Nel film “Brood” di David Cronemberg uno psichiatra d'avanguardia riusciva a sollecitare il cervello del malato al punto da far emergere le sua rabbia repressa in forma di piaghe e pustole. La pelle è una sorta di cervello diffuso che, anatomicamente parlando, deriva dallo stesso ceppo cellulare del tessuto nervoso “superiore”, racchiuso nel cranio. I primi sensori sono nella pelle, quasi che la pelle fosse un grande occhio-orecchio-lingua che avvolge il corpo come primo avamposto nel rapporto con il mondo. Lo stesso regista aveva diretto "Il demone sotto la pelle" (in realtà questo è il titolo italiano), in cui un parassita faceva impazzire le persone pur senza rivelarsi direttamente.
Inoltre, la dermatologia è stata a lungo associata allo studio delle malattie veneree, semplicemente perché la sifilide aveva manifestazioni prevalenti, specialmente nelle sue prime fasi, di tipo cutaneo.
Nell'atrio del Dipartimento di Dermatologia campeggia la scritta “Intus et in cute, intus ut in cute” ("dentro e sulla pelle, dentro come sulla pelle"). Leggere “la pelle” di un malato spesso permetteva di conoscere diverse cose sul suo interno, senza bisogno di fare chissà quale esame o approfondimento.
Riescono gli Impetigo, cult-band americana dedita ad un truculento e scalcinato grindcore, nella difficile impresa di creare uno schifo musicale degno del loro nome? Ascoltando il loro primo lavoro “Ultimo Mondo Cannibale” si direbbe di sì, anche se c'è da dire che non lontano dalle mie finestre, durante l'ascolto, il vicino stava rasando il prato con un tagliaerbe atroce che potrebbe avermi fatto sopravvalutare l'estremismo sonoro dei nostri.
Al termine del primo pezzo, nel silenzio, si sente ancora il tagliaerbe del vicino...e poi un sonoro rutto, che purtroppo non è opera sua, ma degli Impetigo. Personalmente considero i rutti nelle canzoni una caduta di gusto inammissibile, anche se per il resto si parla di gente che mangia e vomita membra e di pus che schizza un po' ovunque.
Un aspetto decisamente inquietante è la pluralità delle voci, voci mal orchestrate che vanno per i cazzi loro, su un tappeto ritmico “a macina”. Questo effetto di brutalità gang-bang è abbastanza efficace. Ci sono: un tipo con un vocione che sacramenta con un effetto rimbombo e che poi passa al growling, un paio di altre voci gracchianti ed una che rilascia dei grugniti dementi e disarticolati. Ci sono poi parti recitate, clips di film estremi, urlacci, rantoli. Ci si sente minacciosamente accerchiati.
Il grottesco prende presto il sopravvento, ma bisogna leggere i testi. Si inizia in sobrietà con un medico che si diverte, nelle pause tra un'autopsia e l'altra, a ricomporre a caso i corpi disassemblati, creando nuove divertenti anatomie. Poi il cattivo gusto prevale: “La vendetta dell'uomo rognoso” descrive uno zombie particolarmente puzzolente e anti-igienico che, mentre brutalizza gli abitanti di una casa, scorreggia. “Scorreggia a più non posso, mentre ti stupra la moglie, tu tagli in due una scorreggia e lui lecca la lama”. L'impotenza di fronte allo schifo più totale. Perché poi avrà il cazzo verde?
Il disco successivo, “Horror of the Zombies”, è più canonico rispetto al death metal del periodo. Più quadrato, organizzato, slayeriano. Non che gli Slayer non possano inquietare, ma non sono repellenti. La rappresentazione musicale del degrado, della sporcizia, della deformità mentale è cosa fondamentalmente diversa dall'aggressione chirurgica, missilistica e frontale del thrash e del death metal più comuni. Non a caso gli Impetigo utilizzano dei clip-audio di film datati che non sempre davano il massimo in fatto di shock visivo o di realismo, ma creavano un'atmosfera malsana per una disturbante continuità tra l'atroce e il familiare. Al contrario che nella via gotica all'orrore, il turbamento non è anticipato e codificato da un'immagine mostruosa, da una maschera che preannuncia il male, la violenza: l'orrore nasce negli ambienti più anonimi, rassicuranti, meno eleganti, senza scenografia. Nessun approccio romantico al mostruoso: è solo la materia che chiama la materia, la mistica della macchia di sangue sul muro, in cui vita e mondo inanimato si incontrano e si mescolano.
In questa distinzione il ruolo del ritmo è importante. I ritmi serrati, che attaccano frontalmente l'ascoltatore, sono inevitabilmente una sublimazione dell'orrore, una sua traduzione in termini esteticamente più nobili, manierati. Sono i tempi intermedi, i ritmi sincopati, i rallentamenti il modo più efficace per far soffermare l'attenzione su quegli angoli che è disturbante osservare: la macchia di sangue sul muro, che non è una maschera mostruosa, ma l'orrore inanimato, oggettuale.
Mi affaccio alla finestra e vedo il prato del vicino tagliato. L'erba ammucchiata nei sacchi, ancora umida, viva e morta contemporaneamente, è un perfetto esempio di orrore “à-la Impetigo”. Lo schifo che c'è anche nel cuore dell'Illinois in cui non succede mai niente, tranne i vicini di casa che “si scopano le loro aiolette fiorite” con i tagliaerba.
A cura del Dottore