Iniziamo l'avventura
uzbeka con un mistero.
Il gruppo “Agony/Агония/Agonyia”, i “nonni” del thrash uzbeko, in quanto attivi fin da inizio anni '90, restano però un mistero. Che fossero un'operazione di copertura del KGB? Incredibilmente prolifici con soli album completi (6 full lenght, senza altri tipi di produzioni), sono però irreperibili sia sul tubo che su Bandcamp, e stranamente al cadere dell'URSS si spostano a Mosca.
Il gruppo “Agony/Агония/Agonyia”, i “nonni” del thrash uzbeko, in quanto attivi fin da inizio anni '90, restano però un mistero. Che fossero un'operazione di copertura del KGB? Incredibilmente prolifici con soli album completi (6 full lenght, senza altri tipi di produzioni), sono però irreperibili sia sul tubo che su Bandcamp, e stranamente al cadere dell'URSS si spostano a Mosca.
Hanno, per la verità, un sito ufficiale a cui speravo di
poter attingere, poiché di alcuni brani parrebbe disponibile l'mp3.
Solo che per alcuni l'icona è inattiva, per altri si apre una pagina
“404”, cioè inesistente. Per chi volesse vederli in faccia, c'è
una fantastica photogallery, anche questa vuota. Di loro restano una
singola foto e le copertine dei dischi su Metal Archives, ma nessuna
recensione di nessuno degli album.
Non ce la prendiamo,
anche perché queste lande hanno la caratteristica di dare i natali a
band irreperibili. Ci sono invece realtà di caratura, come
Montfaucon, Distorted Reality, Iced Warm e Zindan.
Montfaucon, nome ispirato
ad una città francese per un gruppo uzbeko che si è poi trasferito
a San Francisco (forse la risposta della CIA agli Agony). Musica di
difficile classificazione, accostabile a quei prodotti usciti in
ambito black /death che combinano tappeti tastieristici o pianistici
con voce growl e alternano parti a diversa velocità. Curato da Dan
Swano, il disco gioca su questa giustapposizione sonora con effetti
stranianti, che mescolano cantilena e furia, atmosfere sospese e
growl narrante. Bellissimi e avvincenti, i video ufficiali consistono in
una immagine fissa, talora con effetto tremolio.
Non ci sorprende questa
mescolanza di riferimenti a continenti e nazioni diverse, perché
l'Uzbekistan è un crogiuolo di razze, già agli inizi del '900. In
particolare segnaliamo una enclave di 30 coreani censiti nel 1926,
divenuti con potenti mezzi oltre 180.000 nel 1989.
I Distorted Reality
propongono una copertina di tema “nucleare”, con una roccia dal
profilo umano che grida verso l'orizzonte deturpato da un fungo
atomico che pare “insistere” in maniera demenziale su una morte
comunque garantita (la croce cimiteriale in primo piano). La proposta
musicale riprende coordinate analoghe, ma con atmosfere meno cupe e
nebulose, voce di timbro variabile, momenti di distensione melodica,
piano e tastiere in una progressione narrativa che avrebbe poco senso
inquadrare in un sottogenere specifico. Io ci sento perfino i Goblin,
tanto per dire.
Iced Warm propongono un
quasi-doom (la vivacità è atipica per un doom propriamente detto,
nonostante la prevalente lentezza), anche qui con presenza di piano,
ma anche voce lirica femminile. Si conferma la vocazione alla musica
“narrativa” degli uzbeki, che mettono al servizio di questo
approccio una strumentazione varia e una struttura mutevole e
versatile, con la costante di una base-guida melodica affidata in
genere al piano.
Zindan sperimentano, sia
dissonanze che accostamenti di timbri vocali, che destrutturazione di
schemi ritmici altrimenti riconoscibili come death / thrash. In
effetti, più che in altri gruppi di rottura, la matrice rimane
riconoscibile, e perfino le strutture delle canzoni, il che rende
meglio apprezzabile il lavoro di invenzione. Una specie di
“post-hoc”, in cui i nostri si interessano a smontare, diluire,
corrodere, stiracchiare una serie di brani con cui avrebbero potuto
altrimenti proporre un classico disco di death-doom o thrash. Questa
destrutturazione forse rende ancora più evidenti le melodie
asiatiche e il connotato “folk” di alcuni cori, e pare quasi un
esperimento di traduzione degli arrangiamenti thrash in folk,
attraverso uno stadio di trasmutazione.
Più che di vera
sperimentazione, si tratterebbe quindi proprio di un lavoro di
decomposizione, a dimostrazione di come forse è sensato ritenere che
alla base del metal vi siano strutture arcaiche, radicate ciascuna
nel territorio d'origine, e che quindi scavando e pulendo vengano
alla luce proprio dei reperti che parrebbero frattaglie folk dalla
datazione incerta.
Lasciamo quindi
l'Uzbekistan con il sospetto rafforzato che qui, da queste parti, si
celi davvero la radice di un sentire che poi sarebbe stato europeo,
una matrice primigenia del blocco indoeuropeo che rende così
semplice e spontaneo “risalire” dal metal al folk arcaico.