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2 giu 2019

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO - ENTITA' MISTERIOSE DELL'UZBEKISTAN




Iniziamo l'avventura uzbeka con un mistero.

Il gruppo “Agony/Агония/Agonyia”, i “nonni” del thrash uzbeko, in quanto attivi fin da inizio anni '90, restano però un mistero. Che fossero un'operazione di copertura del KGB? Incredibilmente prolifici con soli album completi (6 full lenght, senza altri tipi di produzioni), sono però irreperibili sia sul tubo che su Bandcamp, e stranamente al cadere dell'URSS si spostano a Mosca. 
Hanno, per la verità, un sito ufficiale a cui speravo di poter attingere, poiché di alcuni brani parrebbe disponibile l'mp3. Solo che per alcuni l'icona è inattiva, per altri si apre una pagina “404”, cioè inesistente. Per chi volesse vederli in faccia, c'è una fantastica photogallery, anche questa vuota. Di loro restano una singola foto e le copertine dei dischi su Metal Archives, ma nessuna recensione di nessuno degli album.

Non ce la prendiamo, anche perché queste lande hanno la caratteristica di dare i natali a band irreperibili. Ci sono invece realtà di caratura, come Montfaucon, Distorted Reality, Iced Warm e Zindan.

Montfaucon, nome ispirato ad una città francese per un gruppo uzbeko che si è poi trasferito a San Francisco (forse la risposta della CIA agli Agony). Musica di difficile classificazione, accostabile a quei prodotti usciti in ambito black /death che combinano tappeti tastieristici o pianistici con voce growl e alternano parti a diversa velocità. Curato da Dan Swano, il disco gioca su questa giustapposizione sonora con effetti stranianti, che mescolano cantilena e furia, atmosfere sospese e growl narrante. Bellissimi e avvincenti, i video ufficiali consistono in una immagine fissa, talora con effetto tremolio.

Non ci sorprende questa mescolanza di riferimenti a continenti e nazioni diverse, perché l'Uzbekistan è un crogiuolo di razze, già agli inizi del '900. In particolare segnaliamo una enclave di 30 coreani censiti nel 1926, divenuti con potenti mezzi oltre 180.000 nel 1989.

I Distorted Reality propongono una copertina di tema “nucleare”, con una roccia dal profilo umano che grida verso l'orizzonte deturpato da un fungo atomico che pare “insistere” in maniera demenziale su una morte comunque garantita (la croce cimiteriale in primo piano). La proposta musicale riprende coordinate analoghe, ma con atmosfere meno cupe e nebulose, voce di timbro variabile, momenti di distensione melodica, piano e tastiere in una progressione narrativa che avrebbe poco senso inquadrare in un sottogenere specifico. Io ci sento perfino i Goblin, tanto per dire.

Iced Warm propongono un quasi-doom (la vivacità è atipica per un doom propriamente detto, nonostante la prevalente lentezza), anche qui con presenza di piano, ma anche voce lirica femminile. Si conferma la vocazione alla musica “narrativa” degli uzbeki, che mettono al servizio di questo approccio una strumentazione varia e una struttura mutevole e versatile, con la costante di una base-guida melodica affidata in genere al piano.

Zindan sperimentano, sia dissonanze che accostamenti di timbri vocali, che destrutturazione di schemi ritmici altrimenti riconoscibili come death / thrash. In effetti, più che in altri gruppi di rottura, la matrice rimane riconoscibile, e perfino le strutture delle canzoni, il che rende meglio apprezzabile il lavoro di invenzione. Una specie di “post-hoc”, in cui i nostri si interessano a smontare, diluire, corrodere, stiracchiare una serie di brani con cui avrebbero potuto altrimenti proporre un classico disco di death-doom o thrash. Questa destrutturazione forse rende ancora più evidenti le melodie asiatiche e il connotato “folk” di alcuni cori, e pare quasi un esperimento di traduzione degli arrangiamenti thrash in folk, attraverso uno stadio di trasmutazione.

Più che di vera sperimentazione, si tratterebbe quindi proprio di un lavoro di decomposizione, a dimostrazione di come forse è sensato ritenere che alla base del metal vi siano strutture arcaiche, radicate ciascuna nel territorio d'origine, e che quindi scavando e pulendo vengano alla luce proprio dei reperti che parrebbero frattaglie folk dalla datazione incerta.

Lasciamo quindi l'Uzbekistan con il sospetto rafforzato che qui, da queste parti, si celi davvero la radice di un sentire che poi sarebbe stato europeo, una matrice primigenia del blocco indoeuropeo che rende così semplice e spontaneo “risalire” dal metal al folk arcaico.

A cura del Dottore

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