmente era piacevole trascorrere il tempo con lui (per lo meno questa è l’impressione che si ha osservando certi scatti fotografici a lui indirizzati). Vi era calore, umanità, cuore nell’operato dei fratelli Abbott ed è un vero peccato che quei due cuori abbiano cessato di battere in modo prematuro e a distanza di così pochi anni: uno nel 2004, stroncato dalle pallottole di un fan squilibrato; l’altro il 22 giugno scorso per un arresto cardiaco. 

Non crediamo ovviamente ad un paradiso fatto di nuvole ed angioletti svolazzanti, né tanto meno ad un inferno fatto di rock band indiavolate che suonano fra le fiamme. Ma come nella più retorica delle immagini, amiamo pensare che adesso, da qualche parte, i due fratelli si siano congiunti nuovamente e che abbiano ripreso a suonare buona musica insieme. Sperando, per loro e per noi, che non giunga da un momento all’altro Phil Anselmo a turbare il quieto vivere…