Libia. Pare strano che in un
posto così si trovi spazio per il metal. Prima paese povero, poi sviluppo ma
sotto un regime che non avrebbe visto di buon occhio il metal se non altro in
quanto musica “occidentale”, poi il casino della guerra civile.
Ma qualcosa comincia a fiorire,
come in ogni lieto fine post-atomico. Anzi, qualcuno osava suonare metal di
nascosto anche sotto Gheddafi.
I Rex Mortifier, per esempio, incisero
un demo dalla copertina naif, in cui si sentono schitarrate e scatarrate,
alternate al rumore della mamma di uno del gruppo che bussa incazzata alla
porta della camera. Dopo circa 7 minuti la signora, complice anche un'inevitabile
allentamento della tensione creativa, riesce a far cessare il baccano.
La realtà non dovrebbe essere
molto distante, se si pensa che il fondatore Ghassan suonava di nascosto nel
proprio garage, utilizzato anche come distilleria clandestina di alcol (con
risultati prevedibili sulla lucidità dell'esecuzione).
Più rispettosi dei genitori sono
i Funeral Moon, che incidono in sordina “Terrorism”, così da non disturbare
nessuno. Se non avessero le facce pittate non saremmo neanche sicuri che è
black. Il Black metal libico non finisce qui però, e abbiamo già capito che a
loro piace “crudo” (raw).
I Deathcrush ci propinano un
black vecchia scuola, in parte con sonorità ante-litteram, anche nei testi
improntati alle solite suggestioni elementari, tipo Lucifero, Caproni, Demoni,
dal titolo “Evoke the ancient curse”....insomma roba ad alto rischio di colpo
di sonno. Curiosa la trovata di inserire nel logo non una ma tre croci
capovolte, quelle dei due ladroni. La musica non è male, siamo dalle parti del
black senza fronzoli (Setherial per esempio), che merita l'ascolto completo.
Abbiamo poi notizie di componenti
di gruppi metal che militano, o millantano militanza, nei gruppi ribelli
libici, come gli Acacus, e altri due in tenuta militare non meglio identificati
che in un video si limitano a provare grugniti e bozze di riff, coinvolgendo anche
la giornalista. Spulciando in rete, questi due somigliano in realtà ai Soul
Exhumation, anche nell'abbigliamento. Secondo me sono loro.
Ma io credo in loro, per il nome
che si sono scelti. Perché se siete attenti lettori di Metalmirror ricorderete che
già il tema della riesumazione dei morti per bruciarne le spoglie, come seconda
morte definitiva, è già apparso nel metal del Madagascar. In quel caso
esumazione del cadavere. A sua volta questo tema echeggia i Suffocation e la loro
teoria della triplice cremazione, in cui si bruciava anche l’anima, per
sottrarla alla prelazione di Dio. L’esumazione dell’anima, una metafora della
rinascita libica dalle macerie, che entra con salto carpiato nel vivo nel
simbolismo trasversale del death metal teologico più colto. Ma siamo sicuri?
Mentre infuria la battaglia il
metal non solo spunta, ma si affina anche. Gli Oydis intrattengono con maestria
per una trentina di minuti con il loro thrash melodico strumentale. Nei momenti
migliori suonano come i Megadeth di "Rust in Peace", ma senza voce, il che li fa
salire una spannetta sopra, vallo a spiegare a Mustaine. Gli Aphalon invece la
voce ce la vogliono mettere, e compongono del corposo e muscoloso power metal,
a tratti più cadenzato, a tratti più speed. Il problema è che a volte la voce
andrebbe riascoltata, perché magari non sempre è buona la prima, si può
correggersi e migliorare. Anche questo a Mustaine vaglielo a spiegare...
A cura del Dottore