2017: Devil is Fine
Tanto rumore per nulla, come
l’Italia di Ventura fuori dai mondiali, come la Brexit, come Macron in Francia,
come Pyongyang che ha intensificato il suo programma di riarmo per niente,
come la crisi di identità catalana...tanto tanto rumore per concludere poco poco
nel 2017.
Non voglio arrogarmi il diritto
di giudicare le vite altrui, ma il 2017 mi è sembrato un anno di rincorse. Ho
percepito nell’aria un nuovo modo di accelerare delle persone, ma non parlo di
una risposta alla crisi quanto di una percezione di impegni moltiplicati per
tutti. Ogni persona con cui parlo mi racconta della sua vita incasinata, guarda
è un periodo che sono pieno di cose da fare, tra cambi di lavoro o di residenza
o figli che arrivano o progetti da imbastire.
Insomma tutti frenetici nel 2017
tranne i Tool, per i quali è Natale tutto l’anno, da anni.
In questo 2017 di corse sgraziate
e di continuo attivismo fondamentalmente sterile, nasce la convinzione di
un anno interessante a livello musicale. Più del passato percepisco un universo
consapevole dell’esistenza del metal, ma non come genere in se stesso quanto
come un movimento avulso e integrato al contempo nella società.
Il 2017 è proprio quell’anno in
cui in maniera definitiva la critica, le persone, i locali, il pubblico e la
società ha interiorizzato l’esistenza del metal. C’è un simbolo di tutto
questo, c’è un disco emblematico di tutto ciò che è “Devil is Fine” degli Zeal
and Ardor, al secolo Manuel Gagneux.
Attenzione non sto parlando del
miglior disco a livello formale dell’anno, ma di quello che rappresenta il 2017
nella sua frenetica incompiutezza che riconosce l’estremo.
La spiritualità Black penetra le
maglie di questa società e la unisce ad un mondo caotico interrazziale dove
respirano i flussi migratori, le cattiverie e il kitsch. Perché il mondo è
rocambolesco, caotico, strano sia dentro che fuori gli esseri umani e il
signor Gagneux lo racconta in brevi affreschi neri che sanno così
tremendamente di 2017.
Dopo Manuel arrivano i grandi
moderni del metal che lavorano bene e ripescano sonorità con buoni lavori, già
attesi che aggiungono qualcosa alla loro carriera (Ulver e Mastodon), meno attesi
che tornano a fare cose interessanti (Satyricon e Cradle of Filth)...proprio
noi che vi abbiamo parlato così approfonditamente di Africa, proprio noi ci
sentiamo però rappresentati maggiormente da questo sgangherato Black gospel
metal negroide.
In attesa che diventi l’anno dei
Tool, devo dire che l’inaspettata vittoria di Gagneux è il miglior segnale
per il prossimo futuro.
Classifica
2. Ulver - “The Assassination of Julius Caesar”
3. Wolves In The Throne Room - “Thrice Woven”
4. Satyricon - “Deep calleth upon deep”
5. Power Trip - “Nightmare logic”
6. Mastodon - “Emperor of Sand”
7. Pallbearer - “Heartless”
8. Cradle of Filth - “Cryptoriana”
9. Ne Obliviscaris - “Urn”
10. Ayreon - “The Source”
3. Wolves In The Throne Room - “Thrice Woven”
4. Satyricon - “Deep calleth upon deep”
5. Power Trip - “Nightmare logic”
6. Mastodon - “Emperor of Sand”
7. Pallbearer - “Heartless”
8. Cradle of Filth - “Cryptoriana”
9. Ne Obliviscaris - “Urn”
10. Ayreon - “The Source”