Che bello poter scrivere sugli Ayreon!
Ogni scusa è buona per parlare
degli Ayreon!
Soprattutto dopo che il nostro post, relativo all’ultimo “Transitus”, non era stato, ahinoi, dei più lusinghieri per il beneamato Lucassen.
Questa volta l’occasione ci viene
data dalla Rassegna sullo Zodiaco Metal e, visto che ogni tanto “ci piace
vincere facile”, quale band più appropriata degli Ayreon per parlare di stelle,
pianeti, spazio siderale e roba correlata?
La costellazione del Toro,
peraltro, si presta particolarmente a speculazioni di ogni sorta: compresa,
ovviamente, tra l’Ariete e i Gemelli, è davvero un “bel bestione”, ben visibile nei nostri cieli notturni (quelli dell’emisfero
boreale).
Celebre per contenere il più
famoso degli ammassi stellari, quello delle Pleiadi (già più volte decantato
anch’esso da celebri gruppi rock), la bellezza e l’importanza della
costellazione del Toro non finisce qui: l’occhio del “bovino” è la celeberrima
stella Aldebaran, Gigante Arancione, 500 volte più luminosa del Sole (sic!).
Insomma, nonostante il Toro sia
un forte segno di Terra, per tutte le ragioni di cui sopra, tirare in ballo gli
“space metaller” Ayreon ci è sembrata la scelta più giusta.
Anche perché l’album oggetto del
presente post, “The Universal Migrator”, è una delle storie più “ardite”
concepite dal folletto di Hilversum: partendo dal XXII secolo e dalla colonizzazione
di Marte, il plot dell’album prosegue
seguendo le gesta del protagonista (che scopriremo, al termine della vicenda,
essere proprio il menestrello cieco Ayreon), rimasto unico sopravvissuto sul
Pianeta Rosso: tra macchine del tempo ipnotiche, viaggi nella Storia fino allo
scoppio del Big Bang, contatti
ravvicinati con pulsar, quasar, supernove, buchi neri, wormhole e chi ne ha più
ne metta, arriveremo al tragico finale (che, come nella migliore tradizione
lucassiana, lascia sempre intravedere una luce di speranza).
Insomma, un gran casino…
Concentrandosi solo sulla musica,
“The Flight of Migrator”, la seconda parte di “The Universal Migrator”,
annovera 4/5 brani top nella discografia dei Nostri. Dalla mitica “Dawn of a
million souls” (un must dal vivo) alla suite “Into the black hole” (top song
del disco, con un Bruce Dickinson da brividi nelle parti vocali); da “Journey
on the waves of time” (impreziosita dall’ugola di Ralf Scheepers) a “Out of the
white hole” che vede sugli scudi un ottimo Timo Kotipelto.
“To the quasar - The Taurus pulsar”, il brano che “usiamo” per la
nostra Rassegna è, nel platter, il brano che meno mi esalta (assieme alla poco
ben riuscita “Through the wormhole”). Sarà per quell'iniziale giro di synth,
bissato da un dissonante accompagnamento di chitarra; sarà per il cantato, molto effettato; sarà il fatto che in
realtà la canzone funge quasi da lunga intro alla seconda parte del brano (“To the quasar - Quasar 3C 273”, notevolissima e con una violenta coda strumentale
thrasheggiante). Insomma, "The Taurus pulsar" non è materiale memorabile, forse
perché poco “trascinante” rispetto allo standard ayreoniano.
Ma del resto, come sempre negli
Ayreon, la musica è funzionale alla trama e qui si deve descrivere una pulsar
(roteante stella di neutroni, fonte di radiazioni elettromagnetiche), facente
parte della costellazione del Toro, appunto, che alla fine implode…ed effettivamente il
brano “regge” questo tipo di ambientazione/situazione, collocandosi in modo
coerente nel continuum lirico/musicale del disco.
Tra i punti di forza del brano,
comunque, va annoverata la delicatezza delle liriche lucassiane, dei termini
scelti per descrivere la Taurus pulsar e, attraverso questi, come si riesca a
parlare della stella morente con un toccante trasporto, carico di umanità; con
quale compassione e delicatezza la si descriva, tanto da farla sembrare una
persona in carne e ossa che sta esalando i suoi ultimi respiri:
Della serie: anche l’immagine di
un Toro, a volte, può far commuovere…
A cura di Morningrise
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