C'è una legge non scritta della musica in cui i grandi gruppi fanno dischi importanti come esordio, si assestano alla seconda prova e si giocano molto della loro credibilità al terzo album. Dopo si possono vivere fasi alterne, anche qualche crisi di identità ma poi i grandi emergono dalle secche della creatività per affermare una maturità artistica di qualità o finiscono nel baratro della pochezza .
Questo è un percorso che si può adattare alla carriera di molti gruppi, ma non ai KAMELOT.
I Kamelot partono male e continuano maluccio, non hanno il disco della svolta ma maturano pian piano. Sono come quelle donne che diventano più belle da madri , ma da giovani e anche più tardi restano bruttine . Non bruttissime, non inguardabili, però la bellezza è un'altra cosa e così vale per i Kamelot .
Nascono in Florida a Tampa e, nella terra del death metal, come possiamo notare Thomas Youngblood? Il chitarrista dei Kamelot sembra avere infatti un nome perfetto per fondare un gruppo death metal, ma Tommaso Sanguegiovane vira sul power ...
Sei pazzo Thomas a fare questa scelta ?! Immaginiamo gli dicano i suoi amici con la maglia degli Obituary, fatti un gruppo ignorante e ti facciamo suonare in tutti i club della zona. Oltretutto, diciamo la verità, non è che sia un mostro di tecnica, ma la svolta arriva dopo la conoscenza con il batterista Casey Grillo e soprattutto il cantante Roy Khan.
Questi ultimi escono dagli scandinavi Conception e si uniscono ai Kamelot , ma in realtà i primi dischi lasciano ancora interdetti.
Tre album senza infamia e senza lode, "Eternity" e "Dominion" ma aggiungo anche "Siége Perilous"... Poca qualità e un power abbastanza canonico non trasmette sensazioni positive alla critica, ma anche il pubblico resta mediamente freddino .
Non ci sono note stonate, ma tutto suona già sentito e canonico. Magari nel dormiveglia Thomas si interroga e vede intorno proliferare gruppi death , ma lui sente che la strada è giusta da seguire .
Gli innesti dai Conception sono una marcia in più, Khan ha una bella voce però insegue tonalità power non sue e anche il batterista Grillo ha una buona presenza nelle canzoni e potente doppia cassa, ma manca il guizzo.
Gli anni passano e i Kamelot piacciono poco e vendono meno, ma il gruppo lavora a fari spenti con tenacia .
Qualcosa però stava covando nell'officina dei Kamelot, si inizia a trovare la quadratura del cerchio .
Molti fan o ascoltatori però avevano gettato la spugna e abbandonato il gruppo per altri lidi; erano intanto gli inizi degli anni 2000 e tanti avevano già inciso pietre miliari del nuovo metal sinfonico. Non solo c'erano i Dream Theater o i Savatage, ma anche gli Avantasia si affacciavano con la Metal Opera e molti altri... Insomma i Kamelot erano evidentemente indietro sulla tabella di marcia, ma "Karma" ha tutto per essere un album importante.
Ha colpi di classe e trova spunti più progressivi, con il senno di poi si potrà dire che tutto è partito da qui. Il disco evidenzia la voce di Khan e, pur mantenendo alcune influenze prog e i retaggi power, traccia una strada di progresso ben definita dal passato. Vero che la solita intro sinfonica e altre piccole ovvietà mantengono medio il livello generale, ma si sentono echi di "Images And Words" o dei migliori Stratovarius, anzi a dirla tutta superano la band finlandese per freschezza.
Interessanti alcune soluzioni e, pian piano, i Kamelot iniziano a scoprire se stessi attraverso due classici come la titletrack e "Forever". Voglio bene a questo disco, compratelo o ripescatelo se già lo avete nella collezione perché contiene la vena cupa che renderà unico il sound puro dei Kamelot e Khan sembra un attaccante che ha iniziato a vedere la porta.
Stesso discorso dicasi per il precedente "The Fourth Legacy" in cui l'ascolto piacevole nasconde dei colpi di classe fuori del normale (qui infatti c'è il classico "Nights Of Arabia"), ma perché ancora queste copertine banali e ancora tante ovvietà squalificanti in casa Youngblood?
Le premesse per il momento della svolta sembrano maturate, invece solo un piccolo (grande) passo in avanti , esce "Epica" nel 2003 ed esplode (piano) un gruppo di classe.
La produzione è sempre più curata, molti ospiti che possono valorizzare e rendere più vario il suono: c'è Turilli a fare un solo (proprio lui che ne fa tre in una intera discografia nei Rhapsody?!?), c'è una voce femminile che accompagna Khan ed è un concept diviso in due parti con il successivo "The Black Halo". Insomma capiscono come fare il salto di qualità, in parte lo fanno, ma maturano a fatica.
Non è nel loro stile esagerare, però sembra che il panorama sinfonico si guardi intorno e trovi improvvisamente i Kamelot con questa costanza di livello medio/alto . C'è chi sperimenta o chi si scioglie o chi va avanti con album sufficienti, ma quel gusto cupo e la classe dei Kamelot attira l'attenzione ...
I Kamelot hanno il talento e la loro eleganza è data soprattutto da Khan che sfodera alcune grandi interpretazioni, però sarà più avanti che svilupperà una personalità debordante mentre qui chi ha orecchie per intendere, intende un potenziale che emoziona quando non imita altri ma interpreta. Trova la sua via e la voce prende alcuni echi di Geoff Tate o Clayton , quasi inconsci e profondi .
Lentamente si va avanti , lentamente ma inesorabilmente...
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Pagellone degli album citati:
- Eternity 6
- Dominion 6
- Siége Perilous 6.5
- The Fourth Legacy: 7+
- Karma 7.5
- Epica 7/8