Si diceva tempo fa della mia incapacità di resistere al fascino femminile. Questa volta la “sirena” che ha attirato la mia attenzione si chiama A.A. Williams e il metal, con lei, è un fatto solo marginale, ma in qualche modo presente: non a caso ad un certo punto nel suo album di debutto "Forever Blue" spunta inaspettatamente fuori il growl di Johannes Persson dei Cult of Luna, e questo non è qualcosa che accade in tutti gli album di cantautorato femminile...
A.A. Williams assomiglia un poco a Chelsea Wolfe, di cui già abbiamo avuto modo di parlare sul nostro blog: in lavori come l’eccelso “Abyss” e il buono “Hiss Spun”, infatti, l'oscura chanteur americana si era corazzata di sferzante doom per inasprire la sua vocazione dark-cantautoriale, avviando di fatto un nuovo filone che sembra aver preso piede negli ultimi anni e contagiato con suggestioni "metal" molte interpreti femminili.
Non arriva quasi mai al metal tout court questa giovane londinese, forte di una preparazione classica di pianista e violoncellista: in “Forever Blue” (che segue di due anni l’EP d’esordio “A.A. Williams” e singoli già incisivi come "Control" e "Cold") l’amante delle sonorità "dure" verrà comunque piacevolmente scosso dalle deflagrazioni elettriche di un robusto post-rock, eredità probabilmente dell’esperienza “Exit in Darkness”, operazione "a quattro mani" confezionata con i giapponesi Mono, pubblicata lo scorso anno.
Nella sezione “Songs from isolation” del suo sito internet (che ospita registrazioni catturate in solitaria nel suo bilocale londinese durante il lockdown cittadino) vi sono cover di Nick Cave, Radiohead e Deftones: tutte influenze, queste, facilmente riscontrabili nelle otto traccie di "Forever Blue", nel quale i fan di Anathema e Katatonia potrebbero trovare discrete gioie.
Il languore è radiohediano, un’intimità rarefatta in cui il canto forte e dolente della Williams sale e scende senza grandi variazioni di umore, ma mai tediando. Il requiem d’apertura “All I Asked for (Was to End it All)”, un titolo-un programma, introduce ambientazioni crepuscolari che ritroveremo anche in ballate come “Dirt” e “Glimmer”, dove la Nostra duetta rispettivamente con Tom Fleming (ex Wild Beasts) e Fredrik Kihlberg (Cult of Luna): episodi che evocano tanto lo struggente romanticismo dei fratelli Cavanagh quanto il cantautorato derelitto di Steve Von Till, riferimenti che certe frange di metallari dalle ampie vedute dovrebbero aver ben presente.
La distrazione del metallaro più esigente, invece, verrà scossa dalle terremotanti esplosioni chitarristiche del singolo “Melt” (ottima) e dell’altrettanto intensa “Love and Pain” (con tanto di chitarre ed archi fusi in struggenti maelstrom a metà strada fra folk apocalittico e post-hardcore).
Vi è poi la seconda metà di “Fearless”, che merita una menzione a parte: in essa, infatti, ci imbatteremo in possenti riff sabbathiani e nell’aspro growl di Johannes Persson (sempre dai Cult of Luna) in un accostamento di voci che ricorda un esperimento analogo tentato dalla stessa Chelsea Wolfe nel brano “Vex”, dove si era giovata dell’ospitata di un’altra gloria del post-metal, Aaron Turner, ex Isis. Un dettaglio che vale la pena sottolineare in quanto testimonia il fatto che viviamo in un’epoca in cui il metal (finalmente) non è più un reietto che viene espulso in malo modo dagli ambienti della musica considerata “colta”, ma che diviene semmai una modalità espressiva sempre più in voga in certe situazioni a metà strada fra cantautorato e tenebre.
Vi è poi la seconda metà di “Fearless”, che merita una menzione a parte: in essa, infatti, ci imbatteremo in possenti riff sabbathiani e nell’aspro growl di Johannes Persson (sempre dai Cult of Luna) in un accostamento di voci che ricorda un esperimento analogo tentato dalla stessa Chelsea Wolfe nel brano “Vex”, dove si era giovata dell’ospitata di un’altra gloria del post-metal, Aaron Turner, ex Isis. Un dettaglio che vale la pena sottolineare in quanto testimonia il fatto che viviamo in un’epoca in cui il metal (finalmente) non è più un reietto che viene espulso in malo modo dagli ambienti della musica considerata “colta”, ma che diviene semmai una modalità espressiva sempre più in voga in certe situazioni a metà strada fra cantautorato e tenebre.
Concludono in bellezza “Wait” e la pianistica “I am Fine” che riconducono le trame sonore dell’album ad uno ispirato intimismo, fra i cui drappeggi emergono echi pinkfloydiani che ben si amalgamano all'atmosfera funerea del disco.
Frutto di registrazioni casalinghe (la Williams si è fatta carico di chitarre, pianoforte e violoncello oltre che ovviamente delle parti vocali) e con il supporto del solo marito al basso (mentre batteria e ospitate varie verranno registrate successivamente in studio), “Forever Blue” è un album di esordio straordinariamente solido e maturo considerata la giovinezza artistica della sua autrice.
Frutto di registrazioni casalinghe (la Williams si è fatta carico di chitarre, pianoforte e violoncello oltre che ovviamente delle parti vocali) e con il supporto del solo marito al basso (mentre batteria e ospitate varie verranno registrate successivamente in studio), “Forever Blue” è un album di esordio straordinariamente solido e maturo considerata la giovinezza artistica della sua autrice.
Con i suoi lunghi capelli neri e gli abiti del medesimo colore, A.A. Williams è una figura affascinante che speriamo poter vedere dal vivo al più presto, corona virus permettendo, anche perché pare che la Nostra, nonostante la poca esperienza, sia un talento naturale sulle assi del palcoscenico, dimensione ove ha saputo attirare le attenzioni degli addetti ai lavori per poi permetterle di dare una svolta concreta alla sua avventura nel mondo della musica, che speriamo possa dare frutti altrettanto buoni in futuro.
Una nuova stella (nera) è nata...
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