All'inizio degli anni '90 il death metal era un genere già definito. Il ruolo che ebbe non era però stato preventivato. L'ondata death americana aveva sostanzialmente proseguito il discorso dell'estremizzazione sonora, prima in termini di velocità e brutalità, poi con la variante tecnica, e infine con l'associazione tra lentezza opprimente e martellamento (death-doom).
In quegli anni si maturava una delusione: lo sdoganamento della componente superficiale del metal, cioè una certa pomposità chitarristica, aveva aperto le porte alla deriva commerciale di alcuni gruppi storici, e alla crisi creativa di altri, privi di un ruolo “guida” e troppo lontani da occasioni commerciali di primo piano. Fu così che l'umanità metal, come nei film catastrofici sulla fine del mondo, si costruì delle astronavi per reggere l'urto del cataclisma e rifondare se stessa. Stipati in queste astronavi stavano i generi di partenza, spalla a spalla con gli ultimi derivati, proprio come in un'arca di Noè. In particolare, la vena melodica andava in qualche modo salvaguardata, proprio perché era la più aggredibile. Si definì così il death melodico, genere “di ritorno” a momenti tradizionali del metal, come il solismo chitarristico, le intro acustiche, il tema melodico che ritorna.
Non tutto il death metal
fu melodico (Entombed), ma c'era un sentimento struggente e
crepuscolare che serpeggiava sotto la crosta dura del death. In
termini psichiatrici si direbbe un umore “patibolare”, quel tipo
di entusiasmo disperato per la propria vita nel momento in cui la si
sente sfuggire, e niente più importa.
La razza dei giullari ("The Jester race") sopravvisse in questo modo: impugnando la melodia con
mano da cavernicolo. L'autore della monografia “Swedish death
metal”, Daniel Ekeroth, si stupisce che gli In Flames abbiano avuto tanto successo,
giudicandoli un gruppo ordinario rispetto ad altri della scena. Forse
però non è chiaro, storicizzando la cosa, che furono loro e i Dark
Tranquillity ad impugnare la melodia, laddove altri l'avevano
accarezzata o incastonata nei loro brani. Loro la strutturarono.
Il tutto è più chiaro
se si analizzano i testi, per i più pigri basta qualche titolo
programmatico, come Scudo lunare ("Moonshield"), ma anche
appunto “December Flower”.
Verso i paradisi arcaici,
verso il paesaggio in scala di ciò che manca
Tu sei l'artista e il
tessuto
che gioca con il mantello
della Terra
Quando la più inerte
delle polveri
è stesa e adesa alle
pancia delle pietre umide
e le radici che nutrono
le vette degli alberi
abbracciano il sonno
delle spiagge
Perle arcaiche di sonno e
morte
la voce di Dicembre perde
il suo respiro
e il giardino fiorito e
afflitto dal bianco e dal grigio
Bianco come la caduta dei
fiocchi di neve
eroici vessilli di vita
Verde è il colore della
mia morte
come il volto
dell'Inverno cado in picchiata sulla Terra
Verde è il paesaggio del
mio struggente trapasso
Siamo in fiamme
verso i morti paradisi
arcaici
Siamo il mantello e il
tessuto
che cambiano il mantello
della Terra
In questo testo c'è
tutto il metal. C'è la malinconia per la decadenza, e l'orgoglio per
la crescita. C'è Dicembre, la fine convenzionale dell'anno sotto la
coltre del gelo che promette solo “grigio e bianco” sopra i prati
fioriti. E in mezzo a Dicembre la persistenza indomita della propria
natura (“siamo in fiamme”). C'è la fede nella metamorfosi che
rigenera: il mantello della terra si fa di ghiaccio, ma una
immaginaria coppia di amanti diventano il mantello e il tessuto, che
tessono nuovamente il mantello della Terra. La forma esteriore e la
struttura interiore, che distribuirei così simbolicamente: la donna
può essere entrambe (XX), l'uomo soltanto il mantello (XY), ma c'è
bisogno di entrambi i principi per generare, cioè la continuità e
il rinnovamento.
Nel cataclisma femminile
del metal dei primi anni '90, la continuità maschile è garantita da
questi generi di “ritirata strategica”, come appunto il death
melodico. Teche fiammeggianti, gusci bollenti, grotte gorgoglianti
che aspettano di sputare fuori ancora i loro germogli di lava.
Passato Dicembre, il
fiore di Dicembre era sbocciato. E si chiamava ancora, semplicemente,
metal.
A cura del Dottore
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