"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

21 ago 2019

GUIDE RAPIDE PER CHI VA DI FRETTA - I SIEGES EVEN (1/3)



Ecchec…me ne accorgo solo ora! 4 anni e mezzo di Blog, 1000 e rotti articoli e non uno straccio di riga per i Sieges Even!

Chiediamo venia ai lettori e cerchiamo di correre ai ripari con una delle nostre Retrospettive (altrimenti dette Guide rapide per chi va di fretta).

Se molti (alcuni?) di voi conoscono la band bavarese solo come “la ex band dei fratelli Holzwarth”, beh, sappia che i Nostri sono stati davvero dei grandi, meritando di comparire, seppur come band “gregaria”, negli annali del Metal.


Non è semplice farne una Retrospettiva perché, nel corso della loro vita (che copre circa un quarto di secolo) i SE hanno avuto diverse vite, diverse incarnazioni e, soprattutto, diversi inquadramenti stilistici.

A grandi linee, la loro carriera può essere suddivisa in tre fasi: la prima va dalla nascita e la pubblicazione dei primi demo fino alla fuoriuscita dal gruppo del loro deus ex machina, il virtuoso chitarrista Markus Steffen (1982 – 1991); la seconda copre il periodo 1991-97 in cui la line-up vide l’ingresso di un nuovo cantante e un nuovo chitarrista. E infine la terza fase è quella più conosciuta, con il rientro in formazione di Steffen e dell’ottimo Arno Menses dietro al microfono, tra il 1999 e il 2008, anno in cui la band si sciolse definitivamente.

Se i SE sono inquadrati dalla critica come band progressive, il che di per sé non è sbagliato, è anche vero che l’etichetta è molto limitante avendo i Nostri avuto una parabola artistica che ha toccato diversi stilemi. Cercheremo di darvi una panoramica esaustiva di una band che non merita di stare nell’oblio. Si parte perciò da…

Life Cycle” (1988)

I SE partono col botto. 43’ di progressive thrash che ricordano da vicino le migliori band del neonato techno-thrash. Da quello d’oltreoceano (Voivod, Death, Metallica, qualcosa dei Megadeth), a quello europeo, a partire dai loro conterranei Mekong Delta, ma senza risultare una sbiadita copia di nessuno dei gruppi succitati. Paragoni scomodi, ok, ma il quartetto di Markus Steffen li regge alla grande sfornando un sound massiccio, articolato, a tratti abrasivo e/o obliquo; e comunque sempre personale.

A intervallare il riffing serrato di Steffen, sopraggiungono aperture melodiche in arpeggiato, su cui poi si innestano affilatissimi solos. I fratelli Holzwarth ci danno dentro che è un piacere, una vera macchina da guerra ritmica, freddamente robotica. L’uno-due iniziale (“Repression and resistance” e la title track) sono emblematiche della proposta dei Nostri ma tutto il disco non mostra cedimenti. A partire dalla successiva, ritmicamente sostenuta, “Apocalyptic disposition”, l’apice del disco per chi scrive.

Ve lo diciamo subito: facilmente potrà non piacervi la voce di Franz Herde, molto più pulita e acuta rispetto agli standard del genere. Ed è un peccato perché il singer a tratti rovina in modo evidente brani che, altrimenti, sarebbero stati clamorosi (si vedano i vorticosi 12’ di “Straggler from Atlantis”). Ma ad emergere al di là dei difetti è comunque la qualità dei riff partoriti dalla penna di Steffen che si dimostra una fonte inesauribile di frasi musicali azzeccatissime. Tanto che si ha la sensazione che "Life Cycle". avrebbe anche potuto essere un disco strumentale: la resa sarebbe stata la stessa (se non superiore, come dimostrano i 5’ senza cantato di “The roads to Iliad”).

Insomma, un album notevolissimo per essere un disco d’esordio, sicuramente “ostico” e di difficile assimilazione immediata; tarato dalla voce di Herde (troppo fuori contesto) e da una freddezza del sound dovuta principalmente ad uno sbilanciamento della tecnica nei confronti del “cuore”. Ma, sia ben chiaro, siamo decisamente sopra la media…

Voto: 7+

Che il medium del thrash andasse decisamente stretto ai Nostri era ben chiaro, come dimostrerà il successivo…

Steps” (1990)

Mantenendo la stessa line-up, i SE si ripropongono sul mercato due anni dopo. Che il “tiro” sia spostato verso l’alto lo dimostra l’opener “Tangerine windows of solace”: una suite divisa in 7 movimenti della durata di oltre 26’. Il sound, lo si evince immediatamente, è cambiato: gli stilemi thrash sono ridotti all’osso e il songwriting di Steffen si sposta decisamente verso un elegante prog tecnico, con forti influenze jazzy. Le parti arpeggiate predominano, il sound è tendenzialmente arioso e rilassato, solo a tratti interrotto da sferzate thrashy. Anche la prestazione vocale di Herde si adegua rimanendo maggiormente “sotto le righe”, ma, ahiloro, ugualmente “stonata” rispetto al contesto. La suite è molto ambiziosa e alquanto ardua da seguire, tanti sono gli umori, le ritmiche e gli “ambienti” creati. Quando gli ultimi secondi si chiudono con soavi note di violino…si rimane piuttosto spiazzati e interdetti. I SE dimostrano di sapere fare di meglio in tempi più stretti, come dimostra l’ottima title track successiva: 4’ in cui, riprendendo le caratteristiche dei precedenti 26’, si va dritti al sodo, con eleganza e classe. Idem per l’ottima “An act of acquiescence”. Nota di merito a parte per la conclusiva “Anthem chapter”, divisa i due sezioni in cui i Nostri giocano con la musica classica, tra un pianoforte pulito e punteggiature di chitarra, fino allo “scoppio” vero e proprio del brano.

Non sempre si riesce a mantenere il fuoco della canzone (“Corridors”), non evitando l’”effetto dispersione”. Ma nel complesso l’album regge, lasciando intravedere enormi potenzialità, soprattutto grazie alla qualità tecnica dei suoi componenti (i fratelli Holzwarth sempre mostruosi) e alle numerose idee che vengono gettate come semi in un terreno ancora non perfettamente arato e pronto ad accoglierli…insomma, i passi sono stati fatti. In avanti anche se ancora con qualche fisiologico dietrofront (e soprattutto una certezza: bisogna cacciare Herde dalla band!). 
Nota di merito per la splendida copertina “escheriana”.

Album di transizione…

Voto: 6/7

A Sense of Change” (1991)

Con ASoC si corre ai ripari: via Herde e dentro Jogi Kaiser, cantante validissimo seppur non eccelso. Il resto della line up rimane uguale. La “prova del 9 del terzo album” non tradisce, seppur con qualche riserva: il sound è una naturale evoluzione di “Steps” e quindi: via i residuati thrash e spazio totale alla vena progressive di Steffen. Il risultato è un album delicato, ispirato, armonioso. Ma non semplice. Continui cambi di ritmo e di umori, tempi dispari, inserti jazzati, destrutturazione totale della forma-canzone. E rimandi ai mostri sacri del Prog settantiano, in primis i Rush. A questo si aggiungano sperimenti particolari, come l’orchestrale “Change of seasons” o gli 8’ abbondanti di “Dimensions”, in cui Kaiser (buona la sua prova) si lancia in vocalizzi al limite dello yodel, tra stop&go, parti acustiche e tanto, tanto altro. Le coordinate musicali rimangono quelle di un rock onnivoro che non sfocia più nel metal degli esordi. E anzi guarda più alla tradizione hard-rock. Quello che manca è forse una messa a fuoco che dia coerenza e coesione al prodotto finale (una song come “Prime”, ad esempio, è totalmente spiazzante, ma non è la sola).


Insomma, evoluzione e transizione assieme. Nel segno di idee valide e qualità di scrittura. Promossi ancora ma con la netta sensazione che siamo lontani dalla creazione del loro vero capolavoro…

Voto: 7

A cura di Morningrise

(continua...)