C'è gente che dopo aver scampato la morte in un incidente stradale vede la Madonna; c'è chi, come Gianfranco Stevanin, diventa serial killer; c'è chi si risveglia dal coma parlando lingue sconosciute, c'è chi perde la memoria ed infine chi, come Yngwie Malmsteen, si ricompra una Ferrari nuova.
C'è anche chi approda al suo genere definitivo, ovvero un metal melodico di ottima fattura, piazzando un bel disco come "Odissey" e azzeccando in pieno il vocalist. Dalla magniloquenza dei primi cantanti, adatta per un taglio più epico, ad una voce dai toni caldi, a volte rochi, a volte nasali: una gamma perfetta per canzoni snelle e suadenti, con improvvise complicazioni barocche alternate a semplificazioni pop. Da qui in poi Yngwie si convincerà che quello è il genere “definitivo” e lì si infila come un radicione di pino sotto l'asfalto. Un solo problemino, ovvero la sindrome dell'accentratore: il buon Joe Lynn Turner è silurato dopo "Odissey" e all'inserzione “cercasi cantanti che cantino ma poco” risponderanno in diversi.
Tanto il modo migliore di cantare le canzoni composte dalla A alla Z da un accentratore è cercare di cantare senza lasciar traccia...
C'è anche chi approda al suo genere definitivo, ovvero un metal melodico di ottima fattura, piazzando un bel disco come "Odissey" e azzeccando in pieno il vocalist. Dalla magniloquenza dei primi cantanti, adatta per un taglio più epico, ad una voce dai toni caldi, a volte rochi, a volte nasali: una gamma perfetta per canzoni snelle e suadenti, con improvvise complicazioni barocche alternate a semplificazioni pop. Da qui in poi Yngwie si convincerà che quello è il genere “definitivo” e lì si infila come un radicione di pino sotto l'asfalto. Un solo problemino, ovvero la sindrome dell'accentratore: il buon Joe Lynn Turner è silurato dopo "Odissey" e all'inserzione “cercasi cantanti che cantino ma poco” risponderanno in diversi.
Tanto il modo migliore di cantare le canzoni composte dalla A alla Z da un accentratore è cercare di cantare senza lasciar traccia...
Nei primi dischi la voce funziona come un argano che fa salire il guitar-hero in alto affinché snoccioli i suoi assolo al momento giusto; successivamente si ha l'impressione che il cantante nel bel mezzo dell'acuto precipiti giù attraverso una botola, con Yngwie che distrae l'ascoltatore con una scala delle sue:
- “Yngwie che fine ha fatto il cantante?”
- “Boh, era qui...”
Certamente ci sono brani più corposi, più rocciosi, che ci danno una qualche soddisfazione perlomeno nei momenti di attacco e nel culmine dei ritornelli, ma sempre con questo effetto del microfono che si ritira tipo corno di una lumaca.
D'altronde, sull'amalgama di un'orchestra Yngwie dice: “Se il chitarrista è molto tecnico, la band deve rimanere solida alle sue spalle. Gli altri musicisti devono assicurare la continuità della canzone, mentre il chitarrista si esprime. Se tutti fanno gli esibizionisti senza fermarsi, va tutto al diavolo. Il batterista deve tenere il tempo e non fare scena”.
Band di virtuosi come i Dream Theater, a proposito dei quali è riferito questo giudizio, sono l'inferno di Yngwie. Ed infatti le sue band sono “cornice”, ma quando per far brillare il quadro hai bisogno di oscurare la cornice, è un artefatto e rischi anche di limitare la tua gamma espressiva, proprio perché “brillando” a volte ci si appiattisce.
Se tutti fanno gli esibizionisti, va tutto al diavolo, ma anche se lo fa uno solo, perché deve essere sempre eccezionale ed unico, il che non significa più niente, a meno che non si creda di possedere la formula della perfezione. E il buon Yngwie ci crede, eccome.
Sta di fatto che la proposta di Malmsteen, ostinatamente orientata verso la forma-canzone, è invece sempre meno metal, non importa quanta chitarra ci si versi dentro. D'altronde, quello che dovrebbe essere l'idolo delle folle metallare dice che la scena non la conosce e non la segue. Questo è probabilmente vero, perché la sua idea di hit-single o disco di successo è ferma ad un cliché di disco pop-metal anni '80, con la ballata, la canzoncina anonima con ritornellino (il fondo si toccò con "Teaser" probabilmente) e l'immancabile passaggio strumentale tipo autentica del notaio.
Paganini non ripeteva mai: a questo ci avrebbe pensato Yngwie.
Detto questo, fermiamoci un attimo per una domanda fondamentale: che cos'è il metal neoclassico?
Io ho sempre pensato che il concetto di “classico” fosse “non popolare” e che quindi esistesse una sostanziale differenza, non tanto sul tipo di strumentazione o sul sapore “antico” (che può essere evocato dalla musica classica quanto da quella popolare), ma dall'idea di una musica non immediata. Musica “leggera” e musica “classica”, ovvero non leggera, pesante.
Da qui si risale anche al significato autentico del metal, che altrimenti sarebbe solo un rock duro, anzi durissimo. In verità il metal trae in parte origine dal rock, ma così come l'uomo dalla scimmia, ovvero con una trasformazione non lineare, non semplicemente derivativa. L'appesantimento non fu quindi una estremizzazione, né un imbarbarimento come il punk, né un'operazione di chirurgia sperimentale come l'hardcore. Fu una complicazione, così come il gotico complica il romanico e il barocco complica il rinascimento. Il metal è una inutile e stupenda complicazione.
Quindi il metal neoclassico è quasi un'espressione pleonastica: il metal è neo-classico, è la moderna complicazione, la versione moderna della musica non masticabile, più autocelebrativa che non intrattenitiva.
Per cui, Malmsteen fu neoclassico in una parte della sua carriera. Dopo è diventato solo un confezionatore di custodie per la sua chitarra. Innegabile che le parti della produzione malmsteeniana che soddisfano di più l'ascoltatore sono quelle già sentite, nuove soluzioni di moduli già sentiti. Variazioni, insomma, ancor meglio se solo strumentali. Ancor meglio senza Yngwie e questo paradosso si ottiene con i due dischi orchestrali.
Se l'apice della “neoclassicità” fosse la riproduzione della musica classica, allora si toccherebbe con la sovrapposizione totale tra chitarra e violini, che essendo un'intera sezione seppelliscono poi il solista Yngwie. Questo era anche il problema generale del neoclassicismo, cioè porsi come la riproduzione “monca” del classicismo, o una variazione sul classicismo che comunque guardava all'esempio come insuperabile: tanto vale allora mantenere quello.
C'è un bel dipinto di tale Fuessli, pittore inizialmente neoclassico, “La disperazione dell'artista davanti alla grandezza delle rovine antiche”, insuperabili e ormai perdute nella loro integrità. Yngwie invece a volte sembra riprodurre in maniera imperfetta le opere classiche, ma di tutto ciò, anziché disperarsi, è soddisfatto.
L'effetto della velocità come ritocco moderno alla classicità è poi relativo: intanto Bach, Vivaldi e Paganini erano già veloci in partenza, se volevano e se proprio vogliamo farne una questione di accelerazione, allora i parossismi della Great Kat sono ancora più spinti di quelli di Yngwie.
Il nostro si dovrebbe invece chiedere perché la scena metal ha accolto lui e snobbato la Great Kat?
Perché la composizione di Malmsteen era inizialmente originale e non durava lo spazio di un assolo, con il fastidio di doversi sciroppare delle strofe prevedibili e dei ritornelli fiacchi. Oltretutto, venendo meno la particolarità di arrangiamento e composizione, siamo letteralmente costretti a seguire i testi e lui stesso sul testo di "Teaser" dichiara di avere dei rimorsi...
Yngwie alla fine nasce neoclassico, ma come tutti i neoclassici si incaglia al primo giro, a meno che non trovi poi una sua forma di pesantezza-complicazione musicale. Ha un sogno neo-pop, altro che neoclassico!, e al servizio di questo mette il proprio stile chitarristico (stile, più che estro, perché si parla più di esecuzione che non di composizione).
Da come giudica gli altri chitarristi (non se ne salva uno), Malmsteen ritiene di essere pulito, di scegliere le note corrette secondo una precisa scienza della musicalità, di non stonare mai nell'improvvisazione, ma non parla mai di composizione. Quello suona bene, ma è un pezzo banale che potrebbe suonare chiunque, quell'altro è stonato, quell'altro è semplicemente inascoltabile. Finché si esprime su altri “eroi” della chitarra sembra che esprima giudizi con nozione di causa. Secondo me, tuttavia, il limite della sua visione della musica si vede quando giudica le due asce degli Slayer in fase di assolo incrociati: “Si incastrano nelle loro scale e suonano delle note che non dovrebbero essere suonate”. Bravo, è proprio quello che fanno, ma non si può essere così ingenuamente supponenti da credere che stiano sbagliando (“Cercano di suonare bene, ma eseguono in modo disastroso”). I due crearono quegli assolo schizofrenici e spesso riempitivi probabilmente perché li sapevano eseguire tecnicamente. E funzionavano. Certo che ci sono chitarristi non inclini e forse non portati per guidare un pezzo con la chitarra solista dall'inizio alla fine, ma neanche essi pretendono e si impuntano di farlo. Yngwie, invece, si ostina come un ossesso a guidare tutta la band, alla quale viene letteralmente imposto di allestire cornici pop per i suoi gloriosi momenti di chitarra.
Il suo discorso sul chitarrismo pare dunque essere: per qualsiasi contenuto ci vuole una forma decorosa. Ma in verità non è questo che dice, perché da una parte richiama la correttezza, da un'altra l'originalità, da un'altra ancora l'ardimento virtuosistico. Oltretutto per correttezza tecnica assume una regola che, come tale, si applica alla riproduzione di ciò che già esiste, non alla creazione, che non presuppone alcuna regola formale.
Quando Yngwie in uno dei suoi tutorial spiega come nasce il suo modo di suonare, completa l'autoreferenzialità in maniera incredibile. "Sì – dice – c'è la tecnica, ci sono le regole, però poi alla fine come arrivo a decidere che una soluzione va bene? Se al mio orecchio suona bene, questa è la cosa dirimente, perché alla fine una sequenza di note, oltre che costruita bene, deve piacere. Quando mi piace, vuol dire che va bene."
Attenzione, potrebbe esservi sfuggito: non si intende che quando uno suona qualcosa e gli piace, allora finisce la tecnica e nasce l'arte. Quando Lui suona qualcosa e A Lui piace, questa è arte: il paradiso di Yngwie.
Oh, finalmente abbiamo capito! Chiediamo scusa per ogni osservazione precedente che potesse sembrare critica.
Per cui mettiamola così: noi adoriamo Yngwie e continueremo a seguirlo acriticamente a patto, però, che egli chieda scusa per i seguenti e insopportabili dettagli che turbano i nostri sonni e oscurano la sua icona:
1. Il testo di "Teaser". E, già che ci siamo, tolto il testo, togliamo anche l'intera canzone: asportandola chirurgicamente dalla tracklist e ripubblicando "Fire and Ice", il suddetto album risulterebbe un'opera più che buona, persino quando Malm decide di appropriarsi anche del microfono in "Spellbound", mostrando finalmente come deve comportarsi un cantante per non rubargli spazio (leggi: cantare con maschera e boccaglio);
2. I vestitini leopardati immortalati sul retro delle copertine di "Rising Force" e quello da soldato/paggio sul davanti (ahimé) di "Trial by Fire";
3. Il giubbotto con le frange in pieno terzo millennio (“Io sono quello che rimpiange / la sella con le frange" cit. Articolo 31, Funkytarro);
4. Aver intitolato un pezzo ispirato alla musica classica “Cavallino rampante”, in omaggio al suo amore per le Ferrari;
5. Una delle versioni della copertina di “Magnum Opus”, in cui Yngwie stringe con una mano l'elsa di una spada e con l'altra il manico della chitarra (non osiamo immaginare con cosa muova il plettro). Occhialone da sole a specchio e Rolex rovinano un po' l'atmosfera da Spada nella Roccia.
Direi che è ragionevole.
A cura del Dottore