Gli Helloween sono uno dei primi gruppi tedeschi, forse il primo, che irrompe nel panorama metal allora di matrice angloamericana. Le due anime che li compongono, e che caratterizzeranno poi a seguire la loro produzione, sono quella epica e quella goliardica. Nell’EP di esordio la musica era impostata ad un power-speed grezzo, i cui spunti lirici spaziavano dalla fantasia ai problemi di attualità (la guerra, la dittatura etc), mentre la copertina raffigurava un’autoironica zucca animata che esplodeva...
Ricordiamo la sintesi icastica della figura del metallaro dell’epoca, e della sua poetica, contenuta in "Heavy Metal is the Law": siamo maghi che combattono con i loro incantesimi. E’ in questa frase che vedo una chiara continuità dell’autismo metal, dall’epoca dei giochi di ruolo e dei film fantastici, poi alle saghe tolkieniane, per poi approdare nello shoegaze. Come è commovente il verso “united metallians ready to strike”, che dipinge un immaginario esercito di metallari (cantanto in maniera sistematica poi dai Manowar, con la loro "Army of Immortals") impegnato in una guerra mentale contro il mondo.
La fusione della componente epica e di quella goliardica ha più volte funzionato, ma in verità si sono sempre tollerate, e niente più. Da una parte Kai Hansen, voce imperfetta e non educata, ma interamente dedita alla causa. Dall’altra Weikath, che spinge nella direzione del metal goliardico, altrimenti detto happy metal.
Questo meccanismo non si fermerà con l’avvento di Kiske, che sarà interprete ma non cambierà gli equilibri interni alla band. Il cambiamento vero arriverà con la dipartita di Hansen, e gli Helloween sbilanciati su Weikath evolveranno in un hard rock melodico con "Pink Bubbles Go Ape": lì si strizza l’occhio al metal, come per congedarlo con simpatia, con il leggerissimo “Heavy metal hamsters”, che già nel titolo smitizza le fantasie bellicose dei Metal Invaders di anni prima.
Da fuori, non resta che immaginare che questa scissione interna degli Helloween a volte producesse degli aborti, tra cui un Rettilone che non fa paura né ridere. Sta lì, a girare goffo e senza scopo, grugnisce. Intorno, un magma di epicità e solennità ("How many tears", "Ride the sky", etc). La creatura doveva essere, nell’idea di Weikath, metafora del mondo che sguazza nei suoi mali per poi esserne travolto, la mostruosità che prospera e si nutre di vizio, corruzione, ipocrisia. Così lo descrive Weikath: “viene dalle fogne attraverso le tubature, prodotto della chimica moderna ma creatura viva, cresce in questo schifoso ammasso di liquami che nessuno pulisce mai, si nutre di topi e merda puzzolente, e qualsiasi cosa gli serva per prosperare”.
Ma il Rettilone non ci sta, lui vorrebbe essere un mostro serio, con una propria dignità. E invece no, sta lì nell’indifferenza generale e poi arriva "Gorgar", nella seconda metà del disco, quello sì un riuscito esempio di mostro autoironico: si tratta del demone dipinto sopra un flipper, e il testo infatti narra le gesta disperate di giocatori assatanati del flipper, che saranno preda di Gorgar se perdono. Si sorride, insomma.
Il Rettile intanto arranca, trascinandosi dietro tristezza e umiliazione. Tutti lo scansano, quella nota pasoliniana del nutrirsi di escrementi lo rende impresentabile in società. Del resto è proprio così, il Rettile è vessillo del male fuori controllo che la società non riesce a domare perché è marcia al suo interno, e collassa su se stessa:
Ogni tanto ti chiedi cosa ha morso il braccio del tuo bambino, e le suore della missione non possono impedire ai barboni di delinquere, anche i ladri nascosti dietro angoli bui hanno troppa paura di uscire di casa, i ricconi frustrati che hanno bisogno giusto di una sega non riescono a trovare una puttana.
Per contro, il brano sembra davvero suonato con il Rettilone che serpeggia in mezzo all’orchestra schizzando liquame, con i nostri che vanno avanti confusamente intenti a schivarlo. Un brano che pare uscito da una demo di un gruppo di boscaioli, tipo Sodom e Destruction.
Il testo si chiude con versi rivelatori: non ci crederai finché non ti arrenderai alla realtà (un po’ tautologico come verso, N.d.R.), dal dolore alla pancia e dal ribrezzo che sentirai, hai bisogno di una merda (?) e quindi corri al gabinetto, sei arrivato alla palude, e ora che farai?
Quest’idea che, in sintesi “per cacare c’è bisogno di una merda” è direi geniale, è come dire che se l’uomo ha in cuor suo l’intenzione di fare il male, ecco che dovrà creare lo schifo per realizzarla, e non il contrario, cioè che sia lo schifo a generare il male, come ipocritamente si argomenta. Fabbrichiamo escrementi in quanto siamo dolosamente impegnati a cercare ogni scusa per poter cacare. Un’allegoria sociale illuminante.
Tutto il peso di questo discorso è stato però lasciato sulle spalle di questa creatura sgraziata, questo brutto anatroccolo. Immerso in un brano confusionario e zoppo, descritto in maniera fin troppo insistita come schifoso; mortificato dall’arrivo di "Gorgar" che gli ruba il ruolo di mostro della situazione, è semplicemente uno zimbello.
Non gli hanno voluto bene, al Rettilone. Non ridono con lui, ridono di lui. Noi facciamo un appello a tutti i gruppi tipo Autopsy, Cattle Decapitation, insomma gente che sa dare dignità a questi mostri schifosi, che prima li crea ma poi li premia, li incorona, li laurea. Coverizzatelo e riscattatelo!