BLACK
METAL NORVEGESE: I MIGLIORI DIECI
ALBUM
Si
dice che il black-metal sia nato con i Venom: viene spontaneo e
fa comodo pensarlo, perché ce lo sentiamo ripetere fin da quando non avevamo
ancora messo i denti da latte, ma non è così.
L’importanza
di opere come “Welcome to Hell” (1981) e “Black Metal” (1982) è
innegabile: la voce da cavernicolo di Cronos sarà un bell’esempio da seguire
per tutti gli strilloni a seguire; la cacofonia, i suoni confusi (aspetti
dovuti per lo più all'incompetenza, all’approssimazione, alla strumentazione
povera) sposterà di una tacca in avanti il concetto di estremo percepito agli
inizi degli anni ottanta; l’immaginario satanico, infine, è buttato in faccia
allo spettatore come mai era successo prima, e costituirà il fanalino che
attirerà, come falene, orde di giovinastri desiderosi di emozioni forti. Di lì
a poco seguirà la genesi del thrash-metal, culla dell'estremo, e il trio britannico
verrà indicato non a caso fra le band più influenti ed imitate. Ma da un punto
di vista strettamente stilistico i Venom inventano ben poco, imponendosi più
che altro come la versione estremizzata ed ulteriormente rumorosa dei Motorhead
(cosa non da poco) e conservando in tutto e per tutto quello spirito birraiolo,
goliardico e casinista che è proprio di ogni rock'n'roll band che si rispetti.
Gli
stilemi tipici del black-metal quale genere a sé stante (l'imperversare e il
persistere del blast-beat, il tremolo picking, i riff gelidi, la poetica
struggente ed al contempo epica delle chitarre, la voce gracchiante,
l'attitudine nichilista e misantropica, l'evocazione di paesaggi dalla forte
connotazione naturale) vengono a malapena abbozzati dai Venom: sarà piuttosto
negli anni immediatamente successivi che si avvierà un percorso che ci condurrà
al black-metal come oggi lo conosciamo. E la Norvegia degli anni novanta
sarà un luogo geografico e culturale fondamentale per gli sviluppi dell'intero
processo. La nostra disamina, pertanto, volgerà il riflettore su quel ribollire
di creatività straordinaria che ha avuto luogo in prossimità del circolo polare
artico, in quella fredda, angusta e frastagliata lingua di foreste e montagne a
picco sul mare.
Prima
di lanciarci nella rassegna dei dieci album che secondo noi sono i più
rappresentativi del fenomeno, è utile spendere due parole ancora sulle premesse
che portarono a quel laboratorio infernale. Sebbene gli Stati Uniti abbiano
favorito nei propri confini il proliferare dell’Estremo (proprio laggiù si
compirà, prima, la già citata rivoluzione thrash, e, appena successivamente,
quella death), il black-metal, almeno inizialmente e per molto tempo, rimane
una questione squisitamente europea. Ma dall’Inghilterra (patria dei
Venom) lo sguardo va traslato ad est, verso le terre fredde del Centro e del
Nord Europa: così facendo, ci renderemo conto che la geografia del proto-black
metal assume i contorni di una costellazione deforme che nel corso
degli anni ottanta si espande a macchie di leopardo e che inesorabilmente
compie la sua lenta ed ineluttabile ascesa verso nord.
Partiamo
dalla tranquilla Svizzera. Fra pratini ben rasati ed orologi a cucù, ci
imbattiamo in due loschi compari totalmente avulsi dal loro tempo e dalla loro
realtà: Thomas Gabriel Fisher (alias Tom G. Warrior) e il suo visionario
“assistente” Marc Eric Ain sono due figure in bianco e nero su uno sfondo verde
aiuola e giallo Emmental. Fisher si renderà responsabile della musica più
brutale del momento con gli Hellhammer (dopo tre demo registrati nel
1983, la loro unica release ufficiale, l'EP “Apocalyptic Raids”, è
targata 1984), roba oscura, velocissima, elementare, schifata da tutti, ma
capace di gettare il seme del minimalismo nel calderone del thrash malefico di
inizio decade. Accantonati gli sfortunati Hellhammer, Fisher ci riprova e,
coadiuvato dal fido Ain, darà vita ai ben più noti ed influenti Celtic Frost,
oscura e visionaria esperienza musicale dalla quale germineranno disparati
filoni della musica estrema. Le atmosfere macabre e disperanti, la maestosità e
la tensione verso l'Assoluto dato dalle commistioni fra movimenti sabbathiani
ed inserti sinfonici, lo spleen decadente derivato direttamente dalla
tradizione dark-wave, i suoni neri come la pece, il pestare ossessivo, l'inquieto
approccio rumorista: anche il black-metal saprà accaparrarsi parte delle
intuizioni che la formazione elvetica aveva avuto modo di esprimere in lavori
rivoluzionari come “To Mega Therion” (1985) e l'ancor più audace “Into
the Pandemonium” (1987).
Spostandoci
leggermente ad est, si arriva alla Germania della mitica triade composta da Sodom-Kreator-Destruction,
un formidabile tridente d'attacco che risulterà fondamentale per le sorti del
metal estremo. In particolare gli ultimi, con le loro chitarre taglienti, i
secchi cambi di tempo, la voce stridula di Schmier, i suoni scarni, la pochezza
tecnica, saranno ben visti dai pionieri del metallo nero . Del resto,
nei quattro minuti scarsi del brano “Total Desaster” (distruttiva
traccia di apertura del leggendario EP “Sentence of Death”, del 1984,
poi coverizzata dai Marduk nel live “Germania”) c'è già metà del black-metal
che verrà.
Ripiegando
invece verso le lande settentrionali, su nella piccola Danimarca, ci
imbatteremo nei Mercyful Fate, che, contrariamente agli esempi fino ad
adesso riportati, suonano ancora un heavy- metal nella sua accezione più
classica. Eppure, l'attrazione per l'universo gotico ed orrorifico, il forte
impatto scenico, il piglio teatrale ed iconoclasta del front-man renderà questa
band uno dei riferimenti di culto per il black metal prossimo a nascere, e
lavori come “Melissa” (1983) e “Don't Break the Oath” (1984) si
guadagneranno presto lo status di pietre miliari. Maestro di cerimonia è il
mitico King Diamond, il cui falsetto orripilante va per certi aspetti ad
anticipare lo screaming che diverrà standard nel genere; il forte trucco
che ricopre il suo viso quando compare in scena (sulla scia di quanto già fatto
da Kiss ed Alice Cooper) è l'antesignano del famigerato face-painting,
altra pratica diffusa nel black-metal. Suoni fuligginosi, strutture mutevoli ed
imprevedibili sono il palcoscenico ideale per questa macabra messa in
scena.
Inerpicandoci
ulteriormente verso nord, giungiamo finalmente in terra svedese, alla corte di
un certo signor Ace Börje Thomas Forsberg, alias Quorthon, nonché l'uomo
che sta dietro al seminale progetto Bathory (fra le altre cose,
inauguratore della formula one-man band, molto in uso negli ambienti).
Incommensurabile il contributo di questo artista per la codificazione degli
stilemi del genere. Dall’omonimo album con il caprone in copertina
(1984), a “The Return….” (1985), giungendo al ferale “Under the Sign
of the Black Mark” (1987), Quorton è fautore di una musica furibonda,
gelida, caratterizzata da ritmiche forsennate, grida agonizzanti, epici
rallentamenti: una formula ancora debitrice del neonato thrash-metal, ma che
già presenta elementi innovativi. Dal satanismo al folclore del nord Europa, il
passo a lavori superlativi come “Blood Fire Death” (1988), “Hammerheart”
(1990) e “Twilight of the Gods” (1991) è breve: non pago di aver praticamente
inventato un nuovo genere, Quorthon sarà in grado di superarlo, finendo per
forgiarne un altro di sana pianta, quello che poi, successivamente, verrà
chiamato viking-metal. Il padrino del black-metal, come tutti i grandi, crea e
distrugge allo stesso tempo: la sua nuova espressione musicale, pur non
rinnegando in toto l'arcigno thrash degli esordi, viaggia sulle ali di un
epic-metal dilatato e paesaggistico, pregno di inserti folk e visioni suggestive
dalle forti connotazioni naturalistiche, tutti elementi che, più o meno
trasfigurati, faranno parte del bagaglio stilistico delle nuove leve che
vedranno Quorton come loro maestro indiscusso.
Piove
sul pan bagnato, gente, si arriva così all’inizio degli anni novanta: se ci
spingiamo ancora un po' più a nord, e valichiamo il confine che ci separa dalla
Norvegia, ci imbatteremo in un certo Øystein Aarseth, giovane musicista,
titolare di un negozio di dischi chiamato Helvete e di una casa discografica, la Deathlike Silence Productions. Costui si faceva chiamare Euronymous
e militava in una band di nome Mayhem….
To
be continued....
10) Ved Buens Ende..... - "Written in Waters"
9) Arcturus - "Aspera Hiems Symfonia"
8) Enslaved - "Frost"
7) Immortal - "Pure Holocaust"
6) Satyricon - "Nemesis Divina"
5) Ulver - "Bergtatt - Et Eeventyr i 5 Capitler"
4) Emperor - "In the Nightside Eclipse"
3) Mayhem - "The Mysteriis dom Sathanas"
2) Burzum - "Hvis Lyset Tar Oss"
1) Darkthrone - "Transilvanian Hunger"
Conclusioni