Avete presente i testi di “anatomia patologica”, la famosa trovata dei Carcass di comporre i testi con espressioni e frasi ricavate dai manuali di medicina, titoli compresi, magari ritoccati o selezionati anche con un certo gusto del grottesco e dell'esasperazione comica? Il testo funziona per ciò che evoca, e il termine medico-scientifico è utilizzato per questo alone evocativo, anche senza sapere di preciso di quale poltiglia sanguinolenta stiamo parlando.
Questa dei Carcass è solo una premessa utile ad introdurre il tema di oggi: il potere evocativo della parola o, più in generale, di un immaginario ad essa legata. Dovendo pensare a una metodologia a-la-Carcass, ma applicata al doom, una buona idea ad esempio sono i testi in latino. No, non veri e propri testi scritti in lingua morta, piuttosto latino come testo. E non stiamo parlando dell'approssimazione dei Morbid Angel, che sbagliano le declinazioni, ma di latino esistito, che qualcuno ha pensato, letto, pronunciato, per lo più di autori o testi religiosi. D'altronde per definizione la Bibbia è un compendio, se non letterario, di formule e immagini lessicali, utile al pittore come al predicatore, e, perché no?, al compositore metal.
Come dice Daniele Luttazzi a proposito della
Divina Commedia: “Nelle librerie è possibile imbattersi in edizioni rilegate di
un libro intitolato "La Divina Commedia" di Dante Alighieri.
Ed è ugualmente vero che se si apre uno di questi volumi a pagina uno, è
possibile leggere un'opera che comincia con le terzine: "Nel mezzo del
cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era
smarrita”. Ma se si continua a leggere, arrivati più o meno al verso 37
("E qual è quei che disvuol ciò che volle...") di colpo ci
accorgeremo che fino a quel momento non si è capito una mazza. Il libro termina
dopo più di tremila pagine con una riga del tutto priva di senso ("L'amor
che move il sol e l'altre stelle"). Capito l'inganno? La Divina
Commedia non è altro che un enorme conglomerato di parole messe giù a casaccio
tanto per riempire le pagine. Ci trovi di tutto: brani di dizionario, un elenco
telefonico, pezzi della Bibbia, qualche ricetta di suor Germana, note sul
funzionamento dei motori a scoppio, cento canzoni di Mogol, e un manuale di
elettronica completo di basette”.
Allo stesso modo ci si può imbattere nei dischi degli
abruzzesi The Black di Mario Di Donato, concept-album su temi
religiosi, magari attratti da uno dei bei dipinti dello stesso Di Donato
che fa da copertina, e può venire la curiosità di sapere che cosa mai si
declama in latino. Prendiamo ad esempio “Peccatis Nostris”, suddiviso in
capitoli intitolati ciascuno come uno dei sette peccati capitali. Ci
aspetteremmo quindi una caratterizzazione per esempi, o una discussione
generale sul concetto di peccato declinato nelle sue diverse forme.
Nell'iniziale "Pigritia", per
esempio, si trova una frase della lettera di San Paolo ai Corinzi (cap.11), a
cui sono interpolate le espressioni “Le nubi tireranno fuori la voce” e
“Le nubi daranno voce” (a Dio), ma si direbbe che San Paolo ce l'abbia
con i Corinzi, i quali, mentre egli cerca di istruirli, cazzeggiano invece di
“militare” a fianco di Dio. In “Avaritia”, invece, si esordisce con una
frase subordinata: “Che per voi e per tutti è versato in remissione dei
peccati, nei secoli dei secoli” (il sangue di Cristo, per chi è pratico
della messa, nda).
In "Superbia" c'è un passo del
Vangelo secondo Luca a proposito della condanna e della morte di Cristo.
Possiamo supporre che condannare Cristo sia il massimo atto di superbia che
l'uomo non potrà mai perdonarsi, certo però che la storia è ricostruita
allineando con il contagocce un pugno di parole in maniera ermetica che neanche
Ungaretti...
In "Luxuria" si esordisce con “Cosa
buona e giusta”; poi si continua con “Sono rivolti a Dio” (sempre la
messa, risposta durante la cerimonia al sacerdote che dice “In alto i cuori”).
E infine “I cieli sono pieni”. Fine della lussuria. E qui vi sfido a
trovare il nesso.
"Gula": “Dio esaudisci la mia preghiera, concedi a noi la remissione dei
peccati, benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Fine della gola,
e anche qui il riferimento al peccato è quanto meno nascosto.
Invidia:
un frullato del salmo 50, che più o meno direbbe “Contro di te solo ho
peccato, e il male che ho fatto è sotto i tuoi occhi: secondo quel che tu
dirai, avrai ragione quando mi giudicherai”. Sì, ma l'invidia? Boh, il
testo è finito.
Un contentino finale lo otteniamo con la conclusiva
"Ira", in cui almeno qualche volta ci imbattiamo nella parola
"ira". Nel suo testo, infatti, rinveniamo una formula della “pratica
delle sacre cerimonie” (“Culpa mea ira tua”) e il motto “Ira mea
tristis est, culpa mea ira tua”, il quale potrebbe voler dire che l'ira
trova ragione nel dar la colpa agli altri, quindi colpevolizzare è la scusa per
giustificare l'ira. Questa è l'unica frase pertinente che emerge nel contesto
di un altro frullato di frasi liturgiche sul padre che speriamo ci perdoni dei
nostri peccati.
Già che ci siamo, diamo un'occhiata anche ai testi
del secondo album che, nell'edizione in formato CD, troviamo insieme a
"Peccatis Nostris": parlo di "Capistrani Pugnator".
Il capitolo dedicato al Guerriero di Capistrano in sintesi ci racconta che è di
Teramo e combatte contro i Romani, anzi, a giudicare da come si esprime non si
deve essere completamente ripreso dalla battaglia, o dall'osteria: “Sono un
cittadino di Teramo, la mia anima è turbata, lo spettacolo è finito, l'invidia
è compagna della gloria / Sono un cittadino di Teramo, l'ira è un breve furore,
a memoria perpetua dei fatti i Romani sono nemici dell'umanità / Son un
cittadino di Teramo, all'uomo ingiusto male incoglierà al momento del trapasso
/ (Dio) Sorgi e giudica !”. Non ce ne vogliano gli abruzzesi, ma poteva un
guerriero ridotto in questo modo aver ragione sui Romani? Anche qui si trovano
espressioni liturgiche frammiste a modi di dire (acta est fabula).
Si prosegue con “Miserere”, testo ridotto ad
una formula liturgica: “Abbi pietà di noi, verrà la fine / Dona loro la pace
/ Dona loro la preghiera / Dona loro la confessione / Dona loro la
resurrezione” (mah!). Quindi una preghiera propiziatoria (almeno, nel
dubbio interpretiamo così) del guerriero perché Dio lo protegga dai suoi
nemici, certo in chiave pessimistica: “Al tuo cospetto sono tutti quelli che
mi tormentano, liberami da coloro che mi odiano, e dagli abissi marini, sono
immerso a fondo dentro la melma, e tocco terra / Onoratelo!”. Si conclude
con la descrizione del guerriero, ma qui mi areno perché il testo che inizia
con “Obscurus milite ignoto” è in effetti oscuro.
Segue un distico che è un pezzo (ma proprio “pezzo”
nel senso del macellaio) di un brano del “De Ira” di Seneca, che, preso
così, è privo di senso compiuto ("Accipitrem impetus, columbam fuga est"),
ma nel testo originale significava: “Il rapace può contare sullo scatto, la
colomba sulla rapidità di fuga”, a proposito di come ogni qualità sia
funzionale alla sopravvivenza di una specie. Il resto mi risulta
incomprensibile con un eccesso sospetto di declinazione accusativa, anche se si
capisce vagamente che stiamo parlando sempre del guerriero abruzzese che
valorosamente si oppone ai Romani.
Abbiamo capito abbastanza poco della storia del guerriero
e sui peccati capitali, ma ci siamo ripassati la messa, in quello che a tutti
gli effetti collocherei nell'ambito del white metal, in una sua
variante che, almeno testualmente, è definibile come messale-metal.
Eppure gli argomenti dei The Black mi affascinano, e
quindi mi cimento anche con i testi di "Gorgoni", perché la
mitologia in questione è accattivante. Allora, ci sono tre mostri, le figlie di
Forco, rese mostruose forse per vendetta degli dei contro la loro bellezza, e
che rappresentano la pervesione ai suoi tre livelli: sessuale, morale,
intellettuale (rispettivamente Euriale, Steno, Medusa).
La più famosa è Medusa, soprattutto per l'episodio in
cui Perseo deve ucciderla, e deve trovare uno strattagemma per riuscire ad
affrontarla evitanto di incrociare il suo sguardo, cosa che lo trasformerebbe
in pietra. Risolverà seguendo le mosse del mostro tramite uno specchio durante
il duello. Vediamo un po' sul tema delle mostruosità e delle perversioni quali
immagini riesce a rendere il latino.
Monstrum:
si inizia con "mostro orrendo" e subito dopo "dura lex
sed lex"...dopo di che il "mostro orrendo, nemico del genere
umano" (espressione ricorrente questa) e si chiude enigmaticamente con
il solito "brano" avulso e scippato brutalmente da una frase della
"Vulgata" della Sacra Bibbia, probabilmente frammentatosi durante lo
strappo e ricucito alla meglio con una certa incongruenza. Nell'originale "corpora
ipsorum in pace sepulta sunt et nomen eorum vivet in generationes et
generationes" (cap.44 v.14)" e nella versione del disco "Sunt
et nomen eorum-vivit, Vivit isporum in pace sepulta , In generationem".
Crediamo che "loro" (il loro nome vivrà in eterno) sia riferito ai
mostri orrendi, che però sono al singolare, per cui la cucitura rimane oscura
oltre che irregolare.
Medusa: si
parte in quarta con il profeta Ezechiele, salmo XVIII, 5, poi tranciato di
netto per chiudere dopo pochi versi con La Medusa che "dice ai suoi
discepoli: chi ascolta voi, ascolta me"... comunque è una frase di
Gesù nel Vangelo secondo Matteo, ai suoi discepoli. Mettere in bocca parole di
Gesù alla Medusa, che di discepoli non ci risulta ne avesse, è un'ottima
intuizione satanica, ma dubitiamo che Mario abbia voluto significare questo.
Perseo: "Spíritus enim
meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum" parrebbe la fonte* ("Il mio spirito
infatti è più dolce del miele, e la mia eredità più del miele di tutto
l'alvelare. La mia memoria durerà per generazioni attraverso i secoli").
Naturalmente nel frullatore la cosa diventa:
Et hereditas mea
spiritus...Spiritus enim meus super mel dulcis Et hereditas mea super mel et
favum
Perseus rex rex rex
Et clamor meus et clamor
meus
Ad te veniat spiritus ad
te veniat Spiritus
Memoria mea in
generationes Saeculorum saeculorum saeculorum
*Missale Romanum a.D. 1962 promulgatum – 16
Luglio EPISTOLA Léctio libri Sapiéntiæ. Eccli. (Sir) 24, 23-31
E poi a seguire si chiude con un'invocazione a Dio
dal Salmo 101, che ci fa sempre piacere. Oddio, la storia di Medusa e Perseo
l'avrei raccontata con qualche dettaglio in più, che so, almeno uno....Ma
speriamo di rifarci con le altre due Gorgoni, quelle meno famose, magari
impariamo qualche bella leggenda.
Gorgone numero 2: Euriale (la pervesione sessuale). Ecco qui si fa parlare
niente meno che la Madonna (sempre dal Messale Romano, stessa fonte), che
dice"Ego mater pulchræ dilectionis et timoris et agnitionis et sanctæ
spei. In me gratia omnis viæ et veritatis", ovvero: "Io sono
la madre del santo amore e del timore e della scienza e della santa speranza.
In me ogni grazia di dottrina e di verità; in me ogni sapienza di vita e di
virtù". E poi, piantato come un chiodo in mezzo a questa frase:
"Euriale è un mostro".
"Ego mater pulchrae dilectionis
Timoris et agnitionis sactae spei
In me gratia omnis viae et veritatis
In me gratia omnis
Timoris et agnitionis sactae spei
In me gratia omnis viae et veritatis
In me gratia omnis
euriale monstrum est
Omnis spes vitae et virtutis"
Omnis spes vitae et virtutis"
Gorgone numero 3: Steno. L'immagine di un tempio che crolla e di persone che
invocano Steno. Sibillino, ma almeno l'ipotesi della Gorgone che si accanisce
contro un simbolo delle pietas morale la possiamo buttare lì. Ma perché
si debba invocarti la perversione morale "tra i lamenti in questa valle
di lacrime" mi è poco chiaro.
l padre delle Gorgoni, Forco: una scusa per infilarci il salmo 103, che parla
della parola del signore e dei mezzi per diffonderla, ma -perché no-
appiccicando prima un pezzo slabbrato del Breviario Romano, con l'apparizione
dell'arcangelo Gabriele, che qui invece figura come il padre delle Gorgoni.
Quindi, risultanto sconcertante: una sorta di messa
impazzita in cui una Gorgone parla con le parole di Cristo, un'altra con
quelle della Madonna, mentre la terza è invocata durante il crollo di un
tempio, e il loro padre Forco è l'arcangelo Gabriele. Resta un po' ammaccato il
latino, ma lo spunto è geniale.
Rendiamo merito ai The Black di aver ricreato
quell'effetto straniante di fusione della mitologia precristiana con sprazzi di
liturgia e di immagini bibliche, ed elementi della cultura paesana. Un'opera
frankesteiniana e certamente curiosa. Mi sentirei quasi di suggerire però
al grande Marione Nazionale (a cui vogliamo un mondo di bene!) di raccontarci
direttamente la messa in latino senza tante scuse e tranelli, e - finito questo
sfogo da white metal- di utilizzare direttamente il dialetto abruzzese
per i testi dei prossimi album.
Così, Mario, ci racconti più cose e non divaghi.
A cura del Dottore